Secondo le ultime stime, la nostra galassia, la Via Lattea, potrebbe comprendere fino a 300 miliardi di stelle. Altre simulazioni basate sui dati rilevati da Kepler predicono che in questo sterminato oceano stellare siano presenti almeno dieci miliardi di pianeti rocciosi collocati in quella che definiamo “zona abitabile”.
Un numero quantitativamente così importante rende plausibile la presenza di specie viventi senzienti. Se questo assunto è vero, sarebbe ragionevole aspettarsi che una o più di queste specie aliene, quelle dotate dello sviluppo tecnologico più sofisticato, abbiano intrapreso ondate di “migrazioni” verso i più vicini mondi colonizzandoli.
Espandersi nella nostra galassia, in effetti, anche a velocità relativamente modeste, richiede esclusivamente perseveranza ed una quantità relativamente modesta di “tempo cosmologico”.
Se le cose stessero così, è ancora fortemente attuale cercare di rispondere al celebre paradosso di Fermi (dove sono tutti quanti?).
Nel 1975 l’astrofisico Michael Hart ha cercato di dare una risposta a questo quesito formulando un assunto che ha preso il nome di “fatto A” di Hart.
In poche parole lo studio di Hart affermava che nella nostra galassia attualmente non esiste o non è mai esistita una civiltà aliena sufficientemente evoluta da iniziare una colonizzazione spaziale.
Questo convincimento si fondava sul tempo relativamente breve necessario ad una specie tecnologicamente evoluta per diffondersi nei 100.000 anni luce di diametro della Via Lattea anche a velocità nettamente inferiori a quella della luce.
Qualche anno dopo, nel 1980, il problema è stato studiato anche dal fisico Frank Tipler (autore della controversa teoria del Punto Omega) che concludeva che alieni sufficientemente motivati avrebbero già avuto tutto il tempo di colonizzare una parte significativa della nostra galassia che ha un’età stimata di circa 10 miliardi di anni.
La differenza tra Hart e Tipler consisteva nel fatto che quest’ultimo ipotizzava non una colonizzazione in “carne ed ossa” bensì un’insediamento progressivo fatto con sonde intelligenti auto replicanti.
Colonizzare la Via Lattea
Alcuni dei fattori che pesavano “negativamente” su un’espansione, sia che essa fosse portata avanti da entità biologiche che da sonde intelligenti, consistevano nella tecnologia altamente sofisticata necessaria per viaggiare anche soltanto al 10% della velocità della luce.
Senza contare la protezione degli scafi di astronavi o sonde contro gli atomi dei gas interstellari o peggio ancora contro l’impatto di minuscoli pezzi di roccia che colpendo un’astronave anche ad una velocità sensibilmente inferiore a quella della luce avrebbero avuto un effetto devastante, simile ad una bomba.
Naturalmente questi pericoli potrebbero essere drasticamente ridotti viaggiando a velocità modeste ma in questo caso ci vorrebbero millenni ed anche più per coprire le enormi distanze siderali. Presumibilmente, un ostacolo insormontabile per la vita di qualunque specie senziente.
Ma le possibili soluzioni del paradosso di Fermi non si fermano qui.
Nel tempo sono state avanzate numerosi ipotesi alcune decisamente fantasiose.
Nel campo di quelle plausibili non deve essere trascurata che la capacità di attraversare rapidamente lo spazio interstellare abbia un costo proibitivo in termini di risorse ed energia anche per una società dall’alto sviluppo tecnologico.
Nel novero di quelle che rasentano la fantascienza citiamo l’ipotesi dello “zoo” nella quale gli alieni ci tengono deliberatamente all’oscuro della loro presenza perché non siamo sufficientemente evoluti.
Alcuni planetologi hanno poi affermato che non si può del tutto escludere che in un passato remoto del nostro pianeta esso sia stato visitato, e magari anche parzialmente colonizzato, da alieni e che magari quest’avamposto si sia poi con il tempo estinto.
D’altra parte, dopo anche solo un milione di anni, presumibilmente nessuna traccia di artefatti o tecnologie aliene evidenti sarebbe sopravvissuta. Occorrerebbe mettere in campo una ricerca specifica a livello planetario per poter confermare o smentire una simile ipotesi, una ricerca indubbiamente molto costosa e quindi difficilmente praticabile.
Esistono però altre spiegazioni per comprendere come mai non siamo entrati in contatto con una specie aliena senziente finora.
Dando per scontato la presenza nella nostra galassia di una o più specie di alieni tecnologicamente evoluti è realistico immaginare che nel tempo si attivino ondate di migrazioni o esplorazioni e che noi non ne abbiamo avuto “sentore” soltanto per il fatto di essere capitati all’interno di un periodo di “stasi” di queste ondate colonizzatrici.
Negli ultimi anni però si è fatto strada un nuovo modello di simulazione in grado di fornire elementi nuovi al rebus lanciato da Fermi 65 anni fa.
La nostra stella ruota intorno al centro galattico una volta ogni 230 milioni di anni. Le stelle più vicine al centro galattico impiegano molto meno tempo a compiere la stessa orbita. Questo significa che se una civiltà aliena sta cercando nuove stelle da esplorare quella che è più vicina adesso sarà più lontana nel futuro.
Per fare un esempio relativo al nostro angolino di universo, attualmente la stella più vicina alla Terra è Proxima Centauri che si trova a 4,24 anni luce da noi, ma tra 10.000 anni Proxima sarà lontana “soltanto” 3,5 anni luce, un notevole risparmio di tempo per un viaggio interstellare. Tra 37.000 anni la stella più vicina a noi sarà Ross 248, una nana rossa, che si troverà a soli 3 anni luce da noi.
Questo movimento delle stelle significa che perfino sonde interstellari “lente” che viaggiano a circa 30 km al secondo permetterebbero ad un fronte di colonizzazione di una civiltà evoluta di coprire l’intera Via Lattea in poco meno di un miliardo di anni. Periodo che potrebbe addirittura ridursi calcolando e pianificando l’esplorazione cosmica in base ai movimenti delle stelle.
Il nostro universo ha circa 13,8 miliardi di anni di vita e quindi un tempo inferiore al miliardo di anni avrebbe dovuto produrre una forte colonizzazione della Via Lattea, al punto da risultare “visibile” anche per il nostro piccolo pianeta roccioso.
Naturalmente qui entrano in ballo altri fattori come il numero dei mondi effettivamente abitabili per la specie colonizzatrice e la durata di una civiltà su cui non ci sono studi sufficienti per proporre modelli teoricamente solidi.
Per essere più chiari, se ipotizziamo che una civiltà aliena tecnologicamente evoluta possa durare un milione di anni e che i mondi colonizzabili siano soltanto il 3% dei sistemi solari della Via Lattea, la probabilità che la Terra non sia stata visitata dagli alieni nell’ultimo milione di anni non supera il 10%.
Quindi la cosa più probabile è che ci troviamo nella parte solitaria dell’equazione.
Insomma la situazione della Terra somiglierebbe a certe sperdute isole del Pacifico rimaste disabitate per secoli prima della scoperta degli occidentali.
La questione quindi si sposterebbe non tanto sul fatto se il nostro pianeta sarà scoperto in un futuro da una razza aliena evoluta ma, soprattutto, verso l’incognita su di noi: la nostra civiltà in quel fatidico momento esisterà ancora?