All’alba di uno degli ultimi giorni di febbraio 1956 una contadina del villaggio tedesco di Gross-Reken, in Westfalia, si recò a lavare i panni in una capanna riscaldata da una stufa, utilizzata per questo scopo durante l’inverno, e rimase inorridita a vedere un uomo che si rotolava nella neve urlando, con la schiena completamente ricoperta di gravissime ustioni.
Il medico condotto, accorso poco dopo, lo fece trasportare in una casa, gli praticò un’iniezione di morfina e si accinse a compilare un ordine di ricovero all’ospedale, chiedendo ai contadini presenti il nome dell’uomo: loro si strinsero nelle spalle: “E’ il nero Engelbert”. Cosa significava quello strano nome?
In tedesco schwarz, cioè nero, significa anche clandestino, illegale; nessuno sapeva come si chiamasse effettivamente il poveraccio, sapevano solo che quell’uomo era appunto der schwarze Engelbert, l’uomo dei boschi. Il giovane medico non ne aveva mai sentito parlare, e sul proprio ordine di ricovero non poteva certo scrivere “Il nero Engelbert”. E dopo aver invano frugato le numerose tasche del poveraccio, che indossava sette camicie, cinque giacche, quattro paia di pantaloni e otto mutande, naturalmente in condizioni pietose, decise di avvertire la polizia della vicina città di Dorsten. Quando l’agente Riedemann udì il racconto del medico, sbarrò gli occhi per la sorpresa: perché aveva sentito parlare più d’una volta dello schwarze Engelbert, ma non lo aveva mai visto, anzi aveva sempre creduto che si trattasse di una superstiziosa leggenda degli abitanti della zona.
Il medico e il poliziotto tornarono a Gross-Reken e trovarono l’uomo misterioso sveglio e in grado di essere interrogato. Lo strano tipo, sporco e barbuto come può esserlo solo chi da anni non conosce sapone nè pettine, disse di chiamarsi Engelbert Lehnert, di avere sessantasette anni e di abitare nel bosco. Documenti? Non ne aveva. E quindi si chiuse nel più assoluto mutismo, interrompendolo solo ogni tanto per ripetere in dialetto che voleva tornare nel bosco. Era invece necessario portarlo all’ospedale di San Michele nella vicina cittadina di Lembeck, ma per essere ricoverati in un ospedale occorre avere un nome e un cognome provati da documenti personali. Lo sventurato, oltretutto, era in preda al delirio. Gridava ogni tanto: “Via dagli uomini! Voglio tornare nel bosco!” E così l’agente Riedemann fu costretto a condurre un’inchiesta a fondo.
Il nero Engelbert era comparso all’improvviso la sera prima a Gross-Reken e si era infilato nella capanna per ripararsi dal gelo. Si era sdraiato vicino alla grossa stufa semispenta e si era addormentato; probabilmente durante la notte il vento aveva ravvivato le fiamme e i suoi vestiti avevano preso fuoco.
Molti degli abitanti della zona lo conoscevano di vista, anche se non avevano mai scambiato una parola con lui. Se al mattino trovavano in mezzo ai campi un mucchio di barbabietole strappate dal suolo, o si accorgevano che qualcuno aveva spaccata la legna o spazzato il cortile, tutti sapevano che era venuto il nero Engelbert. E per consuetudine ognuno pagava in natura il misterioso personaggio, lasciando bene in vista nel campo o nel cortile un indumento usato o un po’ di cibo. Con il favore delle tenebre, il “Robinson dei boschi” come fu subito ribattezzato dalla stampa, si avvicinava cautamente alle case dei contadini, ritirava il “compenso” e si rifugiava nuovamente nel bosco. Molti anni prima qualcuno si era dato da fare – per semplice curiosità – per scoprire dove si celasse la tana di quel misterioso individuo. Ma nessuno era riuscito a rintracciarla e un po’ alla volta tutti si erano abituati alla sua misantropia e al suo strano modo di vivere.
Con il nome dell’ustionato e queste informazioni, l’agente Riedemann non tardò a scoprire proprio a Dorsten un fratello di Engelbert, il settantenne Alois Lehnert. Questi disse che non lo vedeva da quasi quarant’anni, da quando, nel 1917, aveva preso la via dei boschi. Perché? Engelbert, allora, era innamorato di una ragazza di Heiden. Benché appena ventottenne, non era stato richiamato alle armi perché era l’ultimo di sei fratelli, tutti in guerra, ed era stato lasciato a casa per accudire ai lavori dei campi. Le gravissime perdite subite sui campi di battaglia, però, avevano costretto il governo imperiale a rivedere tutte le esenzioni militari e anche Engelbert si era visto arrivare la cartolina-precetto. Forse per il timore che se egli fosse partito per la guerra qualcuno gli avrebbe rubata la ragazza, forse molto più semplicemente per paura di lasciarci la pelle, Engelbert Lehnert, invece di raggiungere il comando del distretto, prese la via dei boschi.
L’agente Riedemann appurò subito che il lontano reato di diserzione era ormai prescritto. E poiché, negli anni successivi, nessuna autorità si era mai occupata di Engelbert Lehnert, dal punto di vista della polizia il “Robinson dei boschi” non aveva nulla da temere. Così, accertata definitivamente la sua identità in base alla testimonianza del fratello, potè essere ricoverato nell’ospedale di Lembeck.
Il suo caso, nel frattempo, aveva interessato tutta la Germania e la stampa aveva cominciato a seguirlo con curiosità. Così si venne a sapere che Engelbert non aveva mai sentito nominare Stalin, che non aveva mai avuto sentore né di Hitler né del nazismo, che non sapeva neppure che ci fosse stata una seconda guerra mondiale: e che non aveva nessuna voglia di essere messo al corrente di quanto fosse avvenuto nel mondo, da quando egli si era staccato dal genere umano.
Dopo qualche giorno in cui si dubitò della sua sopravvivenza, Engelbert si riprese. I medici constatarono che il suo fisico era di eccezionale resistenza, probabilmente temprato dalla durissima vita condotta per tanti anni.
Il borgomastro di Dorsten dichiarò che, appena ristabilito, avrebbe avuto un posto assicurato in un ricovero per vecchi: invece Engelbert rimase all’ospedale di San Michele ancora per otto anni, in una camera che gli era stata assegnata, sempre chiuso e taciturno, rifiutando quasi ogni contatto umano; era libero di uscire dall’ospedale ma non ne approfittò mai per tornare nei boschi.
La sera del primo dicembre 1964, mentre camminava lungo una strada poco illuminata, fu investito da un’auto: trasportato all’ospedale, morì la mattina dell’8 dicembre.
Engelbert, l’uomo dei boschi
Engelbert non aveva mai sentito nominare Stalin, che non aveva mai avuto sentore né di Hitler né del nazismo, che non sapeva neppure che ci fosse stata una seconda guerra mondiale: e che non aveva nessuna voglia di essere messo al corrente di quanto fosse avvenuto nel mondo, da quando egli si era staccato dal genere umano.
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