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Tecnologia Oz: svelato il blu-verde “olo”, un colore mai visto prima

Sfruttando l'innovativa tecnologia Oz, scienziati dell'UC Berkeley sono riusciti a modulare la percezione visiva umana, inducendo la visione di un colore inedito e straordinariamente saturo, un blu-verde chiamato "olo"

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La tecnologia Oz sta aprendo nuove frontiere nell’esplorazione della natura intrinseca della visione umana dei colori, offrendo prospettive inedite per la comprensione dei meccanismi percettivi fondamentali.

Questa avanzata metodologica non si limita alla pura indagine scientifica, ma dischiude scenari futuri potenzialmente rivoluzionari nel trattamento di disturbi visivi e nella simulazione accurata della perdita della vista, fornendo strumenti preziosi per la ricerca e la riabilitazione.

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La tecnologia Oz: Un nuovo orizzonte per la scienza della visione

Al di là della sua utilità scientifica e clinica, l’esperienza di percepire i colori generati con questa tecnologia è stata descritta dai partecipanti agli studi come un evento visivamente straordinario e profondamente immersivo, testimoniando la potenza e la precisione della manipolazione percettiva resa possibile.

Sfruttando una tecnica all’avanguardia denominata Oz, un team di scienziati dell’Università della California, Berkeley, ha compiuto una scoperta sorprendente: un metodo per modulare la percezione visiva umana inducendo la visione di un colore completamente nuovo, un blu-verde caratterizzato da una saturazione senza precedenti. Questo colore inedito è stato battezzato “olo” dal team di ricerca.

Austin Roorda, professore di optometria e scienze della vista presso la Herbert Wertheim School of Optometry & Vision Science dell’Università della California, Berkeley, e uno dei principali ideatori di Oz, ha descritto l’esperienza visiva paragonandola a “un verde acqua profondamente saturo… il colore naturale più saturo appariva pallido al confronto“. Il funzionamento di Oz si basa sull’impiego di dosi minime di luce laser per controllare individualmente fino a un migliaio di fotorecettori all’interno dell’occhio simultaneamente. Questa precisione nel targeting dei recettori visivi consente una manipolazione fine e selettiva dei segnali neurali che vengono inviati al cervello, traducendosi nella percezione di stimoli visivi altrimenti irraggiungibili.

Grazie alla versatilità della piattaforma Oz, il team di ricerca è in grado di presentare ai partecipanti agli studi non solo una tonalità di verde di una vividezza ineguagliabile rispetto a qualsiasi colore presente in natura, ma anche un ampio spettro di altri colori, linee, punti in movimento e persino immagini complesse come quelle di bambini e pesci.

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Questa capacità di generare stimoli visivi controllati apre un ventaglio di opportunità per rispondere a domande fondamentali sulla complessa architettura e sul funzionamento della visione umana. Inoltre, la tecnologia Oz si prospetta come uno strumento potente per studiare i meccanismi alla base della perdita della vista, simulando selettivamente la disfunzione di specifici tipi di fotorecettori o di intere regioni della retina. Comprendere come il cervello elabora le informazioni visive in condizioni di deficit potrebbe condurre allo sviluppo di strategie riabilitative più efficaci e personalizzate.

In definitiva, Oz rappresenta un avanzamento significativo non solo nella nostra comprensione della percezione cromatica, ma anche nel potenziale trattamento e nella simulazione di diverse condizioni che affliggono la vista umana.

Un viaggio tecnologico nel cuore della percezione cromatica umana

La scelta del nome “Oz” per questa innovativa tecnologia non è casuale, ma intrisa di un significato evocativo. Come ha spiegato James Carl Fong,  ricercatore in ingegneria elettrica e informatica (EECS) presso l’UC Berkeley e figura chiave nello sviluppo di Oz, il nome è stato deliberatamente selezionato per richiamare l’immaginario viaggio nella terra di Oz, un reame fantastico ricco di colori vivaci e inaspettati. Questa analogia riflette l’esperienza dei partecipanti agli studi, che grazie alla tecnologia Oz si trovano a percepire un colore brillante e saturo, l'”olo”, un’esperienza visiva inedita e precedentemente sconosciuta, quasi come un’esplorazione in un territorio percettivo inesplorato.

James Carl Fong ha sottolineato le capacità rivoluzionarie del sistema Oz: “Abbiamo creato un sistema in grado di tracciare, colpire e stimolare le cellule fotorecettrici con una precisione così elevata che ora possiamo rispondere a domande molto basilari, ma anche molto stimolanti, sulla natura della visione umana dei colori“. Questa precisione nel controllo dei fotorecettori, a una scala quasi sub-cellulare, apre nuove prospettive per investigare i meccanismi fondamentali attraverso i quali l’occhio umano percepisce e discrimina i colori. La possibilità di manipolare selettivamente l’attività di specifiche popolazioni di fotorecettori offre agli scienziati uno strumento senza precedenti per decifrare il codice neurale della visione cromatica.

Fong ha inoltre evidenziato l’impatto della tecnologia Oz sulla capacità di studiare la retina umana: “Ci offre la possibilità di studiare la retina umana su una scala mai vista prima nella pratica“. La risoluzione e la precisione del sistema Oz permettono di sondare l’organizzazione e la funzionalità della retina a un livello di dettaglio precedentemente inaccessibile. Questa capacità di osservare e manipolare l’attività dei singoli fotorecettori e delle loro interazioni apre nuove strade per comprendere la complessa architettura neurale della retina e il modo in cui le informazioni visive vengono codificate e trasmesse al cervello.

Il progetto della tecnologia Oz ha avuto origine nel 2018, quando James Carl Fong era ancora uno studente universitario di ingegneria. Fin dalle sue fasi iniziali, Fong ha svolto un ruolo cruciale nello sviluppo del complesso software necessario per tradurre immagini e colori in migliaia di minuscoli impulsi laser diretti con precisione alla retina umana. La sua dedizione e la sua competenza ingegneristica sono state fondamentali per trasformare un’idea innovativa in una realtà tecnologica funzionante.

L’ingresso di Fong nel progetto è stato innescato da un incontro casuale con un altro studente che collaborava con il professor Ren, il quale gli aveva descritto l’affascinante e apparentemente fantascientifica impresa di “sparare laser negli occhi delle persone per fargli vedere colori impossibili”. Questa descrizione ha acceso la curiosità di Fong e lo ha spinto a unirsi al team, contribuendo in modo significativo allo sviluppo di questa rivoluzionaria tecnologia.

Simulazione della perdita di coni per comprendere le patologie oculari

La tecnologia Oz non si limita alla dimostrazione della possibilità di proiettare stimoli visivi controllati nell’occhio, aprendo orizzonti significativi nello studio delle malattie oculari e dei meccanismi alla base della perdita della vista. Come ha spiegato Christine Doyle, membro del team di ricerca, molte patologie che conducono a deficit visivi sono caratterizzate dalla progressiva perdita di coni, i fotorecettori responsabili della visione a colori e della visione diurna dettagliata.

In questo contesto, una delle promettenti applicazioni della tecnologia Oz che Doyle sta attualmente esplorando consiste nell’utilizzare la sua capacità di attivare i coni individualmente per simulare la perdita di questi recettori in soggetti con una visione sana. Questa simulazione controllata potrebbe fornire preziose informazioni su come il cervello si adatta alla progressiva perdita di specifici tipi di coni e su quali circuiti neurali compensano, almeno parzialmente, la funzione visiva compromessa. Comprendere questi meccanismi adattativi potrebbe essere cruciale per lo sviluppo di terapie e strategie riabilitative più efficaci per i pazienti affetti da patologie degenerative della retina.

Il team di ricerca sta inoltre indagando sul potenziale di Oz nell’ambito della percezione cromatica alterata. Una delle direzioni di ricerca riguarda la possibilità di utilizzare la tecnica per aiutare le persone affette da daltonismo, una condizione caratterizzata dall’incapacità di distinguere determinati colori, a percepire l’intero spettro cromatico dell’arcobaleno.

Manipolando selettivamente l’attivazione dei coni rimanenti e potenzialmente stimolando vie neurali alternative, Oz potrebbe offrire nuove prospettive per migliorare la percezione dei colori in individui con deficit congeniti della visione cromatica. Un’altra interessante area di esplorazione riguarda la possibilità di estendere le capacità visive umane oltre i limiti tricromatici. I ricercatori stanno valutando se la tecnologia Oz potrebbe essere utilizzato per indurre negli esseri umani una visione tetracromatica, simile a quella di alcune specie animali che possiedono quattro tipi di coni, consentendo la percezione di una gamma di colori significativamente più ampia e sfumata rispetto a quella umana.

Al di là delle applicazioni più specifiche legate alle patologie oculari e alla percezione cromatica, la tecnologia Oz si configura come uno strumento potente per affrontare interrogativi fondamentali su come il cervello umano elabora e interpreta il complesso mondo sensoriale che ci circonda. Come ha sottolineato il professor Roorda: “Abbiamo scoperto che possiamo ricreare un’esperienza visiva normale semplicemente manipolando le cellule, non proiettando un’immagine, ma semplicemente stimolando i fotorecettori. E abbiamo scoperto che possiamo anche espandere quell’esperienza visiva, cosa che abbiamo fatto con olo”.

Questa osservazione cruciale suggerisce che l’esperienza visiva non è strettamente vincolata alla ricezione di immagini preformate, ma emerge dall’attivazione specifica e coordinata dei fotorecettori retinici. L’introduzione di nuovi segnali sensoriali, come quelli generati per la percezione del colore “olo”, solleva domande affascinanti sulla plasticità del cervello e sulla sua capacità di interpretare input sensoriali inediti.

Roorda ha concluso con una riflessione aperta sul potenziale del cervello umano: “È t. Il successo della tecnologia Oz apre quindi nuove e stimolanti prospettive per la ricerca neuroscientifica sulla percezione e sull’adattamento sensoriale.

Lo studio è stato pubblicato su Science Advances.

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