Pietro Badoglio ha rappresentato l’archetipo classico dell’italiano in grado di costruirsi una carriera grazie a potenti padrini.
Adulatore della peggior specie, accumulatore di cariche e di stipendi tanto che durante il regime fascista diventerà uno dei milionari del regime, ma soprattutto, uomo che grazie alla protezione dei potenti e ad un’innata furbizia riuscirà a sopravvivere ad autentici disastri militari, ad iniziare da Caporetto.
Badoglio nasce il 28 settembre 1871 a Grezzano Monferrato da un padre proprietario terriero e sindaco del paese che lo avrebbe voluto medico. Il giovane Pietro però viene profondamente colpito dalla strage di Dogali avvenuta il 26 gennaio 1887 quando il tenente colonnello Tommaso De Cristoforis, con una colonna di 500 uomini scorta una carovana di rifornimenti che deve raggiungere il forte di Sati dove una guarnigione italiana è assaltata da 25.000 abissini. La colonna De Cristoforis attaccata da circa 15000 abissini ripiega su una collinetta che si affacciava sulla valle e resiste fin quando non terminano le munizioni.
Si salvano soltanto una trentina di uomini, tra i morti giace anche il tenente colonnello De Cristoforis.
Badoglio, finito il liceo, si iscrive all’Accademia di Artiglieria di Torino. Il 16 novembre 1890 Badoglio ottiene la promozione a sottotenente, la prima di una lunga e prestigiosa carriera. Il 7 dicembre 1895 un altro massacro italiano subito all’Amba Alagi da soverchianti forze abissine induce il giovane Badoglio ad offrirsi come volontario per il nuovo Corpo di Spedizione incaricato di invertire le sorti del disastro africano. Non parteciperà a nessuno scontro a fuoco e nel 1899 rientra in Italia.
Qui dopo aver frequentato un corso alla Scuola di Guerra di Torino nel 1903 ottiene la promozione a captano. Badoglio è un giovane uomo di bell’aspetto, di poche parole come spesso lo sono i piemontesi, parco nel mangiare, amante del buon vino e con un unico vizio il fumo. Ama giocare a bocce che diverrà il suo passatempo principale in vecchiaia.
Non ama la vita mondana, ma è a Roma, durante uno dei rari balli a cui partecipa, viene colpito da una giovane donna, Sofia Valania, figlia di un colonnello dei granatieri. Quando il 20 novembre 1904 si celebrano le nozze lui ha 33 anni, lei 19. Rimarranno insieme felicemente per 38 anni ed avranno quattro figli.
La carriera di Badoglio da quel momento, tranne brevi interludi, si svolge tutta a Roma fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. In uno di questi interludi, da ottobre 1911 a giugno 1912, Badoglio è in Libia dove ha il suo battesimo di fuoco, viene leggermente ferito, si vede assegnare una medaglia di bronzo al valore ma soprattutto entra nelle grazie del generale Pietro Frugoni, comandante del corpo d’armata che lo chiama nel suo Stato Maggiore a ricoprire i compiti svolti prima da un colonnello.
A giugno del 1912 rientra a Roma al seguito di Frugoni ed a 40 anni è già maggiore. Il 25 febbraio 1915 mentre la guerra in Europa infuria già da mesi e l’Italia vive una controversa stagione di neutralità, Badoglio è nominato tenente colonnello e Frugoni, destinato al comando della Seconda Armata lo vuole con sé come sottocapo di Stato Maggiore.
Frugoni è letteralmente infatuato di Badoglio che se lo rigira alla grande, tanto da dichiarare più di una volta: “Questo Badoglio è come Napoleone, anche lui artigliere. E come lui diverrà un grande condottiero”.
Il 29 novembre 1915 Badoglio chiede e ottiene di lasciare lo Stato Maggiore e di essere trasferito alla 4 divisione, nella zona del Sabotino, sotto il comando del generale Luca Montuori. Pietro sa che ormai non può ottenere altro dal suo grande estimatore, Frugoni. Il Sabotino è una vetta contro la quale si sono schiantati numerosi attacchi italiani e Badoglio dopo aver studiato attentamente la situazione sviluppa un piano per scacciare gli austriaci da quello snodo per Gorizia.
Presenta il piano a Montuori che lo approva e che lo presenta a sua volta a Cadorna. Il Comandante in Capo convoca Badoglio e gli chiede di spiegargli come avrebbe preso il Sabotino, lui risponde serafico con “il sistema delle parallele che ci hanno insegnato alla Scuola di Guerra”.
Cadorna approva il piano e a Badoglio viene affidata la costruzione delle trincee necessarie per l’applicazione del piano. Incuriosito da questa “teoria delle parallele” Luigi Capello, assegnato al comando della II armata, va a visitare i lavori e viene colpito così favorevolmente da Badoglio che lo vuole con sé allo Stato Maggiore dell’Armata.
Il colonnello Badoglio (da poco è stato promosso per l’ennesima volta) si trasferisce a Vipulzano sede del Comando della II Armata, ma due volte alla settimana torna a visionare i lavori del Sabotino. Nell’estate del 1916 l’Italia subisce la “Strafexpedition”, la spedizione punitiva degli austriaci che ritarda l’offensiva sul Sabotino.
Respinto l’attacco nemico, il 6 agosto 1916, utilizzando i cunicoli scavati secondo il piano di Badoglio, durante la Sesta battaglia dell’Isonzo, la fanteria italiana conquista la vetta del Sabotino. L’avanzata è condotta dalla 45ma divisione comandata dal generale Venturi ma per le alte sfere dei Comandi il merito è tutto di Badoglio che per i suoi meriti sul campo verrà poi premiato con la promozione a maggior generale del Regio Esercito insieme al conferimento del titolo nobiliare di marchese del Sabotino.
Arriviamo alla vigilia di Caporetto. Cadorna fino agli ultimi giorni non ha creduto ad un’offensiva su larga scala del nemico, poi l’enorme mole di informazioni che nel tempo si sono accumulate, lo spinge a dare ordini di irrobustire l’apparato difensivo prima di prendersi un congedo per visitare le postazioni sull’Altopiano di Asiago perché continuava a temere che il ventilato attacco potesse provenire dal Trentino.
Nonostante gli ordini, come vedremo, Capello e Badoglio, per cui la guerra era attacco o non era, non cambieranno atteggiamento. Il 23 ottobre Cadorna convoca un vertice nei pressi di Cividale a cui partecipa anche il tenente generale Badoglio comandante del XXVII Corpo d’Armata schierato tra Dolje e Breg. Badoglio in dialetto piemontese assicura al Generalissimo che è tutto a posto e che non ha bisogno di niente per fronteggiare l’eventuale attacco nemico. Poi va a dormire tranquillamente alle 22, come sempre. Cascasse il mondo quella era l’ora nella quale Badoglio si ritirava.
Alle due di notte, con puntualità teutonica, inizia il bombardamento dal Rombon. Il cannoneggiamento non è soltanto furioso ma anche chirurgico, centri di comando, comunicazioni tutto viene spazzato via. Badoglio si ritrova isolato a Cosi, lontano dall’azione e non riesce a mettersi in contatto con il colonnello Cannoniere (in nomine fatum) che comanda le 800 bocche di fuoco del suo Corpo d’Armata che pertanto rimangono mute e non rispondono al fuoco nemico.
Allora cerca lui stesso di raggiungere le prime linee e qui inizia ad incontrare gruppi sempre più numerosi di sbandati che fuggono, cerca di fermarne qualcuno ma viene insultato ed ignorato. Dal varco prodottosi nel suo XVII Corpo d’Armata il nemico dilaga ed alle 15 entra a Caporetto. Badoglio vaga per tutto il giorno inutilmente, è un generale senza soldati. Isolato, tutti lo cercano, nessuno lo trova. Tre divisioni del suo Corpo d’Armata affidate al comando del generale Enrico Caviglia, che diverrà il suo accusatore numero uno e rivale per tutta la vita, si ritirano ordinatamente ed intatte fino al Piave.
Badoglio però è furbo e cerca di ricostruirsi immediatamente una “verginità”, si fa trovare sulla linea della Torre ed il 30 ottobre viene addirittura insignito della medaglia d’argento al valore! Il 6 novembre arriva a Vedelago con i resti della sua imponente armata ridotti ad una divisione raccogliticcia. Viene destituito dal comando, ma la sua caduta in disgrazia durerà pochissimo. Quando Armando Diaz è nominato Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito al posto di Cadorna viene deciso di affiancargli due sottocapi esperti, uno è Giardino, l’altro Badoglio. Con questa resurrezione nasce il mito di Badoglio.
La Commissione d’inchiesta su Caporetto durante i suoi lavori raccoglie un cospicuo dossier sui misfatti di Badoglio ma provvidamente per il nostro interviene Vittorio Emanuele Orlando che attraverso un intermediario intima al Presidente della Commissione Paratore di stralciare la posizione di Badoglio dall’inchiesta e di far sparire ogni prova delle sue colpe nel disastro di Caporetto. Anche Diaz, che non è un’aquila in fatto di strategia ed ha bisogno dell’esperienza del nostro, interviene a suo favore. Badoglio è salvo.
Nell’anno che porterà da Caporetto a Vittorio Veneto, Badoglio rimasto unico sottocapo di Stato Maggiore, si riscatterà mettendo in mostra tutte le sue qualità organizzative. Prima della fine della guerra ottiene l’ennesima promozione, generale d’armata e subito dopo il conflitto il Re lo nomina senatore del Regno (i nostri senatori a vita di nomina presidenziale per intenderci). Nominato dal Presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti commissario straordinario militare per la Venezia Giulia si ritrova con la gatta da pelare dell’occupazione fiumana guidata da Gabriele D’Annunzio.
Badoglio e D’Annunzio si conoscono, sono buoni amici, ed il primo spera di convincere il Vate a desistere attraverso dei negoziati, ma quando si rende conto che D’Annunzio è irremovibile, decide di non “sporcarsi le mani” con un’azione militare repressiva, per non inimicarsi i nazionalisti ed approfittando della sua nomina a Capo di Stato Maggiore, al posto di Diaz, conferisce a Caviglia l’incarico di risolvere la questione fiumana, mentre lui va a partecipare alla conferenza per il disarmo della Germania.
Nel 1922 fa però un altro mezzo passo falso. Badoglio non è più Capo di Stato Maggiore dal 3 febbraio 1921. In qualche modo viene reso noto un colloquio avuto con Facta dove assicura che se l’esercito verrà chiamato ad intervenite con la forza contro il fascismo non esiterà. Mussolini lo attacca duramente dalle pagine del suo giornale, Il Popolo d’Italia. Badoglio fa retromarcia, smentisce di aver pronunciato quelle parole ed il 4 novembre stringe pubblicamente la mano a Mussolini, appena diventato Presidente del Consiglio.
Ogni dissapore è appianato, d’altra parte, il nostro a 51 anni non vuole certamente uscire dal “giro che conta” e si avvicina sempre di più al fascismo che arriva ad elogiare pubblicamente a più riprese. Mussolini che ha bisogno di accreditarsi sempre di più nelle forze armate, nel 1923 nomina Badoglio, Ambasciatore d’Italia in Brasile e nel 1925, il 4 di maggio assume per primo l’istituenda carica di capo di stato maggiore generale, che mantiene ininterrottamente sino al 4 dicembre 1940. Riprende inoltre l’incarico, collegato alla carica precedente di capo di stato maggiore dell’Esercito.
Il 17 giugno 1926 viene promosso maresciallo d’Italia (insieme a Enrico Caviglia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Gaetano Giardino e Guglielmo Pecori Giraldi), grado istituito appositamente per quegli ufficiali che si erano particolarmente distinti durante la guerra mondiale, in precedenza attribuito solamente a Diaz e a Cadorna.
Mussolini ormai si affida ciecamente a Badoglio che ricambia il favore politico anche con un’impresa militare, la definitiva occupazione dell’Africa Orientale. Constatato che il quadrumviro De Bono non è in grado di sedare la ribellione delle bande guidate da Hailè Selassié, Mussolini spedisce il marchese del Sabotino a Massaua il 26 novembre 1935. Il 5 maggio 1936 Badoglio entra trionfalmente ad Addis Abeba, ha impiegato cinque mesi e dieci giorni per vincere la guerra etiopica.
Badoglio regala l’Impero al Duce che nel discorso pronunciato lo stesso giorno con la sua solita roboante oratoria affermerà: «[…]Non è senza emozione e senza fierezza che, dopo sette mesi di aspre ostilità, pronuncio questa grande parola. Ma è strettamente necessario che io aggiunga che si tratta della nostra pace, della pace romana, che si esprime in questa semplice, irrevocabile, definitiva proposizione: l’Etiopia è italiana!»
Quando rientra da Addis Abeba dopo la breve campagna etiopica, nella quale non esitò, per stroncare la ribellione di Hailè Selassiè, di utilizzare anche i gas velenosi, verrà accolto in trionfo dal regime. Sbarca a Napoli dove ad accoglierlo è il principe ereditario che lo accompagna in auto per le strade della città campana, mentre una folla plaudente inneggia al suo nome.
Nel suo tour celebrativo sarà ricevuto dal Papa ed andrà in Germania per assistere alle manovre dell’esercito tedesco, in quell’occasione incontra anche Hitler. Il regime fascista gli conferisce la tessera ad honorem del partito. Lui ringrazia e come “regalo” chiede un terreno per costruirsi una villa a Roma e 5 milioni di lire per le spese di edificazione. Gliene concederanno “soltanto” 3,5 milioni.
Badoglio sa di essere al massimo del suo potere personale e non si fa scrupoli nel chiedere favori e prebende. Quando gli anticipano che vogliono farlo duca di Addis Abeba, chiede la trasmissibilità del titolo per i suoi figli. Lui è già marchese del Sabotino ed ha due figli maschi, quindi gli sembra giusto, assicurare una “discendenza nobiliare” ad entrambi.
Il destino però non sarà così pietoso nella vita privata, la moglie Sofia Valania morirà per un tumore a 57 anni nel 1942. Dei suoi quattro figli Mario, Francesco, Paolo Ferdinando e Maria Annunziata, il secondo morirà ad appena 3 anni nel 1911 e Paolo Ferdinando morirà per un incidente sul fronte a Sebha il 30 aprile 1941.
Nel 1937 all’apice della sua carriera il cinquantaseienne Badoglio cumula stipendi ed indennità per le seguenti cariche: Maresciallo del Regio Esercito, senatore del Regno, viceré d’Etiopia, Ambasciatore in Brasile, Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, governatore della Libia e Capo di Stato Maggiore Generale. Ogni mese in tasca a Badoglio entrano 100.000 lire del 1937, oltre 91.000 euro di oggi, circa 1.100.000 euro l’anno!
Incensato ed arricchito da Mussolini il nostro torna a fare il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito come da sua richiesta, ma invece di occuparsi della modernizzazione e del rafforzamento delle forze armate rimaste sostanzialmente al livello della Grande Guerra preferisce coltivare i propri interessi e muoversi sapientemente nell’intricato labirinto del potere fascista romano. Cosicché quando l’Italia il 10 giugno 1940 entra in guerra lo fa con un esercito inadeguato, scarsamente equipaggiato e con armi obsolete.
La sciagurata campagna di Grecia fortemente voluta da Mussolini gli provoca i primi guai. Pubblicamente lascia le operazioni in mano al Duce anche se privatamente lo critica per la sua inadeguatezza. Il disastro greco presenta il conto a Badoglio. Roberto Farinacci, ras di Cremona, uno dei fascisti più rozzi e violenti, lo attacca dalle colonne del suo giornale “Il regime fascista” con un fondo che è tutto un programma: “Zavorra piccolo borghese”.
Badoglio va da Mussolini e dice che se Farinacci non ritratta lui si dimetterà da Capo di Stato Maggiore. Il Duce tergiversa. Allora si reca dal Re Vittorio Emanuele III che mellifluamente lo rassicura dicendogli che comprende bene la sua amarezza e la sua posizione. In realtà il Re e Mussolini sono d’accordo sulla destituzione di Badoglio, accolgono le sue dimissioni e gli comunicano il subentro di Ugo Cavallero, uno dei suoi avversari.
Badoglio si sente crollare il mondo addosso. Vicino ai 70 anni si ritrova improvvisamente disoccupato e fuori dai giri che contano. Intorno a lui il regime ha steso un cordone sanitario, tanto che ai funerali della moglie nel 1942 parteciperanno soltanto due personaggi illustri, il generale Roatta e l’Ambasciatore tedesco a Roma.
La catastrofe greca lo ha marchiato per sempre. Mai dare però Badoglio per morto, il suo desiderio di vendetta ed il suo opportunismo gli apriranno di li a breve un clamoroso ed inaspettato ritorno. Badoglio incontra nella sua villa a Roma numerosi esponenti di quelli che il Re chiama i “fantasmi”, uomini politici e personalità anagraficamente della sua età con i quali discute della situazione italiana.
L’anno decisivo è il 1943. L’esercito affidato al generale Vittorio Ambrosio inizia a prendere le distanze dal regime che nel frattempo matura una fronda interna capeggiata dal gerarca Dino Grandi che porterà nella drammatica riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 24/25 luglio alla destituzione di Mussolini ed al suo arresto.
Nella mattinata del 25 luglio 1943, prima ancora di ricevere Benito Mussolini a Villa Savoia, il settantaquattrenne Vittorio Emanuele III confersce a Pietro Badoglio l’incarico di formare il nuovo governo; il maresciallo d’Italia accetta, controfirmando l’apposito decreto. Il nuovo capo del governo aveva settantadue anni. Più tardi, alle ore 17:00, avviene l’arresto dell’ex primo ministro Benito Mussolini.
Nei 45 giorni che intercorreranno tra la destituzione di Mussolini e l’armistizio Badoglio dimostrerà la sua totale inadeguatezza al grave momento che attraversa il paese, abbandonando di fatto il nostro esercito a se stesso e preoccupandosi soltanto di saldare vecchi conti in sospeso come ad esempio arrestare l’odiato Cavallero. Badoglio si barcamena come può, cerca di rassicurare i tedeschi, che nel frattempo stanno invadendo dal Brennero la penisola e non prende seri contatti con gli Alleati.
Soltanto il 12 agosto, 18 giorni dopo la destituzione del Duce, aveva inizio il primo tentativo effettivo di trattative di pace con gli Alleati, affidato al generale Giuseppe Castellano. Nemmeno tale missione, tuttavia, fu attuata con la speditezza che la drammaticità della situazione esigeva.
Il Re non è contento di Badoglio e lo dice chiaramente ed a più riprese, l’ultima volta due giorni prima del’8 settembre. Dopo varie peripezie Castellano firma il 3 settembre, a Cassibile nei pressi di Siracusa, l’armistizio. La sera del 7 settembre, dopo essere sbarcati a Gaeta, giungono a Roma due ufficiali americani (Maxwell D. Taylor e William Gardiner), che alle 23:00 incontrarono il generale Carboni per concordare i particolari dell’Operazione Giant 2 che doveva mettere in sicurezza Roma, comunicandogli ufficialmente che, l’indomani alle 18:30, doveva essere resa nota l’avvenuta sottoscrizione dell’armistizio. A tale annuncio, il generale Carboni viene preso dal panico e, contrariamente a quanto assicurato ad Ambrosio il giorno prima, sostenne con forza che lo schieramento italiano non avrebbe potuto resistere più di sei ore alle truppe tedesche.
Alle 17.45 del’8 settembre l’agenzia Stefani capta una comunicazione della Reuter che annuncia l’uscita dalla guerra dell’Italia. Il resto è noto, il Re, Badoglio ed un folto gruppo di funzionari e generali fugge da Roma, direzione Brindisi, abbandonando senza disposizioni a se stessi, esercito e popolazione.
Roma si arrende ai tedeschi il 10 settembre alle ore 16:00. A Brindisi si stabilisce la sede del governo che, sotto la tutela dell’Amministrazione Militare anglo-americana, ha giurisdizione solo sulle provincie di Bari, Brindisi, Lecce e Taranto.
Il 29 settembre 1943 Badoglio firma a Malta il cosiddetto armistizio lungo. Il 13 ottobre dichiariamo guerra alla Germania, ottenendo in cambio lo status di cobelligeranza, l’unico contentino di una serie di clausole durissime previste dall’armistizio “lungo”. Badoglio sa che deve integrare il suo governo con gli esponenti dei partiti antifascisti ma questi pretendono ed alla fine ottengono l’abdicazione di Vittorio Emanuele III a favore del figlio che avviene il 12 aprile 1944.
Nel frattempo già dal febbraio di quell’anno il governo Badoglio si è trasferito da Brindisi a Salerno. Badoglio sopravviverà soltanto pochi mesi al Re che aveva servito con discutibili risultati per tutta la vita. L’8 giugno 1944, con il ritorno a Roma, il maresciallo Badoglio deve rassegnare le dimissioni nelle mani del nuovo luogotenente del Regno. Gli succede il 18 giugno Ivanoe Bonomi.
Ancora una volta l’uomo per tutte le stagioni, colui che era uscito impunito dal disastro di Caporetto, il generale che si era arricchito con Mussolini, scamperà al mandato di arresto per la mancata difesa di Roma. In suo favore interverrà Winston Churchill ed il provvedimento restrittivo verrà revocato.
Passerà gli ultimi anni della sua vita nella villa che si era costruito sulla Salaria, tranne i mesi estivi che passa nella sua Grezzano a giocare a bocce con gli amici di una vita. A prendersi cura di Badoglio fino agli ultimi istanti la governante Augusta Pellegrinetti ed il colonnello Francesco Bonora.
La giornata tipo del pensionato Badoglio ci viene raccontata proprio dal colonnello Bonora: il nostro si alzava alle otto, faceva colazione con caffèlatte e due biscotti. Poi se era bel tempo si concedeva una camminata chiacchierando. Alle 12 pretendeva di pranzare con assoluta puntualità e se si verificava un ritardo anche di pochi minuti andava in escandescenze. Mangiava di tutto senza particolari preferenze non rinunciando mai ad un buon bicchiere di vino. Dopo pranzo si riposava un po’ in poltrona e poi giocava a bridge fino alle otto di sera. A quell’ora cenava con caffèlatte e frutta cotta ed alle 21.30, puntualmente, andava a letto.
Nel 1953 gli muore un altro figlio, Mario e quest’ennesimo lutto peserà moltissimo sul Maresciallo d’Italia.
Pietro Badoglio muore a Grazzano il 1º novembre 1956 per un attacco di asma cardiaca. I funerali si svolsero il 3 novembre successivo, anniversario della firma dell’armistizio di Villa Giusti, con la partecipazione dei rappresentanti del governo, delle autorità e con tutti gli onori militari.
Si chiudeva così per sempre la vita e la carriera di un gattopardo in divisa che aveva segnato la storia d’Italia per mezzo secolo.