Secondo la definizione dell’organizzazione mondiale della sanità, la comunicazione dei rischi nelle emergenze sanitarie deve sempre includere tutte le funzioni necessarie a sollecitare un processo decisionale informato, come, ad esempio, l’adozione di comportamenti positivi nella gestione degli eventi impattanti la salute pubblica, disseminando nel contempo, tutte quelle informazioni relative ai rischi per la salute, tramite un insieme di metodi basati principalmente sulla bidirezionalità delle comunicazioni sociali.
Durante le fasi di una criticità pandemica, la comunicazione del rischio riveste un ruolo centrale; difatti, tanto la disponibilità delle informazioni quanto il corretto comportamento della cittadinanza, rappresentano i fattori essenziali di una corretta governance dell’emergenza.
Un comportamento collaborativo della popolazione durante la gestione di una crisi sanitaria, seguendo attentamente le istruzioni mediche, ma ancor più durante la gestione di talune malattie trasmissibili, prefigura il punto focale del corretto governo di qualsiasi emergenza sanitaria; tanto è vero, che la corretta percezione della minaccia da parte della popolazione, inquadra nel giusto conteso il controllo dei contagi.
Quanto detto è fondamentale nell’approccio comunicativo generale, perché talune e specifiche caratteristiche delle epidemie, come ad esempio i tassi di infezione, la disponibilità di determinate misure protettive, le mirate profilassi terapeutiche, possono falsare la reale percezione del rischio.
Risulta dunque evidente, come tutte quelle iniziative informative, seppur dettate dallo stato emergenziale, che non tengano in considerazione i fattori appena esposti, al di la della loro possibile inefficacia, assumeranno, nel contempo, un potenziale decisamente controproducente.
Ecco perché è fondamentale che qualsiasi comunicazione verso la cittadinanza, in uno stato di crisi pandemico, sia sempre strutturata sul dialogo bidirezionale, e mai cadere nell’errore di comunicazioni verticalizzate e unidirezionali!
Peraltro, nell’ambito della comunicazione istituzionale collettiva, un altro aspetto centrale riguarda la pianificazione di questa attività, perché ricordiamo sempre, che nessun progetto, nessuna linea tattica inerente la comunicazione sociale del rischio risulterà mai efficace se non sia stata preventivamente sviluppata e testata poi, ancor prima il verificarsi degli eventi critici; tanto è vero che, laddove manca un piano di comunicazione sui cui far riferimento negli stati di necessità, l’intero processo di emergency recovery si complica enormemente, dilatando i tempi necessari per poter uscire dallo stallo emergenziale.
In una emergenza epidemica come quella attuale, da Covid-19, la circolazione tempestiva di informazioni affidabili svolge un ruolo fondamentale per la mitigazione del rischio, il contenimento della diffusione del virus, con il conseguente contenimento del danno socioeconomico; cosicché, ad esempio, tali informazioni potrebbero essere vettorate proprio attraverso l’uso intelligente delle piattaforme social.
Analizzando i dati contenuti nel report Digital In 2020, relativi all’utilizzo di internet, dei supporti social e di tutti i device mobili, osserviamo come 4,6 mld di individui, – sui 7,8 mld componenti la popolazione mondiale -, risultano connessi ad internet circa 3,8 mld sono quelli che utilizzano regolarmente i social network, mentre sfiorano quota 5,2 mld quelli che utilizzano giornalmente i diversi dispositivi mobili.
Dati questi, che fotografano un fatto oggettivo, vale a dire, come una singola innovazione tecnologica abbia di fatto agevolato la strada ad una più ampia rivoluzione culturale, e dunque, persino psicologica e comunicativa.
Ora, nell’era della conoscenza globalizzata tutto ciò rappresenta, senza alcun dubbio, una trasformazione epocale, generata in una società dove i flussi di notizie nascono e si espandono, principalmente attraverso i canali online e social, perché l’accessibilità alle informazioni costituisce una prerogativa indispensabile per una comunicazione incisiva, soprattutto in settori come la protezione civile che opera spesso in (per) situazioni di emergenza.
D’altra parte, quanto detto è stato riscontrato, ahinoi, durante l’emergenza delle Torri gemelle, che nel settembre 2001 colpi gli USA; ebbene, furono proprio i canali internet i primi ed unici vettori informativi – collassando poi per sovraccarico – ad essere utilizzati dalla popolazione, per fornire e reperire notizie riguardanti l’evoluzione di quella particolare emergenza collettiva.
E non poteva essere altrimenti, perché in questi casi, ogni evento critico crea l’interruzione fisica istantanea delle linee telefoniche, e dove ancora funzionanti il collasso funzionale delle stesse generato dal congestionamento infrastrutturale.
E’ del tutto evidente, come i diversi canali social Facebook, Twitter, Instagram, Whatsapp e altri, in tali situazioni emergenziali possano fornire una concreta alternativa, fondamentale nell’ottenere informazioni necessarie ai soccorsi; di fatto, i vettori social hanno creato nel tempo una nuova architettura sociale proprio nella comunicazione dei rischi, stravolgendo di fatto, tutti i modelli comunicativi tradizionali, dal momento che gli utenti non saranno più soltanto dei semplici ricettori dell’informazione, quanto piuttosto i nuovi generatori real time della stesse, trasformando la classica verticalizzazione informativa (istituzione-cittadino), in una struttura decisamente più orizzontale, partecipativa (amplificazione esponenziale della condivisione) e bidirezionale (istituzione-cittadino-istituzione), una situazione che farà certamente la differenza nel ciclo della gestione del rischio.
Rimane in capo all’istituzione, invece, l’analisi delle informazioni raccolte, disseminandole successivamente verso l’utenza interessata dagli eventi, o come semplici alert, o come vere e proprie istruzioni comportamentali in risposta al rischio.
Pur tuttavia, solamente un uso integrato delle varie piattaforme social concretizzerà un’efficace comunicazione dell’emergenza/pericolo, tanto è vero che è proprio la popolazione durante gli stati di crisi, a farne un uso condiviso, giacché lo stesso web consente l’utilizzo integrato e istantaneo di diverse piattaforme multimediali, garantendo così la gestione puntuale delle informazioni, a seconda del target di riferimento e del contenuto informativo.
Ad esempio, Twitter, con la sua connotazione di istantaneità, e funzionalità, finisce per facilitare l’ordinata catalogazione di grossi flussi informativi attraverso i suoi #hashtag, particolarità che ne fa uno degli strumenti social maggiormente utilizzati nelle emergenze. Una piattaforma che con una potenzialità di appena 140 caratteri, favorisce perfettamente la diffusione di informazioni istantanee, utili nelle comunicazioni ambientali critiche, ma di estrema importanza nel coordinamento delle operazioni di primo intervento; tra l’altro, questo social contiene delle altre peculiarità, come i post realtime, la messaggistica pubblica, un contenitore di followers, la possibilità del retweet e dei tag, ebbene, l’integrazione di tutto ciò crea un dispositivo di più ampia portata nella disseminazione delle informazioni.
Sulle potenzialità intrinseche e sull’uso di questo social nel campo delle emergenze è intervenuto persino un organismo dell’ONU, l’OCHA (Office Coordination Humanitarian Affairs), mediante una sua standardizzazione pubblicata in una guida, dove si indicano i tre principali hashtag, utilizzabili nei post (geolocalizzati) utilizzati nelle fasi emergenziali: # nome della calamità, # public reporting e # richiesta di soccorso.
Ma la rilevanza dei social network nelle calamità collettive fu rimarcata già nel 2015, con il Sendai Framework for Action, la Conferenza Mondiale dell’ONU sulla riduzione del rischio catastrofi, un documento approvato dalla World Conference on Disaster Risk Reduction, all’interno del quale si includevano per la prima volta i social media come strumenti ufficiali per la gestione delle emergenze, naturali o sanitarie che fossero.
Appare evidente come l’inclusione delle piattaforme digitali sia ormai una componente irrinunciabile nelle attività di communication e governance del rischio nelle fasi di qualsiasi emergenza; pur tuttavia, rimane assolutamente necessaria la supervisione dei social network da parte delle istituzioni preposte, in modo tale da organizzare, ottimizzandolo, il grosso delle informazioni provenienti dal campo, affinché tutti i dati e le notizie raccolte vengano preventivamente analizzate, avendo così la garanzia di restituire ai cittadini, informazioni tempestive, verificate e il più possibile dettagliate, ma soprattutto utili per raggiungere una concreta mitigazione del rischio, sviluppando nel contempo, una reale cultura di protezione civile supportata positivamente dall’azione informativa della cittadinanza.
Articolo a cura di Giovanni Villarosa