Cosa dovremmo apprendere dalla pandemia di influenza del 1918

La più grande lezione della pandemia del 1918 è chiaramente quella che è necessario dire la verità alla gente, perché non dire la verità induce le persone a sottovalutare la malattia mentre oggi, in generale, la gente può affrontare la verità. È l'ignoto che è molto più spaventoso

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Proviamo a sostituire il nuovo coronavirus con l’epidemia di influenza spagnola, il 1918 con il 2020, e proviamo a vedere le differenze.
L’influenza del 1918 uccise tra i 50 ed i 100 milioni di persone in tutto il mondo. “Questo equivarebbe a 225-450 milioni di persone oggi“, ha dichiarato John Barry, che ha scritto una storia dell’influenza del 1918 e “i numeri sono sbalorditivi”.
Nel 1918 ci fu una lieve ondata primaverile di influenza che fu sottovalutata e che si ripresentò in autunno più virulenta e mortale. Probabilmente il 60-70% delle morti si è effettivamente verificato nel tempo incredibilmente breve di circa 14 o 15 settimane, da fine settembre 1918 a dicembre, forse, in certi luoghi, si prolungò fino a gennaio“.

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La pandemia di influenza del 1918. – CBS

In quel periodo si vivevano gli ultimi mesi della prima guerra mondiale e morirono più soldati di influenza che per gli scontri avvenuti sui campi di battaglia durante quattro anni di combattimenti.
A differenza del nuovo coronavirus, i più vulnerabili all’infezione avevano vent’anni.
I sintomi più orribili erano i sanguinamenti che potevano avvenire non solo dal naso e dalla bocca, ma anche dagli occhi e dalle orecchie“, racconta Barry. “La gente blu scuro per mancanza di ossigeno dovuto alle difficoltà respiratorie, i medici facevano fatica a distinguere i soldati bianchi dai soldati afroamericani”.
Si chiamava influenza spagnola ma solo perché la Spagna, che non era belligerante, permise alla stampa di riferirne, cosa non permessa dalla censura dei paesi in guerra.
Il primo grave focolaio negli Stati Uniti avvenne a Camp Funston (ora Fort Riley) in Kansas. I soldati infetti furono inviati verso il fronte francese, permettendo al virus di diffondersi.
Negli stati Uniti alla stampa non fu permesso di parlarne.
Un anno prima il presidente Woodrow Wilson aveva promulgato il Sedition Act, rendendo un crimine dire o pubblicare qualcosa di negativo che avrebbe influenzato lo sforzo bellico.
Barry racconta: “Wilson creò quello che fu chiamato comitato per l’informazione pubblica. L’architetto di quel comitato lo giustificò dichiarando che ‘Verità e menzogna sono termini arbitrari. La forza di un’idea risiede nel suo valore ispiratore. Poco importa se questo è vero o falso‘”.
Negli Stati Uniti, c’erano leader nazionali della sanità pubblica che dicevano cose come ‘Questa è un’influenza ordinaria con un altro nome’. A livello locale stava accadendo lo stesso tipo di cose“.
Con conseguenze mortali. 
A Filadelfia, si effettuò un’enorme parata militare nell’autunno del 1918, quando il virus era più virulento. I giornali non pubblicarono gli appelli della comunità medica che sollecitava a sospendere le manifestazioni pubbliche.
48 ore dopo, l’influenza esplose in città“, ha detto Barry. “Il risultato fu che Filadelfia fu una delle città più colpite al mondo, con fosse comuni ed altre amenità simili”.
Il bilancio delle vittime a Filadelfia fu di circa 14.500.
Nel 1918, non avevano idea di quale fosse la causa dell’epidemia, la gente non sapeva cosa la stava uccidendo e per me questo è l’aspetto più spaventoso dell’epidemia del 1918“, ha detto il dott. Jeremy Brown, direttore di Ricerca sulle cure di emergenza presso il National Institutes of Health, che ha parlato a “CBS Sunday Morning” a titolo personale.
I virus non sarebbero stati scoperti prima di altri 15 o 20 anni“, spiega. “È molto diverso da oggi. Sappiamo che cosa sta causando la malattia“.
Brown ha scritto molto sull’influenza e sostiene che il 2020 non sarà un altro 1918 grazie ai progressi della scienza.
Nel lontano 1918, i trattamenti di base offerti erano clisteri, whisky e salassi“, ha detto Brown. “Gli ospedali come li conosciamo oggi erano piuttosto diversi. Non c’erano medici di terapia intensiva che capissero davvero come trattare i pazienti più gravi. Non c’erano antibiotici per curare le infezioni secondarie. Quello fu un momento molto, molto diverso, e c’era un modo molto diverso di praticare la medicina.”
Ma c’è ancora qualcosa di allora che vale ancora: “La più grande lezione della pandemia del 1918 è che è necessario dire la verità alla gente perché non dire la verità induce le persone a sottovalutare la malattia mentre oggi, in generale, la gente può affrontare la verità. È l’ignoto che è molto più spaventoso“.