Un recente studio condotto presso il prestigioso Technion – Israel Institute of Technology – ha portato alla luce una forma inedita di entanglement quantistico, un fenomeno enigmatico e fondamentale della meccanica quantistica.
Questa innovativa scoperta si manifesta nel momento angolare totale dei fotoni confinati all’interno di complesse strutture nanometriche, aprendo prospettive inattese per il futuro delle tecnologie quantistiche.

Un nuovo tipo di entanglement quantistico per la miniaturizzazione delle tecnologie future
La capacità di manipolare e sfruttare questo nuovo tipo di correlazione quantistica a livello nanoscopico potrebbe rappresentare una svolta cruciale nella miniaturizzazione dei componenti essenziali per la comunicazione e il calcolo quantistico, settori in rapida espansione e con un potenziale trasformativo senza precedenti.
La fisica quantistica, con le sue leggi controintuitive, ha spesso condotto a previsioni che sfidano la nostra comprensione classica del mondo. Un esempio emblematico è rappresentato dal lavoro pionieristico di Albert Einstein, insieme a Boris Podolsky e Nathan Rosen – quest’ultimo figura di spicco che contribuì significativamente alla fondazione della Facoltà di Fisica del Technion.
Nel loro storico articolo del 1935, noto come paradosso EPR (dalle iniziali dei loro cognomi), i tre scienziati teorizzarono uno scenario in cui la conoscenza dello stato di una particella sembrava influenzare istantaneamente lo stato di un’altra, indipendentemente dalla distanza che le separava. Questa “azione spettrale a distanza”, come la definì con scetticismo Einstein, metteva in discussione i principi fondamentali della località e del realismo nella fisica.
Nonostante lo scetticismo iniziale, il potenziale insito nel fenomeno EPR fu intuito e sviluppato da un altro illustre ricercatore del Technion, il professor Asher Peres della Facoltà di Fisica. Il suo lavoro innovativo dimostrò che questa peculiare correlazione quantistica poteva essere sfruttata per trasmettere informazioni in modo “nascosto“, dando origine al concetto rivoluzionario del teletrasporto quantistico, una delle pietre angolari della comunicazione quantistica. Questa fondamentale scoperta fu realizzata dal professor Peres in collaborazione con i suoi colleghi Charles Bennett e Gilles Brassard, aprendo nuove frontiere nella trasmissione sicura di informazioni.
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📘 Leggi la guida su AmazonIl fenomeno descritto nel paradosso EPR ricevette successivamente la denominazione scientifica di entanglement quantistico, e la sua importanza fondamentale per la comprensione del mondo quantistico e per le sue applicazioni tecnologiche fu consacrata con l’assegnazione del Premio Nobel per la Fisica nel 2022 ai professori Alain Aspect e Anton Zeilinger, entrambi insigniti in precedenza di dottorati honoris causa dal Technion, e al loro collega professor John Clauser.
Il riconoscimento di questi pionieri sottolinea il ruolo cruciale dell’entanglement quantistico come risorsa fondamentale per l’informatica quantistica e la comunicazione quantistica, ambiti in cui la nuova scoperta del Technion potrebbe ora imprimere un’accelerazione significativa verso la miniaturizzazione e l’efficienza dei dispositivi futuri.
Un fenomeno universale nel mondo delle particelle
Il fenomeno dell’entanglement quantistico, con la sua peculiare capacità di correlare il destino di particelle distanti, è stato sperimentalmente verificato per un’ampia gamma di entità subatomiche, manifestandosi attraverso le diverse proprietà intrinseche di queste particelle.
Nel caso specifico dei fotoni, le particelle elementari che costituiscono la luce, l’entanglement può instaurarsi in relazione a diverse caratteristiche fondamentali, quali la loro direzione di propagazione nello spazio, la loro frequenza, che determina il colore percepito, o l’orientamento del loro campo elettrico. Tuttavia, l’entanglement fotonico può manifestarsi anche in proprietà concettualmente più astratte e meno intuitive, come il momento angolare, una grandezza fisica che descrive la “quantità di rotazione” di un oggetto.
Il momento angolare di un fotone può essere ulteriormente scomposto in due componenti distinte: lo spin e il momento angolare orbitale. Lo spin è intrinsecamente legato alla rotazione del campo elettrico associato al fotone, visualizzabile come una sorta di “rotazione su se stesso”. Il momento angolare orbitale, d’altra parte, è connesso al moto rotatorio del fotone nello spazio, descrivendo la sua “rotazione attorno a un punto esterno”.
Un’analogia intuitiva per comprendere queste due proprietà separate può essere trovata nel movimento della Terra, che simultaneamente ruota attorno al proprio asse (spin) e orbita attorno al Sole lungo una traiettoria ellittica (momento angolare orbitale). Questa distinzione tra spin e momento angolare orbitale risulta agevole da concettualizzare quando i fotoni sono confinati in un fascio di luce la cui estensione spaziale è significativamente maggiore della loro lunghezza d’onda caratteristica. In tali condizioni, le due proprietà rotazionali possono essere trattate come grandezze fisiche indipendenti e separate.
Uno scenario radicalmente diverso si presenta quando si tenta di confinare i fotoni all’interno di strutture le cui dimensioni sono inferiori alla lunghezza d’onda della luce stessa. Questo è precisamente l’obiettivo primario del campo emergente della nanofotonica, una disciplina che mira a manipolare la luce su scale nanometriche. In questo regime di confinamento estremo, si scopre che la separazione concettuale tra le diverse proprietà rotazionali del fotone diviene impossibile.
Le interazioni complesse che emergono a queste scale ridotte portano alla fusione dello spin e del momento angolare orbitale in un’unica grandezza fisica indivisibile: il momento angolare totale del fotone. In altre parole, quando un fotone è costretto in uno spazio nanometrico, la sua “rotazione su se stesso” e la sua “rotazione nello spazio” non possono più essere considerate entità indipendenti, ma si manifestano come un’unica proprietà quantistica integrata.
La domanda che sorge spontanea è: perché si dovrebbe desiderare di confinare i fotoni in strutture di dimensioni così ridotte? Le motivazioni principali sono essenzialmente due. La prima ragione, forse la più intuitiva, risiede nella prospettiva di una drastica miniaturizzazione dei dispositivi che utilizzano la luce come vettore di informazione o come strumento di elaborazione.
Riducendo le dimensioni dei componenti ottici a livello nanometrico, si apre la strada alla possibilità di concentrare un numero significativamente maggiore di operazioni all’interno di una singola cella di dimensioni estremamente contenute, seguendo una traiettoria analoga alla rivoluzionaria miniaturizzazione che ha caratterizzato l’evoluzione dei circuiti elettronici.
La seconda ragione, di importanza ancora maggiore per il progresso scientifico e tecnologico, è legata all’intensificazione dell’interazione tra il fotone e il materiale attraverso il quale si propaga o nelle cui immediate vicinanze è confinato. Questo aumento dell’interazione, reso possibile dal confinamento nanometrico, permette di innescare e sfruttare fenomeni fisici e applicazioni che risulterebbero irrealizzabili con fotoni che mantengono le loro dimensioni “normali“, aprendo così nuove e inesplorate frontiere nella manipolazione della luce e nelle sue interazioni con la materia.
Entanglement quantistico nel momento angolare totale a scala nanometrica
Un team di ricercatori del Technion, guidato dall’innovativo lavoro dello studente di dottorato Amit Kam e del dottor Shai Tsesses, ha compiuto una scoperta fondamentale nel campo della fisica quantistica. Essi hanno dimostrato la possibilità di generare entanglement tra fotoni confinati in sistemi su scala nanometrica, raggiungendo dimensioni incredibilmente ridotte, pari a un millesimo dello spessore di un capello umano.
La vera novità di questa ricerca risiede nella natura di questo entanglement: contrariamente a quanto osservato finora, esso non è originato dalle proprietà convenzionali del fotone, come il suo spin intrinseco o la sua traiettoria di propagazione, bensì unicamente dal suo momento angolare totale, una proprietà che ingloba sia lo spin che il momento angolare orbitale del fotone stesso.
Attraverso un’analisi meticolosa, i ricercatori del Technion hanno svelato il complesso processo che i fotoni attraversano nel loro percorso all’interno del sistema nanometrico, dalla fase iniziale di introduzione fino al momento in cui emergono per essere misurati. Questa indagine approfondita ha rivelato un fenomeno cruciale: la transizione attraverso la nanostruttura determina un significativo arricchimento dello spazio degli stati quantistici in cui i fotoni possono risiedere. Questo ampliamento delle possibili configurazioni quantistiche gioca un ruolo chiave nella generazione del nuovo tipo di entanglement osservato.
Per convalidare la loro ipotesi e caratterizzare le proprietà del nuovo entanglement, il team di ricerca ha condotto una serie di misurazioni sofisticate. Queste misurazioni hanno permesso di mappare dettagliatamente gli stati quantistici assunti dai fotoni all’interno del sistema nanometrico. In modo significativo, i ricercatori sono riusciti a correlare questi stati con una proprietà specifica e distintiva dei sistemi operanti su scala nanometrica. La conferma definitiva dell’entanglement quantistico è giunta dall’osservazione di una precisa corrispondenza tra le coppie di fotoni analizzate, evidenziando l’intima connessione quantistica che lega le loro proprietà.
Questa straordinaria scoperta rappresenta la prima identificazione di una nuova forma di entanglement quantistico in oltre vent’anni di ricerca nel settore. Le sue implicazioni per il futuro della tecnologia quantistica sono potenzialmente rivoluzionarie. La capacità di generare e manipolare entanglement nel momento angolare totale di fotoni confinati in nanostrutture potrebbe aprire nuove strade per lo sviluppo di strumenti innovativi per la progettazione di componenti fondamentali per la comunicazione e il calcolo quantistico basati sulla luce.
Inoltre, la possibilità di operare con l’entanglement quantistico a scale così ridotte promette di superare le attuali limitazioni dimensionali, aprendo la via a una significativa miniaturizzazione di questi dispositivi, rendendoli più efficienti, integrabili e potenzialmente più accessibili per future applicazioni tecnologiche.
Lo studio è stato pubblicato su Nature.