Dalla propulsione al plasma a quella termonucleare: il futuro dei viaggi spaziali

Il futuro delle missioni spaziali è fortemente condizionato da motori in grado di aumentare sensibilmente la velocità dei vettori

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La ricerca di un’altra possibile casa fuori dalla Terra è ostacolata dalle immense distanze della nostra galassia. Per raggiungere Tau Ceti, dove si suppone possa esserci un esopianeta potenzialmente abitabile impiegheremmo circa 12 anni viaggiando alla velocità della luce. Una velocità che è al di fuori delle possibilità umane.

Per avere un’idea di quello che è il problema basti pensare che la sonda Voyager 1 sta viaggiando fuori dal Sistema Solare a circa 17 km al secondo, una velocità raggiunta dopo aver compiuto delle manovre di fionda gravitazionale intorno a Giove e Saturno. La velocità della luce come sappiamo è di circa 300.000 km al secondo. Alla  velocità di Voyager 1 impiegheremmo circa 30.000 anni per raggiungere Tau Ceti.

Quali sistemi di propulsione possiamo esplorare per rendere un po’ più praticabili i viaggi spaziali? Con questo post iniziamo ad approfondire quello più convenzionale: la fusione termonucleare. Secondo le più ottimistiche analisi arriveremo a dominare questa incredibile fonte di energia intorno al 2050, dopo cioè un intero secolo di ricerca e sviluppo.

E che cosa comporteranno le centrali a fusione del 2050 per quanto riguarda la propulsione spaziale a fusione? I progetti più realistici potrebbero raggiungere i 100 chilometri al secondo, che potrebbero arrivare a 300 per la fine di questo secolo. Siamo sempre enormemente lontani dalla velocità della luce e per tornare al nostro esempio di Tau Ceti, viaggiando a 300 km al secondo abbatteremmo il tempo necessario per arrivarci a soli...13.000 anni.

La propulsione a fusione si ottiene quando, facendo fondere degli atomi di deuterio per formare atomi di elio, una parte di questa massa a riposo viene convertita in energia. Se questa energia venisse tutta trasformata in energia cinetica (energia di movimento) dell’atomo di elio, quest’ultimo si muoverebbe a circa un decimo della velocità della luce. Questo ci suggerisce che, se potessimo convertire tutta l’energia di fusione del combustibile (deuterio) in un moto ordinato dell’astronave, potremmo arrivare a una velocità di circa 1/10 di quella della luce. Sarebbe certamente un bel passo avanti.

Nel 1968 Freeman Dyson, un fisico, descrisse un rudimentale sistema di propulsione che con una tecnologia altamente evoluta avrebbe potuto raggiungere un simile risultato. Questo sistema prevedeva l’esplosione di bombe termonucleari dietro un ammortizzatore semisferico di 20 chilometri di diametro. Lo scarico della bomba spingerebbe l’astronave in avanti, permettendole di raggiungere, nelle più ottimistiche stime di Dyson, una velocità pari a un trentesimo di quella della luce.

Lo stesso fisico statunitense ammetteva, però, che nella migliore delle ipotesi questo traguardo non sarebbe stato raggiunto prima del 2150! Certo è che se riuscissimo a raggiungere una velocità pari ad 1 decimo di quella della luce, ovvero circa 30.000 km al secondo, arriveremmo a Tau Ceti in circa 120 anni, un traguardo raggiungibile con un’astronave generazionale.

Molto più concreta e praticabile sarebbe una propulsione al plasma. Il plasma è un  “gas ionizzato”, ovvero un gas in cui elettroni e ioni (i nuclei degli atomi) sono liberi di muoversi gli uni rispetto agli altri. Un motore spaziale al plasma, semplificando enormemente, si ottiene mettendo del gas in un contenitore, ionizzandolo e poi sottoponendolo ad un campo elettrico in una direzione. Gli elettroni carichi negativamente e gli ioni carichi positivamente si muoveranno nella direzione del campo elettrico in verso opposto.

Naturalmente la realizzazione ingegneristica è molto più complessa e ci sono diversi modi per determinare l’energia cinetica del plasma. Alcuni, per esempio, non applicano un campo elettrico esterno, ma sfruttano i campi elettromagnetici creati dal movimento delle cariche stesse nel plasma, riuscendo ad accelerare sia ioni che elettroni nella stessa direzione, aumentando così la spinta a parità di carburante.

I propulsori al plasma finora sperimentati sono stati progettati per funzionare nel vuoto o alle basse densità di gas dell’alta atmosfera (devono perciò attingere gas da un serbatoio). A livello del suolo, la spinta prodotta è dell’ordine di grandezza di quella che  esercitiamo quando colleghiamo una spina ad una presa di corrente, troppo bassa per vincere attrito e pressione atmosferica e quindi spostare un veicolo terrestre.

La società inglese Pulsar Fusion ha testato recentemente un prototipo in miniatura di un motore al plasma che, a regime, avrà un’efficienza 10 volte maggiore dei vettori a razzi fin qui utilizzati per le missioni spaziali. Se lo sviluppo di questo motore continuerà  a produrre i risultati attesi abbatterà drasticamente il tempo necessario per arrivare su Marte (circa sei mesi per la sola andata) e renderà il progetto di una colonia permanente molto più concreto e ravvicinato nel tempo.