La prima conoscenza degli effetti del campo magnetico terrestre affondano nella mitologia; la leggenda racconta che un pastore dell’antica Grecia si imbatté in alcune rocce che attiravano misteriosamente la punta metallica del suo bastone.
Quelle rocce erano magneti naturali chiamate calamite (o magneti). Non sappiamo se magnete derive da Magnes, il nome del pastore che fece questa stupefacente scoperta o più probabilmente dal greco μαγνήτης λίθος (magnétes líthos), cioè “pietra di Magnesia”, dal nome di una località dell’Asia Minore, nota sin dall’antichità per gli ingenti depositi di magnetite.
Il primo, però, a descriverne le caratteristiche fu Talete di Mileto intono al 550 a.e.v. Passeranno però circa 1500 anni prima che, all’altro capo del mondo, esattamente in Cina, uno scienziato ed astronomo di nome Shen Kua, avesse una grande intuizione: dato che le scaglie della “pietra magnetica” tendevano a orientarsi sempre nella stessa direzione perché non usarle per orientarsi?
Era il principio della “bussola” che fu introdotta in Europa soltanto nel XII secolo. Il primo ad affermare che la Terra era un unico, gigantesco magnete fu però, circa 300 anni dopo, William Gilbert, medico di corte della regina Elisabetta I.
Per comprendere la natura e la formazione del campo magnetico terrestre ci volle ancora del tempo.
Il campo magnetico appare quando ci sono delle cariche elettriche in movimento. L’interno del nostro pianeta è percorso da un “fiume” di ferro e nichel allo stato fluido in cui nuotano miliardi di elettroni. La rotazione del nostro pianeta su se stesso promuove lenti vortici in direzione ovest-est all’interno di questo fluido “elettrico”.
Il risultato è una sorta di invisibile ma utilissimo “scudo” magnetico: la magnetosfera che protegge la vita del pianeta dai raggi cosmici, ovvero da una costante tempesta di particelle ad alta energia che la colpiscono ad una velocità di 400-800 km al secondo. Sono per lo più pezzi di atomi: elettroni, protoni, neutroni e altri nuclei che hanno perso i loro elettroni durante il loro lunghissimo viaggio siderale.
Ma cosa c’entra il campo magnetico terrestre con le tartarughe ed in special modo con quelle marine?
Questi animali della famiglia dei rettili, dotate di polmoni, ma che prediligono la vita acquatica, effettuano delle straordinarie migrazioni attraverso gli oceani quando devono nidificare per la riproduzione.
Alcune popolazioni percorrono più di 2.000 km attraverso l’Oceano Atlantico, dal luogo in cui si annidano al luogo in cui si nutrono in Brasile. Altre partono dal Golfo del Messico verso l’area del Mississippi e poi scendono verso la penisola dello Yucatan. Le tartarughe olivacee (Lepidochelys olivacea) viaggiano in gruppo dal Pacifico orientale, dove si nutrono, fino all’Oceano Indiano, dove si riproducono.
Ma come fanno a ritrovare esattamente le stesse spiagge dove si sono riprodotte l’anno precedente? Per orientarsi queste tartarughe marine utilizzano proprio il campo magnetico terrestre: “sentono” dov’è il nord e percepiscono le diverse intensità del campo. E come se queste creature possedessero una sorta di cartina magnetica che gli consente di ritrovare la strada di casa grazie al fatto che ogni zona ha le sue peculiari caratteristiche magnetiche.
Il campo magnetico terrestre e le tartarughe marine
Questi animali della famiglia dei rettili compiono migrazioni di migliaia di chilometri per ritrovare le spiagge dove si sono riprodotte e non sbagliano un colpo grazie al campo magnetico terrestre
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