Come posso esser certo che io non sia l’unico essere senziente in tutto l’Universo? 

Se per noi esistere, e vivere immersi in una coscienza che ci fa percepire odori, suoni, dolore, gioia e pensieri ci dà la prova di esistere, di essere, poiché proviamo sensazioni chiare e definite, o meglio che sappiamo definire, possiamo dire lo stesso degli altri?

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Ogni quesito teso ad esplorare la coscienza, apre il varco ad un doloroso abisso da esplorare. Essere coscienti è la più grande realtà alla quale siamo posti difronte, ma anche il mistero più inquietante dell’esistenza stessa. L’orrore della coscienza, dunque, è l’orrore dell’esistenza.

La coscienza è un fenomeno a cui non è possibile dare una spiegazione intuitiva o che si possa cogliere nella sua pienezza e paradossalmente, quella coscienza, che pone interrogativi su se stessa, siamo comunque noi, e tutto diventa ancora più straniante, se ci soffermiamo a pensare che abbiamo intessuto una rete di contatti con esseri senzienti come noi. Ma mentre per me esistere, e vivere immerso in una coscienza che mi fa percepire odori, suoni, dolore, gioia e pensieri mi dà la prova di esistere, di essere, poiché provo sensazioni chiare e definite, o meglio che so definire, posso dire lo stesso degli altri?

Noi possiamo avvertire il piacere di sentire il profumo di un libro appena acquistato, bearci del fruscio delle pagine, ma lo stesso libraio che ce lo ha venduto, prova le stesse cose? Anche lui è dotato di quelle complesse dinamiche interiori che chiamiamo coscienza?

A questo dilemma è stato dato un nome: problema delle altre menti o solipsismo. Come possiamo, o meglio, come posso esser certo che io non sia l’unico essere senziente in tutto l’universo? Dopotutto, noi possiamo essere certi solo delle nostre esperienze.

Il problema del solipsismo è molto più di una questione filosofica tecnica. È una risposta paranoica ma comprensibile ai sentimenti di solitudine che si annidano dentro tutti noi. Anche se si rifiuta il ​​solipsismo come posizione intellettuale, lo si percepisce, emotivamente, ogni volta che ci si estraniati dagli altri, ogni volta che si affronta la terribile verità che non si può mai conoscere, conoscere davvero un’altra persona e nessuno può davvero conoscerci.

Per placare questa ferita destinata a rimanere aperta, i nostri antenati hanno inventato la religione: un’entità soprannaturale che fosse testimone delle nostre paure e dei nostri desideri più intimi. Non importa quanto ci sentiamo soli, quanto alienati dai nostri simili, Dio è sempre lì che veglia su di noi. Vede le nostre anime, i nostri sé più segreti e ci ama comunque.

Un altro balsamo per l’anima, volto a dare tregua a questa inquietudine è stata l’arte in tutte le sue forme, che ha tentato di  superare il problema del solipsismo: L’artista, il musicista, il poeta, il romanziere dicono: ecco come si sente la mia vita o così potrebbe essere la vita per un’altra persona . Ci aiuta a immaginare cosa vuol dire essere una donna nera che cerca di salvare i suoi figli dalla schiavitù, o un venditore di pubblicità ebreo che vaga per Dublino, chiedendosi se sua moglie lo sta tradendo. Ma immaginare non significa sapere.

Ma anche se potessimo percepire gli echi e i bagliori provenienti dalla coscienza di un’altra persona, quanto potremmo capirla? Con quali certezze potremmo affermare che quello che abbiamo percepito è autenticamente legato all’esistenza della persona stessa? Se un leone potesse parlare, diceva Wittgenstein, non potremmo capirlo. Lo stesso è vero riguardo al nostro io più profondo. Se potessimo origliare il subconscio di un altro, non sentiremmo altro che grugniti, ringhi e gemiti, o forse gli squittii acuti dei dati di un codice grezzo che non siamo in grado di decodificare.

Per chi è affetto da una sofferenza mentale invece, il solipsismo può diventare spaventosamente vivido. Le vittime della sindrome di Capgras pensano che impostori identici abbiano sostituito i loro cari; l’illusione di Cotard, nota anche come sindrome del cadavere ambulante, convince chi ne soffre di essere morto. Un disturbo molto più comune è la derealizzazione, che fa sembrare tutto – tu, gli altri, la realtà nel suo insieme – strano, falso, simulato.

E se coloro che sono affetti da queste presunte delusioni vedessero davvero la realtà chiaramente? Secondo la dottrina buddista di anatta , il sé non esiste realmente. Quando cerchiamo di definire la nostra essenza, di afferrarla, essa ci scivola tra le dita. Abbiamo ideato metodi per coltivare la conoscenza di sé per sedare le nostre ansie, come la meditazione e la psicoterapia. Ma queste pratiche ci colpiscono come forme di auto-lavaggio del cervello. Quando meditiamo o vediamo un terapista, non stiamo risolvendo il problema del solipsismo. Ci stiamo semplicemente allenando a ignorarlo, a sopprimere l’orrore e la disperazione che scatena.

Abbiamo anche inventato luoghi mitici in cui il problema del solipsismo svanisce. Trascendiamo la nostra solitudine e ci fondiamo con gli altri in un tutto unificato. Chiamiamo questi luoghi paradiso, nirvana, singolarità. Ma il solipsismo è una caverna dalla quale non possiamo scappare, tranne, forse, fingendo che non esista. O, paradossalmente, affrontandolo, come fa Charlie Kaufman. Sapere di essere nella grotta potrebbe essere il più vicino possibile a scappare.

La tecnologia potrebbe liberarci dal problema del solipsismo. Secondo Christof Koch, se ognuno di noi si impiantasse un chip equipaggiato con il wi-fi, potremmo fondere le menti attraverso una sorta di telepatia high-tech. Il filosofo Colin McGinn suggerisce una tecnica che coinvolge “il brain-splicing“, il trasferimento di pezzi del tuo cervello nel mio e viceversa.

Ma vogliamo davvero sfuggire alla prigione del nostro io soggettivo? L’arcinemesi di Star Trek: The Next Generation sono i Borg, una legione di umanoidi potenziati dalla tecnologia che si sono fusi in un’unica grande meta-entità. I membri Borg hanno perso la loro separazione gli uni dagli altri e quindi la loro individualità. Quando incontrano umani comuni, mormorano in un tono monotono spaventoso: “Sarai assimilato. La resistenza è inutile.”

Per quanto possa essere difficile per noi sopportare la solitudine, molti di noi non vorrebbero essere assimilatiSe il solipsismo ci perseguita, l’unicità, un’unificazione così completa sarebbe altrettanto terrificante, perché dovremmo rinunciare alla nostra identità, al nostro io mortale. Forse il modo migliore per affrontare il problema del solipsismo in questo periodo strano e solitario è immaginare un mondo in cui possa svanire.