I titoli hanno da subito creato indignazione e i lettori hanno accusato l’editore di utilizzare un linguaggio ignorante e offensivo. La frase “Yellow Peril” (pericolo giallo) riporta ad una vecchia ideologia razzista, che colpiva gli asiatici presenti nei paesi occidentali. La frase incarna lo stereotipo anti-asiatici, la peggiore delle paure, che ha tormentato le prime comunità di immigrati asiatici, da quando sono avvenute le prime ondate di immigrati cinesi negli Stati Uniti nel 19° secolo.
La diffusione del coronavirus sta alimentando paura, razzismo e xenofobia
Il panico sta assumendo un'altra forma, purtroppo familiare, facendo riemergere troppi razzisti che descrivono gli asiatici, il loro cibo e le loro abitudini come non sicure, sgradite e con scarsa igiene.
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Lo scorso fine settimana, una nota rivista francese riportava a grandi lettere “Yellow Alert”, accanto ad un’immagine di una donna cinese che indossava una maschera. Un altro titolo presente nella testata giornalistica recitava “Nuovo pericolo giallo?” al di sopra dell’articolo riguardante l’epidemia del coronavirus di Wuhan attualmente in corso.
La propaganda governativa e la cultura pop presenti all’epoca negli Stati Uniti, diffondevano razzismo e immagini imprecise sulla popolazione cinese, descrivendoli come una razza incivile e immorale, una minaccia per la società.
Invocare la stessa frase in questo caso, in un momento dove stanno morendo persone, a causa di una malattia in Asia, nel migliori dei casi può sembrare un atto spensierato, ma nel peggiore dei casi appare come un gesto palesemente razzista.
Il giornale si è subito scusato, affermando di non avere avuto intenzione di perpetuare “stereotipi razzisti nei confronti degli asiatici”, ma il danno ormai era stato fatto, e non poteva essere facilmente annullato. Il giornale francese non è l’unico colpevole, ma solo l’ultimo episodio di un’ondata di sentimento anti-cinese scaturito dal coronavirus, e propagatosi in tutto il mondo.
Le autorità di tutti i paesi stanno cercando di contenere il virus e di bilanciare gli avvertimenti, cosi da non creare un panico globale. Tuttavia, ci sono segni evidenti che questo stia già avvenendo, visto l’assalto all’acquisto di maschere facciali, che sono ormai esaurite, persone che non escono di casa, i ristoranti cinese deserti e lo spazio vuoto che si crea intorno a qualsiasi cinese che si avventuri sui mezzi pubblici.
Il panico sta assumendo un’altra forma, purtroppo familiare, facendo riemergere troppi razzisti che descrivono gli asiatici, il loro cibo e le loro abitudini come non sicure, sgradite e con scarsa igiene.
Questi sono i motivi per cui il termine “pericolo giallo” contiene secoli di traumi e perché sarebbe meglio evitarne l’utilizzo in una testata giornalistica.
Ora, però, il razzismo anti-cinese si sta diffondendo oltre l’occidente, più precisamente in Vietnam, dove sono stati visti cartelli fuori dai ristoranti con su scritto “No Chinese”. Il turista che ha scattato la foto, ha dichiarato alla CNN che il cartello è stato esposto la scorsa settimana. Cartelli simili sono stati messi anche all’esterno di un negozio giapponese, per cercare di allontanare i clienti cinesi.
La stessa reazione sta avvenendo sul web: le persone di vari luoghi del pianeta fanno battute razziali, e quando il conduttore televisivo James Corden ha pubblicato una foto con la band pop coreana BTS, una persona ha twittato “BREAKING: James Corden muore a causa del coronavirus”. La battuta è riuscita a raccogliere quasi 25.000 Mi piace su Twitter.
Una delle forme più diffuse della xenofobia si manifesta con stereotipi spaventosi e sensazionalistici, uno di questi riguarda il cibo cinese. Si ritiene che l’epidemia del coronavirus sia cominciata da un mercato di frutti di mare e fauna selvatica a Wuhan, e gli scienziati hanno identificato i pipistrelli e i serpenti come possibili portatori del virus.
Mentre il commercio di animali selvatici presenta problemi legittimi, l’epidemia sta provocando un’ondata di disgusto nei confronti del cibo cinese e la rabbia di molti, che li accusano di aver provocato incautamente una potenziale pandemia globale. Un tweet popolare riporta che “A causa di alcune cinesi che nel loro paese mangiano cibi strani come pipistrelli, ratti e serpenti, il mondo intero sta per subire una piaga”.
Questa visione è stata alimentata dalla recente diffusione mediatica del nuovo coronavirus, rafforzata anche da alcuni video o foto fuorvianti. Un blogger cinese ha ampiamente condiviso un video in cui si vede un cinese che mangia zuppa di pipistrelli. Il video era stato girato tre anni fa nella nazione di Palau, nell’isola del Pacifico, ed il piatto in questione è stato campionato in passato da conduttori televisivi occidentali. Il blogger e il suo video non hanno niente a che vedere con l’epidemia da coronavirus che si sta diffondendo attualmente da Wuhan, ma il video è diventato virale, con molti spettatori occidentali che esprimono il loro disgusto sul web, e ha creato cosi tanto tumulto che il blogger, la scorsa settimana, si è fatto avanti per scusarsi. Questo è quello che accade quando si pratica la disinformazione virale, visto che solo una piccola minoranza di persone in Cina, soprattutto molto povere, mangia animali selvatici.
Le persone in Cina mangiano le stesse cose che si vedono in molte cucine, come il maiale o il pollo. In definitiva, ciò che alla gente piace mangiare dipende dalla cultura, gran parte del disgusto occidentale verso lo “strano” cibo cinese è esso stesso eurocentrico. Tutte le critiche fatte nei confronti del cibo cinese sono del tutto errate. Il paese ha un problema nella commercializzazione degli animali selvatici, che è mal regolato e porta, come è già successo, alla creazione di focolai.
L’epidemia mortale chiamata Sindrome respiratoria acuta grave (SARS), scoppiata nel 2003, è stata causata dal gatto civet, considerato una prelibatezza nella Cina meridionale. Il governo ha introdotto alcune misure per limitare il commercio di specie selvatiche ma non ha intrapreso misure più aggressive per coloro che commerciavano animali selvatici, cosi facendo non ne ha interrotto il commercio illegale.
La difficoltà nel bloccare questo tipo di pratiche sta nel loro significato culturale e nella medicina tradizionale cinese. Si ritiene che molti animali selvatici possiedano importanti proprietà medicinali: ad esempio, molte persone bevono una zuppa di serpente per curare l’artrite, e la bile di serpente per lenire il mal di gola.
Senza dubbio, esiste un problema più grave che deve essere affrontato: come può il governo bilanciare le antiche tradizioni con i regolamenti igienici. Le credenze e i costumi, che guidano il consumo di questi alimenti, sono vecchi di secoli e quindi intrecciati alla cultura e alla vita delle persone. Non è facile eliminare queste usanze, soprattutto quando vengono etichettate come pratiche primitive e malsane dai paesi stranieri.
Per adesso stiamo assistendo ai primi segni di un pensiero xenofobo contro l’Asia orientale, che si riduce a barzellette insipide online, titoli negativi, persone che si comportano in maniera inopportuna in pubblico. Ma se l’epidemia della SARS del 2003 è un esempio di quello che accadrà, questi filoni di xenofobia potrebbero trasformarsi in forme più pericolose ed esplicite di razzismo verso i cinesi.
Le persone di origine asiatica, durante il culmine dell’epidemia del 2003, furono trattate come appestate in Occidente: ci sono state segnalazioni di bianchi che coprivano il viso in presenza di colleghi asiatici, e agenti immobiliari a cui era stato detto di non trattare con clienti asiatici. Inoltre, molti asiatici subirono minacce di sfratto, annullamento delle offerte di lavoro senza giusta causa e alcune organizzazioni canadesi asiatiche hanno ricevuto messaggi di odio.
Le imprese cinesi e asiatiche subirono pesanti perdite finanziarie: ad esempio, a Boston fu fatta circolare una “bufala” nei confronti di un ristorante cinese, di cui si diceva che i dipendenti erano contagiati dal virus, causando all’attività una perdita del 70% dei guadagni.
Le comunità della diaspora e le autorità locali si stanno preparando per questo, con molti che cercano di calmare la paura prima che diventi isteria. In Francia, la polemica scaturita dai giornali ha scatenato una campagna sui social media, con molti cittadini cinesi francesi che usano l’hashtag #JeNeSuisPasUnVirus, Non sono un virus.