- L’interrogativo se la nostra esistenza si svolga all’interno di una complessa simulazione al computer rappresenta una sfida filosofica e scientifica di profonda portata, la cui risposta rimane elusiva. Tuttavia, il fisico Melvin Vopson dell’Università di Portsmouth, nel Regno Unito, propone una prospettiva intrigante, suggerendo di aver identificato un potenziale indizio in un fenomeno fondamentale come la gravità.

Viviamo in una simulazione? La gravità come indizio computazionale
Secondo il suo recente studio, Vopson ipotizza che la forza di gravità non sia semplicemente un’attrazione fondamentale tra le masse, ma potrebbe emergere come un sottoprodotto intrinseco dei processi computazionali che governano l’Universo. In questa visione, la gravità sarebbe una manifestazione dello sforzo incessante dell’Universo di preservare l’informazione e la materia in uno stato di ordinata organizzazione all’interno del tessuto spazio-temporale.
“Le mie scoperte in questo studio si allineano con la concezione che l’Universo possa operare in modo analogo a un gigantesco computer, o che la realtà che percepiamo sia una costruzione simulata“, afferma: “Analogamente a come i sistemi informatici cercano di ottimizzare l’utilizzo dello spazio di archiviazione e di massimizzare l’efficienza operativa, l’Universo potrebbe adottare principi simili. Questa prospettiva offre un nuovo modo di concettualizzare la gravità: non più esclusivamente come una forza attrattiva, ma come un fenomeno che si manifesta quando l’Universo stesso si impegna a mantenere la propria coerenza e organizzazione“.
Indipendentemente dalla veridicità dell’ipotesi simulativa, la riflessione sui potenziali parallelismi tra il comportamento del nostro Universo e quello di un sistema simulato può rivelarsi sorprendentemente illuminante. Tentare di sondare i confini della nostra realtà, esplorando le aree in cui il suo funzionamento potrebbe sovrapporsi a quello di una simulazione, potrebbe dischiudere nuove prospettive sulla natura intrinseca dell’Universo in cui siamo immersi, arricchendo la nostra comprensione dei suoi principi fondamentali.
Un percorso di ricerca dedicato all’esplorazione della realtà
Melvin Vopson ha dedicato anni di meticolosa indagine a questa affascinante linea di ricerca, esplorando le implicazioni e le potenziali rivelazioni che potrebbero emergere da un’analisi approfondita della natura fondamentale della nostra realtà. Nel 2022, in collaborazione con il matematico Serban Lepadatu del Jeremiah Horrocks Institute for Mathematics, Physics and Astronomy nel Regno Unito, ha formulato un quadro teorico innovativo denominato la seconda legge dell’infodinamica, un modello concettuale volto a comprendere il potenziale comportamento simulato dell’Universo.
Questo quadro teorico trae ispirazione dalla seconda legge della termodinamica, un principio cardine della fisica che descrive come qualsiasi processo naturale nell’Universo comporti intrinsecamente una dissipazione di energia utilizzabile e un aumento della misura del disordine di un sistema, una quantità nota come entropia. In contrasto con questo principio termodinamico, la seconda legge dell’infodinamica postula che l'”entropia dell’informazione” di un sistema isolato debba rimanere costante nel tempo o addirittura diminuire, suggerendo un principio di conservazione o ottimizzazione dell’informazione a livello cosmico.
La ricerca di Vopson ha inoltre approfondito il concetto audace che l’informazione possieda una massa intrinseca e possa quindi essere considerata una forma fondamentale di materia, equiparabile agli stati convenzionali come solido, liquido e gassoso. In questa prospettiva, Vopson ha persino tentato di calcolare la quantità totale di informazione contenuta nell’Universo, considerando le particelle elementari, i costituenti più piccoli della materia conosciuta, come unità di memorizzazione di dati analoghe ai nucleotidi del DNA, le unità fondamentali dell’informazione genetica.
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📘 Leggi la guida su AmazonSeguendo i principi della fisica delle particelle, queste entità elementari rappresentano le unità di materia più piccole e indivisibili nell’Universo. Vopson propone un’analogia con i bit, le unità fondamentali dell’informazione digitale. Egli ipotizza che queste particelle possano essere organizzate in “pixel” o divisioni discrete simili a cellule all’interno del tessuto spazio-temporale. Analogamente a un bit che può assumere un valore binario (0 o 1), questi pixel spazio-temporali potrebbero essere codificati in base alla presenza o all’assenza di materia al loro interno, fornendo una potenziale struttura digitale sottostante alla nostra realtà fisica.
La gravità: un indicatore della struttura discreta della materia cosmica
Nel suo nuovo studio, Melvin Vopson propone una prospettiva innovativa sulla natura della gravità, suggerendo che essa possa essere interpretata come una manifestazione della pixelizzazione intrinseca della distribuzione della materia all’interno dell’Universo. Secondo questa concezione, quando più particelle elementari convergono e occupano lo stesso “pixel” fondamentale dello spazio-tempo, tendono a fondersi, con la risultante che ogni pixel contiene idealmente un singolo “oggetto” composito.
“Questo processo innesca la forza di attrazione che noi percepiamo come gravità, in virtù delle regole intrinseche stabilite all’interno del sistema di calcolo che sottende l’Universo“, spiega Vopson: “Queste regole sembrano imporre la minimizzazione del contenuto informativo totale e, per estensione, una riduzione della potenza di calcolo complessiva richiesta per tracciare l’evoluzione del sistema cosmico”.
In termini più semplici, dal punto di vista computazionale, risulta significativamente più efficiente monitorare e calcolare la posizione e la quantità di moto di un singolo oggetto nello Spazio, piuttosto che dover gestire un numero elevato di entità separate. Pertanto, l’attrazione gravitazionale emergerebbe come un meccanismo di ottimizzazione fondamentale all’interno di un processo computazionale cosmico finalizzato alla compressione dell’informazione.
In questa analogia concettuale, il “pixel” spazio-temporale può essere paragonato a un file ZIP compresso, mentre la forza di gravità agirebbe come l’algoritmo di compressione, ottimizzando la quantità di “spazio” computazionale occupato dalla rappresentazione della materia nell’Universo.
Questa prospettiva acquista ulteriore forza se si considera la natura elusiva della gravità. Nonostante la sua onnipresenza nell’Universo e il suo ruolo fondamentale nella strutturazione del cosmo, la sua essenza rimane un mistero. Possiamo misurarne gli effetti con precisione, ma una comprensione completa della sua natura fondamentale ci sfugge ancora. Vopson suggerisce che l’approccio tradizionale, basato esclusivamente sulla relatività generale o sulla meccanica quantistica, potrebbe non essere sufficiente a svelare questo enigma. Considerare la gravità in un contesto alternativo, come potenziale mezzo di ottimizzazione computazionale intrinseco all’Universo, potrebbe condurci a scoperte e risposte finora inaccessibili.
“Sebbene la questione se l’Universo sia intrinsecamente una costruzione computazionale rimanga aperta al dibattito e a ulteriori indagini, la natura entropica della gravità, come qui proposta, fornisce prove convincenti del fatto che l’informazione costituisce una componente fondamentale della realtà fisica e che i principi di compressione dei dati guidano intrinsecamente i processi fisici che osserviamo nell’Universo”, conclude Vopson nel suo studio. Egli sottolinea l’importanza cruciale della ricerca futura, che dovrebbe concentrarsi sul perfezionamento di questo quadro teorico, esplorandone l’applicabilità in contesti relativistici e di gravità quantistica e, soprattutto, indagando possibili vie per la sua validazione sperimentale.
Lo studio è stato pubblicato su AIP Advances.