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Il morale dei soldati italiani alla vigilia di Caporetto

Una delle concause della disfatta di Caporetto va ricercata nel morale molto basso delle truppe italiane in quel disgraziato 24 ottobre 1917

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Una delle concause che determinerà  l’esito disastroso della dodicesima battaglia dell’Isonzo,  meglio come  conosciuta come la rotta di Caporetto è certamente il bassissimo  livello del morale delle truppe italiane. I soldati italiani si erano dissanguati nel corso  di  una serie di offensive i cui risultati strategici e spesso anche quelli tattici erano  modesti, se non addirittura irrilevanti.

Soggetti a comandanti spesso  inadeguati e crudeli che non esitavano a lanciarli in attacchi suicidi, punizioni idiote, fucilazioni gratuite ed attenzione grottesca a particolari irrilevanti le truppe che saranno travolte dall’attacco austro-tedesco del 24 ottobre 1917 avevano il morale  sotto i tacchi. Aveva   contribuito a questo stato  di cose quel  lungo mese che va da metà  settembre al 24 ottobre nel quale sia il Comando Supremo, che i comandi di Corpo d’Armata e divisionali, ed ovviamente Radio Fante, sapevano di un’imminente offensiva nemica.

Un’attesa che di giorno in giorno,  con  un’estate caldissima che lasciava il posto ad un autunno freddo e piovoso, si faceva stressante per le unità che venivano  spostate lungo il fronte senza  tener  conto delle  esigenze più elementari dei soldati. Per avere un quadro  di come il Regio  Esercito comandato da Cadorna tenesse in conto il  morale  della  truppa vale  la pena descrivere il comportamento di uno degli ufficiali più superficiali e stupidi dell’esercito italiano.

Una crudeltà che da stupida si volgeva al grottesco come nel caso del colonnello Giorgio Boccacci, bello e biondo con le chiome sciolte alla Custer, che amava farsi chiamare “Kirghis”, nome che doveva incutere terrore, e nelle zone di sua pertinenza faceva affiggere questi cartelli: “Alt per tutti. Controllo. Taglio capelli”. I malcapitati soldati che venivano sorpresi con i capelli non perfettamente  rasati, venivano fermati ai posti di blocco e sottoposti ad  una rasatura pubblica ed irridente.

Paradossalmente chi si occupava del benessere e conseguentemente  del morale  dei soldati, almeno fino al  disastro di Caporetto, non erano gli Alti Comandi militari bensì la Chiesa Cattolica. In  molti paesi delle retrovie sorsero le Case del Soldato, centri ricreativi promossi in particolare  dall’instancabile  don  Giovanni Minozzi.
Cappellano militare durante la guerra in Libia, il prete si convinse che i soldati non avrebbero dovuto riposarsi nelle retrovie concedendosi all’alcool ed al  sesso con prostitute e ragazze del posto, ma frequentando piuttosto centri di ricreazione dove poter ascoltare musica, assistere a spettacoli teatrali, leggere giornali o libri, frequentare corsi di scrittura (molti soldati erano analfabeti) e scrivere lettere ai propri cari.

L’iniziativa fu appoggiata dai comandi militari che  apprezzarono quest’opera surrogatrice, tanto che fino a Caporetto, si contarono 27 Case del Soldato nel settore della Prima Armata, 11 in quello della Seconda, 17 in quello della Terza, 30 in quello della Quarta e circa una decina nella Zona della Carnia. 

Ma cosa faceva  invece  il Regio Esercito, direttamente, per rafforzare il morale  delle  truppe? Lo strumento più  usato, se si escludono generici appelli al combattimento sotto forma  di proclami  prima di un’offensiva, erano  le  conferenze per il  morale   affidate  a ufficiali inadatti a compiti operativi. I reparti venivano obbligati a partecipare a queste conferenze spesso intrise di una retorica insopportabile e ne uscivano  come  ne erano entrati.

Uno dei casi limite di questo metodo avviene il 22 ottobre, due giorni prima  dell’offensiva che porterà  alla  rotta di Caporetto.  Il generale  Cavaciocchi,  al  comando del Quarto Corpo d’Armata, ormai da  giorni, come tutti gli Alti Comandi, sa  che  all’offensiva nemica mancano poche ore, addirittura si paventa l’attacco per  le 2.00 del 23 ottobre. Cavaciocchi in riunione  con i suoi ufficiali si preoccupa e chiede: “La preparazione morale è stata fatta? Si è tenuta la conferenza?”

Si, la conferenza si era tenuta in un  teatrino che poteva contenere al  massimo 200 soldati, tenuta da un capitano dei bersaglieri  richiamato in servizio. Si trattava  di un certo Enea Cavalieri, che nella vita civile era un economista, di estrazione alto  borghese ed ormai prossimo alle  settanta  primavere!

Si trattava di un veterano del Risorgimento, ferito a  Custoza nel 1866 e che  allo scoppio della Grande Guerra  si era arruolato come  volontario.  Non sapendo cosa farsene  di un ufficiale che viaggiava verso i 70 anni,  l’Esercito  aveva incaricato Cavalieri di tenere  le conferenze per il  morale.

Cosa che aveva  fatto  con spirito patriottico  e  profluvio di retorica anche quel  22  ottobre, il  titolo  della  conferenza, che aveva il  compito  di rinsaldare il  morale dei 200  soldati stipati nel  teatrino, era tutto un programma: “E’ bello morire per  la  Patria!”.

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