All’alba della quarta settimana di guerra, ci si domanda in che modo e quando il conflitto in Ucraina avrà termine. Per cercare di dare una risposta, dobbiamo effettuare un’attenta analisi di scenario delle operazioni belliche, che devono, forzatamente, considerare il comportamento dell’intero strumento militare russo e di quello ucraino.
La tattica bellica russa è mutata nel corso del conflitto, e non avrebbe potuto essere altrimenti perché, come spesso accade, la messa in pratica di un piano si scontra inevitabilmente con la realtà costantemente in divenire delle operazioni, dipendente da fattori che non è quasi mai possibile valutare pienamente e conseguentemente affrontare.
Il mutare delle operazioni belliche
L’invasione, che nella mente dello Stato maggiore russo, avrebbe dovuto essere una rapida operazione volta alla caduta del governo Zelensky per poter entrare in armi nella parte orientale del Paese e prenderne il controllo, stabilendo una fascia di sicurezza lungo il fiume Dnepr, non è riuscita come pianificato.
Nelle prime ore di guerra, l’assalto elitrasportato all’aeroporto di Gostomel, a nordovest di Kiev, che avrebbe dovuto stabilire una testa di ponte ben oltre le linee nemiche da utilizzare per una rapida puntata sui palazzi governativi della capitale per costringere Zelensky alla resa, è fallito per via della resistenza ucraina.
Una resistenza che ha potuto beneficiare di alcuni fattori interni ed esterni. Internamente l’esercito ucraino ha goduto degli aiuti militari occidentali, lungamente predisposti, con l’invio di armamenti difensivi moderni come gli ATGM (Anti Tank Ground Missile), dispositivi per l’EW (Electronic Warfare) e soprattutto i dati di intelligence, che Stati Uniti e Regno Unito avevano dichiarato mettere a disposizione di Kiev da ben prima l’inizio del conflitto.
Esternamente è stata la stessa tattica russa a causare la nascita di una resistenza efficace: Mosca non ha voluto calcare la mano nei bombardamenti delle prime ore (e della settimana immediatamente successiva) perché il desiderio del Cremlino era quello di tentare di rovesciare Zelensky dall’interno, con una sommossa popolare guidata dall’esercito. Gli appelli anteguerra alla “fratellanza” russo-ucraina, l’accusare i vertici ucraini di “nazismo” e, secondariamente ma in modo direttamente consequenziale rispetto a quest’ultimo punto, l’accusa di “genocidio” delle popolazioni russofone nell’est ucraino, erano funzionali proprio a questo.
Sono stati fatti anche errori meramente tattici da parte russa: l’invasione lungo quattro direzioni (cinque se consideriamo singolarmente le due manovre verso Kiev da est e da ovest), ha disperso uomini e mezzi, favorendo i contrattacchi di alleggerimento dell’esercito ucraino e allungando notevolmente le linee della logistica, già critiche da prima delle operazioni come dimostrano rapporti di unità russe senza rifornimenti quando erano accampate ai confini dell’Ucraina.
Difficoltà logistiche che si sono palesate proprio durante l’invasione: numerosi mezzi sono stati abbandonati dai russi perché in avaria o a corto di carburante. Anche l’utilizzo di personale di leva, frammisto a professionisti, ha avuto il suo peso: non è possibile effettuare puntate in profondità in territorio ostile con truppe non esperte in attività di fiancheggiamento oppure direttamente in carico di tali azioni.
L’attività di SEAD (Suppression Enemy Air Defense) è stata frammentaria, per le considerazioni già dette in merito alla volontà di non fare terra bruciata dell’Ucraina, e pressoché contemporanea alle operazioni terrestri: ricordiamo, a tal proposito, che durante la Prima Guerra del Golfo la campagna aerea durò sei settimane prima dell’invasione di terra. Possiamo considerare questa scelta un altro segnale dell’idea di Mosca di effettuare una rapida operazione.
I bombardamenti, in particolare, sono stati più intensi a est del fiume Dnepr, risparmiando basi e aeroporti a ovest, permettendo quindi una reazione, comunque scarsa data la sua poca consistenza, dell’Aeronautica Ucraina che non è stata “spazzata via dai cieli”. L’attività di SEAD, però, non si limita alla distruzione degli aeromobili nemici, ma anche dei sistemi antiaerei terrestri: anche da questo punto di vista si è vista un’azione russa a macchia di leopardo, probabilmente anche per carenza di intelligence, attività che se svolta correttamente avrebbe potuto permettere di scoprire l’ubicazione dei sistemi missilistici e di artiglieria mobili antiaerei ucraini ed eliminarli con attacchi mirati nelle prime ore del conflitto.
Detto ciò, la Russia ha dovuto rimodulare la tattica, passando a bombardamenti più estesi, anche usando l’artiglieria più intensamente, cercando di eliminare le numerose sacche di resistenza cittadine (Kharkov, Sumy, Mariupol che ancora resistono), e facendo entrare in azione la totalità delle forze mobilitate per l’operazione ritirando, contestualmente, parte del personale di leva – se non tutto. Quest’ultima scelta ha portato necessariamente all’arrivo di truppe fresche e professioniste (i ceceni) e ha aperto alla possibilità di far partecipare volontari siriani e libanesi, che probabilmente Mosca userà per il controllo del territorio in modo da liberare le sue truppe per l’avanzata.
La stessa modalità delle operazioni aeree è cambiata: se dapprima si sono effettuati attacchi usando principalmente missili da crociera – e sistemi missilistici di teatro basati a terra – in seconda battuta le sortite sono state fatte con munizionamento a caduta libera, principalmente durante la notte, di concerto con l’avanzata del fronte terrestre, per cercare di mettere al riparo i velivoli almeno dai sistemi antiaerei portatili (MANPADS), che hanno avuto un certo peso nel contrasto all’attività SEAD russa.
Ora lo Stato maggiore di Mosca ha intensificato ulteriormente la campagna aerea, tornando anche a usare missili da crociera più intensamente, che però stanno colpendo principalmente obiettivi nell’ovest ucraino rispondendo così a una doppia esigenza: cercare di eliminare gli hub di ammassamento/smistamento dei rifornimenti di armi occidentali, e completare la distruzione delle forze ucraine (la “smilitarizzazione” richiesta dal Cremlino) minandone nel contempo il morale.
Anche le operazioni terresti sono state rivedute: se dapprima si è cercato principalmente di puntare sulla capitale e mettere in sicurezza una fascia territoriale che va dalla Crimea alla Federazione Russia, chiudendo Mariupol alle spalle, ora si assiste al tentativo di aggiramento in alcuni settori: a sud dove le brigate corazzate e meccanizzate russe dapprima hanno puntato su Mykolaiv e poi più a nord, a est nel tentativo di aggirare gli ucraini trincerati nel Donbass sin dal 2014 e di mettere in sicurezza Zaporozhizhia, e a nord, superando le sacche di resistenza per arrivare alla capitale da est e completarne l’accerchiamento da sud.
Una tregua è possibile?
Questa tattica però si sta scontrando con la resistenza ucraina, che, come già detto, assume le caratteristiche di contrattacchi di alleggerimento, anche a livello brigata, e di tattiche di guerriglia, sfruttando unità piccole (livello plotone/compagnia) con attacchi mordi e fuggi usando ATGM e altre armi anticarro.
La resistenza ucraina, che si è palesata solo con contrattacchi di alleggerimento e azioni di guerriglia, però non potrà durare a lungo in questo modo: il conflitto si è trasformato in una guerra di logoramento, di attrito, per cui nonostante i rifornimenti di armamenti, per il momento palesatisi solo in armi “leggere” ed altro equipaggiamento personale, va considerato che non sarà possibile contrastare efficacemente tutte le direttrici di attacco russe, e che l’esercito sarà costretto a ritirarsi verso posizioni strategiche come Odessa, Kiev, e la zona centrale del Paese immediatamente a ovest del fiume Dnepr in modo da scongiurare una possibile offensiva da sud verso la capitale.
Parallelamente Mosca dovrà considerare di non avere la possibilità di continuare a lungo con questa tattica: la logistica è in crisi, e risulta – anche se non confermato – che il Cremlino si sia rivolto alla Cina per, almeno, ottenere razioni e alcuni sistemi elettronici; le stesse forze mobilitate non sono sufficienti, come già detto, per l’avanzata e il controllo del territorio (contrasto alla guerriglia), per cui si è deciso di far affluire rinforzi dai distretti militari orientali, che però richiederanno tempo per l’impiego proprio per le stesse difficoltà logistiche.
Quindi al di là delle parole di propaganda di entrambe le parti possiamo affermare che le operazioni continueranno almeno per altri 15/20 giorni, a meno che i colloqui, che ora partono da presupposti migliori come l’annunciata rinuncia di Kiev a voler entrare nell’Alleanza Atlantica, non portino a una tregua.
Bisogna però considerare che la pace è ben lungi dal venire: Mosca non se ne andrà da quella fascia di territorio che va dalla Crimea al Donbass perché uno degli obiettivi strategici di questa guerra è proprio quello di dare continuità territoriale tra la Federazione e la provincia crimeana, pertanto questo potrebbe essere un ostacolo molto importante sia a livello locale, perché Kiev potrebbe semplicemente non accettare lo stato di fatto, sia a un livello superiore, perché significherebbe derogare dai principi del diritto sovranazionale (ONU) e concedere una “vittoria” a Mosca.
Una vittoria che dimostrerebbe che è possibile riscrivere le regole della comunità internazionale, che è proprio quello che vorrebbero Russia e Cina in ultima analisi.