Nascosto nelle pieghe di un ordine esecutivo incentrato sulla “liberazione dell’energia americana“, si cela un attacco insidioso alle fondamenta della politica climatica degli Stati Uniti. La direttiva in questione mira a smantellare un calcolo cruciale, sebbene poco conosciuto, utilizzato dal governo per quantificare i costi reali che il cambiamento climatico impone all’economia statunitense: il costo sociale del carbonio (SCC).
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Il costo sociale del carbonio: un attacco silenzioso alla politica climatica USA
Il costo sociale del carbonio è una metrica che attribuisce un valore monetario a ogni tonnellata di anidride carbonica emessa, basandosi sui danni a lungo termine che si prevede essa causerà. Questo strumento è diventato essenziale per valutare i costi economici del cambiamento climatico, come le spese per la bonifica dei disastri naturali o gli impatti sulla salute, rispetto all’onere delle normative volte a mitigare tali effetti.
L’ordine esecutivo in questione ha portato a diverse azioni significative: il gruppo di lavoro responsabile della definizione del costo sociale del carbonio , composto da figure chiave come il segretario al Tesoro e il segretario all’Energia, è stato sciolto; le decisioni precedentemente prese da tale gruppo sono state annullate; e l’Environmental Protection Agency (EPA) è stata incaricata di riconsiderare l’utilizzo dell’SCC, con l’obiettivo dichiarato di eliminare “l’abuso” che ostacola la produzione di energia a prezzi accessibili.
Questa mossa trae ispirazione diretta dal manuale politico del Progetto 2025 della Heritage Foundation, un think tank conservatore noto per la sua opposizione alle politiche climatiche e il sostegno all’industria dei combustibili fossili. Le motivazioni principali dietro questo attacco si fondano sulla contestazione della validità scientifica del costo sociale del carbonio, nonostante il consenso scientifico che ne supporta la metodologia, sull’affermazione che i modelli informatici alla base dell’SCC sono imperfetti e facilmente manipolabili, e sulla convinzione che i costi economici a lungo termine del cambiamento climatico siano modesti e superati dalla crescita economica.
L’abbandono del costo sociale del carbonio provocherebbe conseguenze di vasta portata, rendendo estremamente difficile l’emanazione di nuove normative volte a rallentare il cambiamento climatico, inviando il segnale che il governo non considera il cambiamento climatico come un problema economico serio, e spostando i costi del cambiamento climatico dalle industrie inquinanti ai cittadini americani, che si troverebbero a fronteggiare spese crescenti per i danni climatici.
Mentre il cambiamento climatico si intensifica, con eventi meteorologici estremi sempre più frequenti e costosi, l’importanza di strumenti come l’SCC diventa sempre più evidente. Gli economisti avvertono che i costi dell’adattamento al cambiamento climatico potrebbero rivelarsi tanto onerosi quanto i danni ambientali stessi.
Il concetto di SCC è supportato da una solida base scientifica ed economica. Il premio Nobel per l’economia William Nordhaus ha contribuito in modo significativo allo sviluppo di questo approccio, che è stato confermato anche in sede giudiziaria. L’SCC è un elemento chiave per la definizione di standard di efficienza energetica e la regolamentazione delle emissioni inquinanti.
Il costo nascosto del carbonio: un peso per i cittadini, un profitto per le industrie
L’assenza di una misurazione accurata del costo sociale del carbonio crea un vuoto che avvantaggia le grandi industrie, come quelle petrolifere e automobilistiche, a scapito dei cittadini. In sostanza, ignorare i costi negativi del riscaldamento globale significa trasferire l’onere economico direttamente sulla società.
La Heritage Foundation sostiene che tutte le forme di energia dovrebbero competere ad armi pari e che le normative sul carbonio impongono costi economici significativi. Il think tank propone di vietare per legge l’uso del costo sociale del carbonio nell’elaborazione delle politiche, impedendo così alle future amministrazioni di utilizzarlo.
Negare la misurazione degli impatti economici del cambiamento climatico non elimina i costi, ma li trasferisce direttamente sui cittadini, che si troveranno a sostenere spese maggiori per beni e servizi essenziali. Le tariffe assicurative per le abitazioni sono in aumento a causa dei disastri climatici, e si prevede che possano raddoppiare o quadruplicare nelle aree più a rischio. L’aumento delle temperature estreme sta facendo crescere la domanda di energia, con conseguente incremento dei costi dell’elettricità.
Il caldo e l’umidità stanno riducendo la produttività del lavoro, incidendo negativamente sui redditi delle famiglie e sui profitti delle aziende. La produzione agricola è in calo a causa delle temperature elevate, compromettendo i mezzi di sussistenza degli agricoltori. Inoltre, le tasse locali sono destinate ad aumentare per finanziare i progetti infrastrutturali necessari a contrastare gli effetti del cambiamento climatico.
L’impatto del cambiamento climatico sull’economia statunitense è già significativo, con costi che ammontano a circa l’1,2% del PIL annuale e sono destinati ad aumentare. Le aree più vulnerabili, come la costa del Golfo, rischiano di subire una drastica riduzione della crescita del PIL, che potrebbe arrivare fino al 60%. Questo freno all’economia locale minaccia di tradursi in una stagnazione permanente. A livello nazionale, le stime indicano che il cambiamento climatico sta già costando centinaia di miliardi di dollari all’anno, una cifra che potrebbe superare il trilione nei prossimi decenni.
Il costo sociale del carbonio, introdotto dall’amministrazione Obama, ha svolto un ruolo cruciale nel rendere le industrie responsabili dell’inquinamento, costringendole a farsi carico dei costi delle normative necessarie per ridurre le emissioni. Inoltre, ha contribuito a ridurre i costi per i consumatori, incentivando la produzione di beni più efficienti dal punto di vista energetico.
Conclusioni
L’Heritage Foundation, nel suo rapporto e nelle interviste, assume una posizione estrema, suggerendo che l’aumento delle emissioni di carbonio potrebbe portare a benefici economici. Pur ammettendo l’incertezza dei modelli, il think tank sostiene che l’aumento delle temperature potrebbe favorire maggiori raccolti in alcune aree, compensando i danni causati da eventi climatici estremi.
In sostanza, propongono che il cambiamento climatico potrebbe essere vantaggioso sia per l’ambiente che per l’economia, arrivando persino a suggerire che “un po’ di tiepidezza fa bene alla società“, con possibili benefici come nuove opportunità di vacanza in zone precedentemente inospitali.