Il peso dell’anima

Da tempo gira una diceria circa il peso dell'anima che sarebbe stato determinato in 21 grammi. C'è qualcosa di vero? E come sarebbe stato stabilito il peso dell'anima? O, magari, è solo una leggenda metropolitana.

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C’è chi ha dato credito all’idea che gli esperimenti effettuati per misurare il peso di un’anima umana abbiano dimostrato qualcosa, per non parlare del fatto che ne hanno stabilito il peso in 21 grammi.

Molti di coloro che hanno una fede religiosa credono nella vita eterna, una continuazione della forza vitale che va ben oltre i limiti della vita.

Secondo queste religioni, la morte non è la fine ma un passaggio: sebbene le persone perdano il loro io corporeo al momento della morte, non perdono ciò che li ha resi esseri unici e li mantiene vivi per il ricongiungimento con il Creatore.

Questa personalità intrinseca viene definita “anima”, un’entità descritta nel dizionario come “L’essenza immateriale, principio animante o causa attuatrice di una vita individuale”.

Tuttavia, per quanto si creda fermamente nel concetto di “anima“, questa scintilla di vita rimane rigorosamente un atto di fede. Per quanto centrale sia la nostra percezione di noi stessi, non può essere vista, udita, annusata, toccata o assaggiata,  lasciando alcuni di noi a disagio.

Senza l’anima, una volta che si muore l’esistenza finisce e non siamo più. Ma se qualcuno riuscisse a dimostrarne l’esistenza, per tanti credenti cambierebbero molte cose e l’ansia del trapasso svanirebbe.

Il film di Alejandro Gonzáles Iñárritu intitolato “21 Grammi” ha fatto si che le voci circolanti attorno a questa storia si rafforzassero. Ma il film stesso non dice nulla sulla fonte che vista la precisione della riduzione di peso deve essere “scientificamente accertabile”.

Dopo l’uscita di 21 Grammi, il patologo Robert Stern, dell’Università della California, in un’intervista sul The Guardian dichiarò che in quarantacinque anni di professione medica non ha riscontrato nulla di simile alla storia narrata nel film aggiungendo che è comunque noto che i cadaveri perdono peso nel tempo attraverso l’azione di particolari enzimi, che rompono le strutture cellulari producendo gas e liquidi.

Una leggenda urbana dunque, ma esiste un episodio che ha dato origine alla storia.

Un medico, Duncan MacDougall, che operava presso il piccolo ospedale municipale di Haverhill nel Massachusetts, ai primi del Novecento, pesò con una bilancia alcuni pazienti che stavano per trapassare e poi paragonò le loro variazioni di peso con quelle che avvenivano al momento della morte in animali utilizzati come test di confronto.

Duncan voleva determinare se l’anima avesse un peso, quindi una massa e di conseguenza se occupasse uno spazio ben definito.

MacDougall aveva adattato ad una comune bilancia Fairbanks un telaio di legno su cui era posto un letto. In una lettera al collega Richard Hodgson del 10 novembre 1901 egli spiegò come, il 10 aprile dello stesso anno, aveva avuto l’opportunità di provare questo dispositivo su un giovane di colore che stava morendo per deperimento in seguito alla tubercolosi.

Duncan aggiunse che il paziente era al corrente dell’esperimento e che non avrebbe sofferto in misura maggiore di quanto già soffriva. Il ragazzo durante le ultime tre ore di vita perse circa 28,35 grammi all’ora che Duncan attribui alla traspirazione cutanea e alla respirazione.

Duncan si accorse anche di qualcos’altro, alle 9,10 della sera, mentre il paziente esalava l’ultimo respiro, contemporaneamente alla mancanza di movimenti respiratori e facciali, la barra della bilancia era caduta al suo limite inferiore, «come se un peso fosse stato levato dal letto» ed era tornata in equilibrio solo ponendo sul piatto due monete d’argento da un dollaro, ossia tre quarti di oncia.

Tenendo conto che la bilancia di MacDougall aveva una sensibilità di un decimo di oncia (2,83 grammi), tre quarti di oncia equivalgono a 21,26 grammi, lo stesso peso che poi decenni dopo ha iniziato a circolare.

MacDougall utilizzò la sua bilancia su quattro altri pazienti che stavano morendo di tubercolosi, più un quinto, una donna in coma diabetico.

La loro estrema debolezza, secondo il medico, avrebbe impedito nel momento della morte ogni movimento muscolare tale da perturbare la delicata misurazione. Il risultato iniziale non venne riprodotto; Gli esperimenti però avevano messo in allarme il personale dell’ospedale tanto da creargli vere e proprie interferenze negli esperimenti.

MacDougall pubblicò i risultati solo diversi anni dopo sulla rivista American Journal of Psychical Research sulla rivista American Medicine. non si sa perché attese così tanto, forse perché li riteneva poco affidabili o per paura delle reazioni del pubblico.

In tutti gli esperimenti eseguiti da Duncan, solo nel primo registrò una perdita di peso di circa 21 grammi, gli altri si discostarono e non di poco dal fatidico peso che in seguito è diventato una vera e propria leggenda metropolitana.

Fonti: CICAP; SNOPES