Siamo abituati a pensare ai viaggi spaziali immaginando giganteschi missili come il famoso Saturn V che portò i primi uomini sulla Luna più di 50 anni fa.
Un sistema di lancio come il tri stadio Saturn V, era costituito per la maggior parte da cherosene, idrogeno e ossigeno, propellenti che una volta bruciati servivano a mettere una piccola capsula spaziale con il suo carico umano nella giusta traiettoria lunare. Una volta immessa nella traiettoria lunare la capsula si muoveva per inerzia e poteva frenare per essere catturata dalla debole gravità lunare per poi tornare sulla Terra utilizzando una quantità minore di propellenti.
Ma gli scienziati da decenni sono al lavoro per sviluppare sistemi di propulsione alternativi che non bruciano combustibili ma utilizzano gas nobili come lo xeno e il kripton che vengono ionizzati e accelerati grazie a campi elettrici prodotti dall’energia elettrica proveniente da celle solari. Questi propulsori al ”plasma” consentono oggi a centinaia di satelliti GPS, militari e di comunicazioni di mantenere stabile la propria orbita apportando piccole correzioni.
La prossima sfida è quella di sviluppare dei propulsori ionici capaci di inviare veicoli spaziali nello spazio profondo simili al modulo Deep Space 1 che ha visitato l’asteroide 0069 Braille e la cometa Borrelly o come il veicolo spaziale Dawn che ha viaggiato verso la fascia degli asteroidi.
“I propulsori al plasma rappresentano il futuro dell’esplorazione spaziale“, ha affermato Ken Hara, assistente professore di aeronautica e astronautica, che sta collaborando a sviluppare modelli computerizzati per rendere i motori a ioni più potenti, efficienti e affidabili.
Hara sostiene che i propulsori al plasma presentano numerosi vantaggi rispetto ai propulsori di vecchia concezione. Ad esempio, i gas ionizzati utilizzati come propellenti pesano meno dei carburanti bruciati dai propulsori a razzo dell’era Apollo. Ogni chilo di propellente in meno significa poter trasportare un carico utile maggiore, quindi più strumenti scientifici.
Una volta nello spazio, un veicolo dotato di propulsori al plasma può accelerare nel tempo in un modo che un veicolo dotato di propulsori convenzionali non può fare, imprimendo al veicolo stesso una velocità di gran lunga superiore. Questo avviene grazie a un concetto noto come velocità di scarico, cioè la velocità alla quale il propellente viaggia quando viene espulso da un ugello.
I motori tradizionali bruciano enormi volumi di propellenti a bassa velocità di scarico, proprio l’enorme volume genera una equivalente spinta. Il razzo posto sulla sua piattaforma di lancio nelle fasi iniziali del lift-off si muoverà molto lentamente mentre si solleva tra le fiamme, accelerando gradatamente fino a quando la spinta vince la forza di gravità portando il razzo in orbita.
Un motore al plasma, diversamente, è progettato per operare fuori dall’atmosfera terrestre, in un ambiente dove la gravità è ridotta esso esercita la sua spinta sparando particelle ionizzate con una velocità di scarico estremamente elevata ma con volumi nettamente inferiori.
Nello spazio vuoto, lontano da intensi campi gravitazionali e senza attrito, queste spinte leggere ma continue consentono a un veicolo spaziale di ottenere una velocità sempre più elevata con il passare del tempo, con risultati migliori rispetto ai sistemi propulsivi tradizionali con velocità finali più elevate e di conseguenza distanze maggiori percorse.
Fonte: Phys.org