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Entanglement quantistico: il paradosso EPR e la prima foto che ne prova l’effettiva realtà

La prima foto che comprova l'esistenza dell'entanglement quantistico la dobbiamo ad un team di fisici dell'Università di Glasgow

Uno degli effetti più sconcertanti della meccanica quantistica è l’entanglement (che possiamo tradurre approssimativamente come “intreccio, correlazione”). Questo fenomeno del tutto contro intuitivo prevede che in determinate condizioni due o più sistemi fisici  rappresentino sottosistemi di un sistema più ampio, il cui stato quantistico non è descrivibile singolarmente, ma solo come sovrapposizione di più stati.

Da ciò consegue che la misura di un osservabile di un sistema (sottosistema) determini simultaneamente il valore anche per gli altri.

Einstein e la meccanica quantistica

Sappiamo che Albert Einstein ad un certo punto della sua vita (e della sua carriera di accademico e scienziato), iniziò a rifiutare i principi della meccanica quantistica. In una lettera a Max Born scrisse: “Non posso credere seriamente nella fisica dei quanti perchè la teoria che ne deriva è incompatibile con il principio che la fisica deve essere la rappresentazione della realtà nel tempo e nello spazio, senza fantomatici effetti a distanza”.

Per cercare di confutarla e smentire il suo amico e rivale Niels Bohr, in particolare per smentire il fenomeno dell’entanglement che lui definiva come un'”azione spettrale a distanza“, Einstein insieme ad i suoi assistenti Nathan Rosen ed Boris Podolsky, nel 1935, mette a punto un esperimento mentale passato alla storia come il paradosso EPR, dalle iniziali dei tre cognomi dei fisici. L’esperimento EPR si occupa del caso di due particelle prodotte dal decadimento radioattivo di una “particella madre” che si trova ad avere valori correlati di velocità, carica, spin etc.

Supponiamo che una particella elettricamente neutra si disintegri nello spazio dando vita a due particelle: un elettrone con carica negativa che chiameremo A ed un elettrone con carica positiva o positrone che chiameremo B. Le due particelle si allontanano dal punto del decadimento con cariche uguali in valore ed opposte di segno, ma ignoriamo in che direzioni vadano.

A potrebbe atterrare a Roma e B dirigersi verso Proxima Centauri o viceversa. Per la fisica classica le due eventualità sono mutualmente esclusive: o l’una o l’altra in soldoni. Per la meccanica quantistica invece si deve descrivere lo stato quantistico come una miscela indefinibile di tutte le possibilità. Una particolare configurazione chiamata entanglement.

L’entanglement quantistico

Quale dei due casi si realizzi davvero non si può sapere fintanto che non effettuiamo una misurazione precisa, e l’atto del misurare fa immediatamente cambiare lo stato quantistico riflettendo l’avvenuta misurazione.

Ecco, quindi, la parte “bizzarra” della faccenda: appena misuro la carica elettrica della particella atterrata a Roma conosco anche, immediatamente, la carica elettrica di quella diretta a Proxima Centauri. Lo stato quantistico cambia o, come si dice in gergo, collassa e diventa puro in tutto l’universo, istantaneamente.

Per Einstein ciò necessariamente implica la trasmissione dell’informazione da Roma a Proxima Centauri ad una velocità superiore alla luce e quindi violando il principio di casualità.

Al padre della relatività sembrava di aver dato scacco matto a Bohr.

Bohr non era ovviamente d’accordo: per lui nessuna proprietà era attribuibile ad un oggetto fin quando una misurazione non l’avesse “collocato” nella realtà.

La risposta al paradosso EPR di Bohr e dei suoi seguaci fu questa: è vero che all’atto della misura lo stato quantistico collassa in tutto l’universo e si riduce ad una delle due possibilità, ma non esiste modo pratico di registrare con qualsiasi esperimento una fantomatica azione a distanza.

Nessun messaggio si trasmette da Roma a Proxima Centauri a velocità maggiore della luce. Un osservatore posto sul pianeta extrasolare non sa dell’arrivo della particella fintanto che non la vede arrivare veramente, egli è inconsapevole che lo stato è collassato fino al momento in cui effettua la sua osservazione.

La prima foto che prova la realtà dell’entanglement

Oggi un team di fisici dell’Università di Glasgow è riuscito a fotografare questo straordinario fenomeno, picconando definitivamente lo scetticismo del grande Albert. I risultati sono stati pubblicati su Science Advances.

Grazie ad una complessa strumentazione, i ricercatori sono stati in grado di catturare le immagini dei fotoni nello stesso istante dimostrando che queste particelle, pur essendo separate e distanti, si sono spostate nello stesso modo. In pratica, erano entangled e le immagini lo dimostrano.

entanglement
Questa è la prima foto che dimostra l’esistenza effettiva dell’entanglement quantistico

“Si tratta di un’elegante dimostrazione di una proprietà fondamentale in natura”, ha  commentato sulle pagine della Bbc Paul-Antoine Moreau, primo autore del paper, che ha coordinato lo studio insieme a Miles J. Padgett, co-primo autore: “Si tratta di un risultato entusiasmante – prosegue Moreau – che potrebbe essere utilizzato per far avanzare il campo di ricerca emergente del quantum computing e per portare a nuovi tipi di imaging”.

Questo straordinario risultato rende, se possibile, ancora più attuale la frase con cui Bohr replicò ad Einstein nella polemica sulla meccanica quantistica che li divideva aspramente: “Chi non è traumatizzato dalla meccanica quantistica vuol dire che non l’ha capita”.

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