Negli anni '70, la società interplanetaria britannica concepì un progetto visionario per l'esplorazione di una stella lontana 5 anni luce... Il progetto Dedalus....
Fra il 1973 e il 1978 venne condotto uno studio dalla società interplanetaria britannica (British Interplanetary Society) per progettare una sonda spaziale automatica in grado di intraprendere un viaggio interstellare. Gli scienziati e ingegneri, guidati da Alan Bond, che lavorarono al progetto decisero di proporre un sistema di propulsione basato su un razzo a fusione nucleare.
Il progetto si basava sul criterio di utilizzare tecnologie già sviluppate, o di prossima realizzazione, per inviare una sonda automatica che avrebbe dovuto raggiungere il suo obiettivo in un tempo di volo stabilito in 50 anni.
Il bersaglio scelto era la Stella di Barnard, una nana rossa situata a una distanza di circa 5 anni luce dalla terra. La scelta era caduta proprio su quella stella perché si riteneva che in orbita attorno alla nana rossa ci fossero due pianeti, un’ipotesi parzialmente confermata dalla scoperta di un esopianeta, una superterra, avvenuta nel novembre 2018. Il progetto aveva una flessibilità tale che la sonda, secondo i suoi progettisti, avrebbe potuto raggiungere anche altre stelle.
La sonda spaziale automatica Dedalus avrebbe dovuto essere assemblata in orbita terrestre e possedere una massa iniziale di 54.000 tonnellate, di cui 50.000 solo di propellente, una parte della massa restante, 500 tonnellate, sarebbe stata costituita da carico scientifico.
L’astronave si sarebbe composta di due stadi, il primo dei quali avrebbe operato per due anni portando l’astronave ad una velocità pari al 7,1% di quella della luce, alla fine dei quali il primo stadio sarebbe stato sganciato e si sarebbe attivato il secondo per altri 1,8 anni, aumentando la velocità a circa il 12% di quella della luce, prima di spegnersi. L’astronave, una volta raggiunta questa velocità, avrebbe proseguito per 46 anni verso la sua destinazione finale.
I propulsori, viste le temperature estreme, avrebbero dovuto essere realizzati in berillio e funzionare con reazioni termonucleari a impulso. Il combustibile per la propulsione, stivato in pastiglie composte da una miscela di deuterio ed elio 3, avrebbe dovuto alimentare la reazione di fusione. Quest’ultima sarebbe dovuta avvenire all’interno di una camera di reazione, attraverso un meccanismo di confinamento inerziale. L’innesco delle reazioni termonucleari sarebbe stato avviato da un fascio di elettroni.
Per accelerare la sonda sarebbero state fatte detonare 250 pastiglie di deuterio-elio 3 al secondo e il plasma ottenuto sarebbe stato incanalato attraverso un ugello a contenimento magnetico. Il problema dell’elio 3, elemento molto raro, sarebbe stato risolto raccogliendolo o dall’atmosfera di Giove o dalla superficie Lunare, che sembra esserne ricca.
Il secondo stadio, quello che avrebbe dovuto portare la sonda fino all’obiettivo, sarebbe stato equipaggiato con due telescopi ottici da 5 metri di apertura e due radio telescopi da 20 metri di apertura. Passati 35 anni, gli strumenti avrebbero iniziato a scandagliare le zona attorno alla stella di Barnard tentando di individuare i pianeti. Le comunicazioni tra la sonda e la Terra sarebbero avvenute utilizzando la campana magnetica del propulsore della sonda. La sonda avrebbe anche portato 18 sonde autonome, da lanciare nei pressi del sistema di Barnard. Queste sonde sarebbero state lanciate tra 7,2 e 2,8 anni prima di raggiungere il bersaglio. Anche queste sonde sarebbero state equipaggiate di tutto punto, con generatori elettronucleari autonomi, telecamere, sensori e motori ionici.
Tutta l’attrezzatura, durante il viaggio, sarebbe stata immagazzinata nella stiva di carico della Dedalus, per proteggerla dalle radiazioni con un disco di berillio spesso 7mm. La scelta del berillio per la realizzazione dello scudo ablativo dipendeva dalla sua leggerezza e dall’elevato calore latente di vaporizzazione.
Eventuali ostacoli di grandi dimensioni che l’astronave avesse incontrato durante il passaggio attraverso il sistema stellare sarebbero stati dispersi tramite una nuvola di particelle generate da velivoli di supporto che avrebbero circondato l’astronave.
La Dedalus sarebbe stata dotata anche di una serie di robot in grado di intervenire, in caso di danni, per procedere alle riparazioni.