La prima missione interplanetaria del mondo arabo, che dovrebbe essere lanciata tra 40 giorni e raggiungere l’orbita di Marte nel febbraio del prossimo anno, riguarda la sopravvivenza e il futuro di tutto il Medio Oriente, hanno dichiarato i leader del progetto.
La missione segna anche un punto di svolta per l’esplorazione spaziale, finora limitata alle superpotenze o a poche imprese del settore privato.
La “missione Hope Mars” è stata programmata dagli Emirati Arabi Uniti dal 2014 ed il lancio è ora previsto per il 15 luglio. Secondo il responsabile del progetto, Omran Sharaf, questo lancio è visto come parte integrante dello sviluppo economico a lungo termine del paese. “Riguarda il futuro degli Emirati Arabi Uniti e la nostra sopravvivenza“, ha detto Sharaf.
L’obiettivo della missione non è di atterrare su Marte, ma di orbitare attorno al pianeta per studiare le dinamiche della sua atmosfera durante un intero anno marziano.
Uno degli obiettivi è scoprire di più su ciò che ha portato alla dispersione dell’atmosfera del pianeta, inclusa la scomparsa dell’idrogeno e dell’ossigeno in superficie. “Stiamo studiando un pianeta che sembra essere molto simile al nostro, ma ha subito qualche forma di cambiamento al punto da non poter più avere sulla sua superficie acqua allo stato liquido“, ha dichiarato il ministro delle scienze avanzate, Sarah al-Amiri.
Insomma, sarà un’estate impegnativa per le missioni spaziali su Marte. Anche Cina e Stati Uniti hanno in programma missioni, questa volta con un rover che scenderà sul pianeta, che saranno lanciate questa estate mentre la prevista missione dell’ESA che avrebbe consegnato sulla superficie marziana un lander e un rover è stata rinviata al 2022 a cauda dell’epidemia provocata dal nuovo coronavirus. Nessuna però sarà più affascinante della missione dei piccoli Emirati Arabi Uniti.
Dato che esiste da 50 anni come paese e che fino a poco tempo fa possedeva solo rudimentali capacità ingegneristiche e scientifiche, la missione interplanetaria degli emiri è particolarmente ambiziosa, anche alla luce che quasi il 50% delle missioni su Marte finisce in fallimento, come ha confermato lo stesso Sharaf, che ha anche rifiutato di garantire il successo, dicendo che l’unico modo per aumentare le probabilità di successo è continuare a testare e simulare ogni cosa fino al lancio.
Il razzo viene lanciato nel mezzo della pandemia da coronavirus, durante una recessione economica a Dubai, causata dal calo dei prezzi del petrolio, polemiche politiche sulle guerre all’estero e il fermo del turismo, tutte questione che stanno fornendo munizioni a quella parte degli Emirati che interpretano il progetto come un segno di vanità voluto da una leadership autoritaria.
La leadership degli Emirati Arabi Uniti, invece, sostiene che il progetto è parte integrante del tipo di paese che stanno cercando di costruire e sarà un catalizzatore per la creazione di una forza lavoro diversificata e pronta per un’economia post-petrolifera.
“L’obiettivo è celebrare il nostro 50° anniversario il 2 dicembre 2021 con un messaggio molto grande raggiungendo Marte“, ha detto Sharaf. “Sarà un messaggio non solo per i giovani degli Emirati, ma per tutti i giovani arabi. Questa regione ha più di 1 milione di giovani. Questa è una regione che più di 800 anni fa era un generatore di conoscenza, un esempio di convivenza e cooperazione, di persone di fedi diverse che convivevano. Quando abbiamo smesso di dedicarci agli studi e a generare conoscenza, siamo tornati indietro“.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno già lanciato quattro satelliti per l’osservazione della terra, inizialmente in collaborazione con la Corea del Sud, e l’anno scorso hanno inviato l’astronauta Hazzaa al-Mansoori, il primo arabo nello spazio, alla Stazione Spaziale Internazionale.
“Per la missione su Marte, il requisito è sempre stato quello di costruire, non acquistare“, ha detto Sharaf. Gli Emirati Arabi Uniti hanno dovuto cercare partner all’estero, negli Stati Uniti e in Giappone, per passare dal tavolo da disegno alla piattaforma di lancio in soli cinque anni.
Hanno collaborato con l’Università del Colorado, la Arizona State University e lo Space Sciences Laboratory di Berkeley, in California, mentre il razzo stesso sarà lanciato nel centro spaziale giapponese di Tanegashima.
Al-Amiri insiste sul fatto che questo non è un progetto degli Emirati Arabi Uniti solo di nome, sostenendo che gli scienziati degli Emirati dovevano essere al centro del progetto, o non avrebbe avuto alcuno scopo.
Fino a poco tempo fa, ha affermato, uno scienziato informatico laureato negli Emirati Arabi Uniti si sarebbe limitato in gran parte a mantenere progetti sviluppati altrove, ma l’esplorazione dello spazio ha offerto l’opportunità di sviluppare una cultura indigena di scienziati e ingegneri.
“Ci ha dato una maggiore propensione al rischio”, ha detto, aggiungendo che ora gli scienziati degli Emirati Arabi Uniti hanno l’opportunità di sviluppare le basi di competenze necessarie in campo farmaceutico, biotecnologico e agricolo.
Sarah al-Amiri si è anche detta orgogliosa del numero di donne degli Emirati impegnate nella missione su Marte.
Fonte: The Guardian – Tradotto ed adattato da Massimo Zito