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L’anello mancante

La ricerca ossessiva (ed errata) dell'anello mancante, ovvero di un esempio di congiunzione tra uomo e scimmia. Alla fine, aveva ragione Darwin

La locuzione “anello mancante” (in inglese missing link) nacque nel corso del dibattito evoluzionistico del XIX secolo per indicare la mancanza di rinvenimenti fossili che completassero le linee evolutive delle forme viventi.

Nella moderna teoria evolutiva neodarwiniana tale espressione e il relativo concetto hanno, però, completamente perso il loro valore scientifico. Sopravvive ancor oggi, invece, nel dibattito parascientifico (soprattutto nelle critiche antievoluzionistiche) e, come locuzione, nella cultura popolare.

Nel XIX secolo si aspettava la scoperta di un anello mancante tra gli umani e i cosiddetti animali “inferiori” come prova probante la teoria dell’evoluzione; tale concetto ora è stato ampiamente superato e la teoria evolutiva dei viventi si è affinata, abbandonando il pensiero di una “catena” evolutiva lineare, per utilizzare dei diagrammi “a cespuglio” dove ogni specie ed ogni popolazione diventa una forma transizionale.

Charles Darwin nel suo celeberrimo L’Origine della specie per selezione naturale (1859) aveva dedicato all’uomo soltanto una riga e mezza sulle oltre 500 pagine che componevano il testo. Soltanto una dozzina d’anni dopo, nel 1871, Darwin affronterà il tema dell’evoluzione della specie umana con il saggio L’Origine dell’uomo e la selezione sessuale.

In quegli anni sulla scia del nuovo saggio del grande biologo e naturalista britannico si scatenò la caccia al cosiddetto anello mancante, ovvero l’esistenza ipotetica in un lontanissimo passato di una creatura metà uomo e metà scimmia: il pitecantropo. Questa ricerca ossessiva condizionerà i primi anni della nascita di una nuova disciplina scientifica la paleoantropologia.

La nuova scienza muove i primi passi nel 1856 quando nella valle di Neanderthal, nei pressi di Dusseldorf, in Germania vengono rinvenuti i resti fossili di un essere con tratti estremamente diversi dai nostri, tanto da meritare una denominazione a parte:Homo neanderthalensis.

Fu però subito abbastanza chiaro anche all’epoca che non si trattava del famoso anello mancante e, in seguito grazie anche ad analisi più sofisticate, rese possibili dal progresso scientifico e tecnologico, si capì che nonostante l’arcaicità del ritrovamento, si trattava più che di un nostro antenato di un ramo collaterale della nostra evoluzione.

Questo insuccesso non scoraggiò la ricerca di quell’ipotetico anello di congiunzione tra uomo e scimmia. La ricerca dell’anello mancante proseguì ancora per molti decenni portando alla scoperta di altri fossili neanderthal, del più moderno uomo di Cro-Magnon, del Pitecantrophus erectus di Giava.

Questa autentica ossessione portò addirittura ad architettare una celebre frode, quella dell’Uomo di Piltdown perpetrata in Inghilterra e riguardante il falso ritrovamento di resti fossili spacciati, nel 1912, come appartenenti a una sconosciuta specie di ominide. Il famigerato ed inesistente anello mancante.

L’autore di questa truffa paleoantropologica fu Charles Dawson uno studioso dilettante che mescolò un cranio umano con una mandibola di orangutan e fauna pleistocenica e coinvolse nel falso anche il British Museum.

Presentato come anello mancante che legava gli uomini moderni alle grandi scimmie, la truffa venne definitivamente messa a nudo nel 1953, ma già nel 1912 furono numerosi i critici che consideravano un falso il reperto.

Oggi sappiamo quello che Darwin aveva già fatto capire chiaramente nel suo secondo saggio sull’evoluzione umana, ovvero che non esiste alcun anello mancante e che noi siamo una delle 400 specie di Primati, dai lemuri allo scimpanzé, dai gorilla agli orangutan, che hanno popolato (e in molti casi popolano ancora) la Terra.

L’anello mancante a sproposito

Oggi l’espressione di anello mancante è spesso usata a sproposito da persone che non conoscono la teoria dell’evoluzione come critica semplicistica al darwinismo.

Infatti, secondo la moderna teoria evoluzionistica, come già detto sopra, tutte le popolazioni di organismi sono in transizione e quindi più che di anelli (che presuppongono una visione a “catena”, quindi lineare, dell’evoluzione) si dovrebbe parlare di forme di transizione.

Una certa confusione può poi venire dall’uso del termine sia per riferimento ad una forma transizionale tra due specie (microevoluzione), sia per intendere una forma transizionale tra due taxa gerarchicamente ben superiori secondo la classificazione scientifica (macroevoluzione).

Così accade che anche autorevoli riviste di divulgazione scientifica usino talvolta indifferentemente questo termine, sia in scritti sulla transizione tra due specie di ominidi, sia per la descrizione di una transizione tra pesci e tetrapodi.

La prestigiosa rivista Nature ha utilizzato in diversi articoli il termine “anello mancante“, ma in riferimento ad argomenti che non hanno a che fare con la teoria dell’evoluzione.

Spesso il termine inglese “missing link” viene usato nel caso in cui si ricerca un legame di causalità fra due o più fenomeni o quando viene ricercato un altro elemento, da aggiungere a quelli già scoperti per spiegare o dimostrare una ipotesi di ricerca.

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