Con un linguaggio evocativo paragoniamo le stelle a degli enormi reattori nucleari cosmici. Il loro ciclo vitale è scandito dalla fusione di nuclei di idrogeno in nuclei di elio. Da quasi un secolo sappiamo che esistono due modi di produrre questa fusione. Il primo è la cosiddetta “catena protone-protone” .
Il processo fu ipotizzato nel 1939 dal fisico e astronomo tedesco Hans Albrecht Bethe. Il ciclo protone-protone rappresenta la sorgente di energia principale per la maggior parte delle stelle dell’universo, compreso il Sole nel quale questa catena è il processo predominante.
Questo ciclo parte da quattro protoni e produce un nucleo di elio-4, passando attraverso la produzione di nuclei di deuterio e di elio-3. Il secondo ciclo si chiama CNO, sigla di ciclo carbonio-azoto-ossigeno. I modelli teorici prevedono che il ciclo CNO sia la principale sorgente di energia per le stelle più massicce, con masse circa il 20% maggiori di quella del Sole, mentre la catena protone-protone è dominante per le stelle più piccole.
Questo ciclo fu scoperto nel 1938 da Hans Bethe e indipendentemente da Carl Friedrich von Weizsäcker. Il CNO utilizza nuclei di carbonio, azoto ed ossigeno con l’idrogeno che però non vengono consumati: attraverso una serie di reazioni, si trasformano uno nell’altro, tornando allo stato originario. Questo ciclo lo conosciamo appunto fin dal 1938, quello che non sapevamo era il peso che il ciclo CNO aveva, ad esempio, nel nostro Sole.
Per scoprirlo sarebbe stato necessario scrutare fin dentro la fornace nucleare della nostra stella, cosa oggettivamente complicata. Per ovviare a questa apparentemente insormontabile difficoltà la ricerca ha utilizzato i neutrini prodotti durante le reazioni di fusione come “sonde solari”.
I neutrini infatti hanno distribuzioni energetiche diverse a secondo che siano prodotti dal ciclo catena protone-protone o da quello CNO. Catturare i neutrini però è più semplice a dirsi che a farsi, queste sfuggenti particelle infatti interagiscono molto debolmente con la materia. Basti pensare che nonostante circa 60 miliardi di neutrini solari attraversino un centimetro quadrato della nostra pelle ogni secondo, sono pochissimi quelli che riescono a lasciare una traccia del loro passaggio nei sofisticati strumenti di misura ideati dai ricercatori.
Dopo decenni di tentativi la prima prova sperimentale di neutrini prodotti durante il ciclo CNO è arrivata solo pochi mesi fa grazie alla collaborazione internazionale Borexino. Si tratta di un esperimento di fisica delle particelle situato nella Sala C dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, a circa 150 km nord-est di Roma. Borexino è un rivelatore a scintillatore liquido di grandi dimensioni il cui scopo primario è lo studio delle proprietà di neutrini solari a bassa energia.
Nonostante Borexino sfrutti l’ambiente sotterraneo che lo scherma dalle contaminazioni e ben 300 tonnellate di liquido scintillatore, chiamato così perché emette un segnale luminoso quando è attraversato da un neutrino, solo poche di queste elusive particelle producono un segnale di rilevamento al giorno.
I risultati di Borexino pubblicati a novembre su Nature hanno confermato che il ciclo CNO produce circa l’1% dell’energia solare mentre il restante 99% è dovuto alla catena protone-protone. Il successo di questo esperimento conforta la comunità scientifica sull’utilità di utilizzare i neutrini come efficaci “sonde solari”.
fonti:
alcune voci di Wikipedia, Le Scienze gennaio 2021, ed. cartacea