di Oliver Melis
Il Giappone sta per effettuare, nello spazio, una serie di test propedeutici alla progettazione di un ascensore spaziale.
La versione in miniatura comprende due “cubi”, un cavo e una mini-cabina motorizzata.
In un precedente articolo abbiamo visto quali sono le alternative attualmente immaginabili ai costosi e pericolosi lanci spaziali effettuati con i razzi. Sappiamo da sempre che i lanci spaziali sono complicati, rischiosi e comportano una spesa enorme in quanto richiedono enormi quantità di carburante per ogni chilo di peso da trasportare in orbita.
Per ovviare a tutto questo, nonostante a livello tecnologico e ingegneristico si tratti di un vero e proprio salto nel buio, si pensa da oltre cinquant’anni alla possibilità di realizzare un ascensore spaziale che colleghi la Terra ad una stazione spaziale in orbita geosincrona che funga da hub per la messa in orbita di satelliti ed il lancio di navicelle spaziali. Concettualmente, si tratterebbe di un vero e proprio ascensore, con una cabina collegata a cavi lunghi decine di migliaia di chilometri che avrebbero funzione di guida e di traino per raggiungere la stazione-hub e, da qui, basi scientiche orbitali, la Luna o posizionare in orbita satelliti o quant’altro fosse necessario.
A questo scopo, un team giapponese dell’Università di Shizuoka sta per lanciare nello spazio un prototipo che somigli a una simile tecnologia: il modello realizzato in scala di un ascensore spaziale, sarà costituito da due satelliti di forma cubica di 10 cm di lato uniti alle estremità di un cavo di acciaio di 10 metri teso tra di essi. Una minicabina motorizzata si sposterà avanti e indietro lungo il cavo, monitorata dalle telecamere all’interno dei satelliti stessi. L’esperimento avrà lo scopo di capire bene il comportamento della cabina nello spazio.
Il lancio è stabilito per l’11 settembre e sarà il primo tentativo mai realizzato di testare una simile tecnologia finalizzato alla progettazione di un ascensore spaziale.
Il modello, comunque, è ancora molto lontano dall’ascensore spaziale immaginato nel romanzo di Arthur C. Clarke “Le fontane del Paradiso“(1979): nel libro si racconta di un ascensore spaziale agganciato alla cima di una montagna della immaginaria isola equatoriale di Taprobane, che grazie a un cavo in carbonio purissimo possa trasportare in orbita carichi di ogni genere, con una frazione dell’energia bruciata da un razzo vettore con uno o più stadi.
Per realizzare questo sogno, si pensa che si potranno usare cavi realizzati in nanotubi di carbonio, 20 volte più resistenti dell’acciaio che sarà usato nel test dei prossimi giorni, in grado di sopportare la trazione generata da un impianto del genere; alcuni studi, però, hanno sottolineato che cavi del genere sarebbero a forte rischio in quanto basterebbe anche solo un atomo fuori posto per far venir meno la resistenza di questo materiale innovativo e straordinario.
Nonostante tutta una serie di problemi da affrontare e risolvere, i ricercatori dell’azienda di costruzioni giapponese Obayashi, che ha collaborato al progetto dell’Università di Shizuoka, pensano sia solo una questione di tempo prima che venga affinata una tecnologia adeguata per realizzare i materiali necessari a supportare un simile progetto e puntano a costruire un ascensore spaziale che possa portare turisti nello Spazio entro il 2050.
L’idea è sfruttare i famosi nanotubi di carbonio per realizzaire una guida che copra una distanza nello Spazio, fino a 96.000 chilometri da Terra, un quarto della distanza che separa la Terra dalla Luna. Un sogno che forse i nostri pronipoti vedranno realizzato, proprio come racconta in “3001 odissea finale” Arthur C. Clarke, immaginando un futuro dove i terrestri vivono in immense torri che svettano fino allì’orbita geostazionaria collegate da una gigantesca struttura che circonda la terra come un anello dal quale decollano decine di astronavi che percorrono il sistema solare in lungo e in largo a velocità fantastiche.