L’umanità non ha ancora inviato intenzionalmente veicoli spaziali per tentare l’esplorazione interstellare.
I soli veicoli che oggi viaggiano nello spazio interstellare, le sonde gemelle Voyager 1 e 2 della NASA, lanciate sul finire degli anni settanta del secolo scorso, “sfioreranno” tra molte migliaia di anni alcune stelle, ma non potranno certamente essere utili alla ricerca scientifica.
Le due piccole Voyager non sono state sviluppate appositamente per l’esplorazione interstellare, saranno solo una sorta di “messaggio nella bottiglia” lanciato nel vuoto interstellare che difficilmente sarà raccolto.
Semmai una civiltà aliena le ritroverà, saprà che un’altra civiltà ha cercato di sconfiggere le enormi distanze che separano le stelle.
I veicoli spaziali Voyager 1 e 2 della NASA sono gli unici veicoli spaziali che l’umanità ha inviato oltre il nostro sistema solare.
Questi veicoli, partiti oltre 40 anni fa, funzionano ancora abbastanza bene tanto da inviarci informazioni dallo spazio interstellare e molte delle loro scoperte sono state sorprendenti, come ha ricordato Stamatios (Tom) Krimigis, il principale investigatore dell’esperimento delle particelle cariche a bassa energia che è ancora attivo su entrambi i veicoli spaziali.
I modelli creati in precedenza che spiegavano il comportamento di queste particelle sono sbagliati, ha dichiarato Krimingis al Congresso Astronautico Internazionale tenutosi il 25 ottobre del 2019 a Washington.
Un esempio? la forma dell’eliosfera, la regione dello spazio in cui il flusso di particelle cariche emanato dal Sole avviluppa il sistema solare.
Fino al 2010, gli scienziati pensavano che avesse la forma di un ventaglio; i Voyager, dopo aver attraversato l’eliosfera nel 2012 e nel 2018, hanno rivelato che è più simile a una bolla.
Krimigis ha evidenziato anche un’altra sorpresa, cioè dove i raggi cosmici (radiazioni provenienti dall’esterno del sistema solare) sono accelerati.
Prima delle sonde Voyager, gli scienziati pensavano che queste particelle accelerassero nell’area di shock di terminazione, che è quella zona dove le particelle emesse dal Sole rallentano al di sotto della velocità del suono.
Le Voyager 1 e 2 hanno rivelato che l’accelerazione ha effettivamente luogo nell’eliosfera, la regione dello spazio appena oltre la zona di shock di terminazione.
Lo studio dell’eliosfera da parte delle sonde Voyager è stata un’aggiunta fortunata alla missione principale pianificata per l’ esplorazione dei pianeti giganti presenti nel sistema solare, Giove, Saturno, Urano e Nettuno.
Questi studi vengono effettuati utilizzando vecchie tecnologie che non sono state sviluppate per un viaggio interstellare vero e proprio e per farlo occorrerà mettere in campo nuove risorse che contribuiscano a pianificare e a lanciare nel prossimo futuro un veicolo spaziale interstellare.
Realizzare un veicolo per l’esplorazione interstellare studiato appositamente presenta numerose sfide scientifiche e tecnologiche di non poco conto.
Una delle sfide più dure da superare è il tempo. Le sonde Voyager 1 e 2 viaggiano nello spazio da decenni, così tanto tempo che scienziati e ingegneri di seconda e terza generazione che fanno ora parte dei team devono gestire hardware e software ormai ampiamente obsoleti.
I veicoli spaziali non sempre funzionano in modo impeccabile per decenni, infatti gli ingegneri costruiscono veicoli di esplorazione che dovranno soddisfare gli obiettivi iniziali della missione, in genere obiettivi programmati per un arco di pochi anni, sebbene molti team modifichino i progetti tenendo un occhio di riguardo alla longevità della missione spaziale.
I veicoli spaziali possono subire guasti, rimanere in silenzio o perdere la capacità di fare scienza nel tempo e i veicoli per l’esplorazione interstellare vedrebbero moltiplicarsi questi problemi.
Inoltre, il finanziamento potrebbe cessare quando la NASA o altre agenzie decideranno di concentrarsi su nuovi obiettivi scientifici.
Esplorazione interstellare: le due opzioni
Leon Alkalai, che gestisce l’ufficio di pianificazione strategica del Jet Propulsion Laboratory della NASA, ha suggerito durante il Congresso Astronautico Internazionale due opzioni programmatiche che potrebbero portare una missione nello spazio interstellare abbastanza rapidamente, forse tra poco più di un decennio.
Entrambe le opzioni prendono in considerazione i flybys con i pianeti per aumentare la velocità di crociera per consentire al veicolo di effettuare l’esplorazione interstellare.
L’opzione più lenta farebbe ricorso a Giove, consentendo agli scienziati di ottenere osservazioni più dettagliate. L’opzione più veloce farebbe invece ricorso al Sole.
Per soddisfare i responsabili della missione, Alkalai ha suggerito di costruire una missione per l’esplorazione interstellare che “faccia scienza” già prima di raggiungere la sua destinazione.
L’obiettivo della sonda sarebbe quello di studiare lo spazio interstellare, la sonda potrebbe, ad esempio, osservare oggetti della Cintura di Kuiper oltre Nettuno o eseguire misurazioni della parallasse di piccoli mondi per calcolare meglio la loro distanza.
Una nuova missione di esplorazione interstellare ci permetterebbe di studiare i pianeti influenzati dal nostro Sole come li studierebbe uno scienziato extraterrestre.
Potremo osservare come il Sole interagisce con il gas e la polvere tra le stelle e come anche altre stelle interagiscono con esso, ha affermato Robert Wimmer-Schweingruber, direttore dell’Istituto di fisica sperimentale e applicata dell’Università di Kiel in Germania.
“Esiste una complessa interazione tra il [mezzo interstellare] e il vento solare e la nostra comprensione è gravemente ostacolata da una conoscenza insufficiente”, ha aggiunto Wimmer-Schweingruber.
Perfino i mondi più vicini al confine dello spazio interstellare – come gli oggetti della Cintura di Kuiper – sono poco conosciuti, questo tipo di missione di esplorazione interstellare hanno un grande potenziale di scoperta.