Le sempre più allarmanti notizie che provengono dalla Cina sul cosiddetto coronavirus di Wuhan fanno temere una possibile pandemia dagli effetti imprevedibili. Vale la pena di precisare ancora una volta cosa significa esattamente pandemia: si tratta di un’epidemia in grado di interessare vaste aree geografiche dell’intero pianeta, con un alto numero di casi gravi ed un’alta mortalità. In questo articolo ripercorriamo brevemente la pandemia più devastante della storia recente dell’umanità.
Un secolo fa l’intero pianeta fu interessato dalla più letale pandemia influenzale della storia, la cosiddetta spagnola. Non si sa ancora esattamente dove abbia avuto origine questa pandemia originata dal virus dell’influenza H1N1 (lo stesso ceppo dell’influenza suina). Alcune ricerche suggeriscono che i primi focolai si verificarono nella Cina settentrionale già nell’autunno del 1917, probabilmente poi il virus ha seguito i circa 90.000 lavoratori cinesi chiamati a prestare servizio dietro le linee britanniche e francesi sul fronte occidentale della prima guerra mondiale. Essi potrebbero essere stati la fonte della pandemia.
Ma perché il nome spagnola a questa virulenta e micidiale influenza? Anche in questo caso il motivo va ricondotto allo stato di guerra di quel periodo , la sua esistenza fu riportata dapprima soltanto dai giornali spagnoli, in quanto la Spagna non era coinvolta nella prima guerra mondiale e la sua stampa non era soggetta alla censura di guerra; negli altri paesi, il violento diffondersi dell’influenza fu tenuto nascosto dai mezzi d’informazione, che tendevano a parlarne come di un’epidemia circoscritta alla Spagna (in cui venne colpito anche il re Alfonso XIII).
Oggi un recente studio di un gruppo di ricercatori dell’Università del Queensland a Brisbane e dell’Università di Melbourne, in Australia, è illustrato su “Frontiers in Cellular and Infection Microbiology” cerca di far luce sui motivi dell’estrema pericolosità e diffusione di questa pandemia che ha addirittura colpito alcuni abitanti di remote isole dell’Oceano Pacifico e del Mar Glaciale Artico provocando in tutto il mondo oltre 50 milioni di morti, circa il 3% di tutta la popolazione mondiale.
Un elemento importante sono state anzitutto le caratteristiche del virus, un ceppo del sottotipo H1N1 dell’influenza A (lo stesso sottotipo dell’influenza suina del 2009). Il virus del 1918 aveva alcune peculiarità genetiche che, come hanno dimostrato alcuni studi, gli consentivano di diffondersi anche a tessuti diversi da quelli delle vie respiratorie, causando ulteriori danni, e di trasmettersi più facilmente tra gli esseri umani.
Un altro fattore importante, secondo gli autori, è lo stato della salute pubblica. Nel 1918, la malnutrizione era piuttosto diffusa, così come diverse malattie batteriche (a partire dalla tubercolosi) che rendevano molto più probabile un esito infausto della malattia virale. Oggi la malnutrizione potrebbe aumentare in seguito alla riduzione dei raccolti provocata in molte regioni dai cambiamenti climatici, e l’aumento della resistenza agli antibiotici potrebbe causare una maggiore diffusione e problematicità delle superinfezioni batteriche.
Infine un terzo fattore di ordine demografico ha avuto un notevole impatto sugli esiti drammatici di questa pandemia, ad essere colpiti e soprattutto a morire furono soprattutto giovani e giovanissimi.
I ricercatori pensano che forse gli anziani furono relativamente risparmiati a causa di precedenti esposizione a virus simili, ma meno virulenti, che avevano dato loro una maggiore resistenza al ceppo del 1918.
La spagnola non è stata l’ultima pandemia, anche se certamente è stata quella più letale. In seguito, ci sono state altre tre pandemie influenzali (la cosiddetta “asiatica” del 1957, la “Hong Kong” del 1968 e l’influenza “suina” del 2009) che, pur avendo avuto conseguenze molto meno devastanti, hanno mostrato che i virus influenzali continuano a essere una grave minaccia.
E’ stato calcolato che oggi un’eventuale pandemia con le caratteristiche di contagiosità e virulenza della spagnola potrebbe causare circa 150 milioni di morti. Nel 1918 gli effetti drammatici della spagnola produssero un abbassamento dell’aspettativa di vita, su base globale di ben 12 anni.
La spagnola declinò molto rapidamente verso la fine del 1918. A Filadelfia, ad esempio, 4.597 persone morirono nella settimana che terminò il 16 ottobre, ma già l’11 novembre l’influenza era quasi scomparsa da tutta la città. Probabilmente questo brusco declino della pandemia potrebbe essere dipeso o dal miglioramento della prevenzione e da più efficaci cure della polmonite che si scatenava nei pazienti che avevano contratto il virus oppure da una mutazione repentina del virus in una forma meno letale.
Questo è un evento comune nei virus dell’influenza: vi è una tendenza per i virus patogeni di diventare meno letali col tempo, poiché gli ospiti dei ceppi più pericolosi tendono ad estinguersi.
L’ultima grande pandemia della storia dell’umanità
Poco più di un secolo fa la pandemia passata alla storia come "la spagnola" uccise il 3% della popolazione mondiale. Un recente studio traccia alcune ipotesi sul perché di questa drammatica virulenza.
Indice