Quale sarebbe la migliore strategia di sopravvivenza se accadesse il peggio?
Se, ad esempio, un’improvvisa pandemia globale o qualche altro tipo di crisi minacciasse di provocare l’estinzione dell’umanità?
La triste verità è che, se ci si trovasse a ridosso di un focolaio apocalittico, potrebbe non esserci via di fuga, ma trovandosi nel posto giusto al momento giusto, come un’isola naturalmente isolata dalla diffusione del contagio, si potrebbe riuscire a sopravvivere per poi procedere al ripopolamento della Terra.
Con queste allegre prospettive in mente, un gruppo di ricercatori hanno identificato e persino classificato quelli che sostengono essere potenzialmente i migliori rifugi insulari durante una simile crisi: luoghi che potrebbero meglio garantire la sopravvivenza umana a lungo termine di fronte a catastrofiche pandemie e altre potenziali minacce all’esistenza dell’umanità.
Può sembrare qualcosa tratto da un film di fantascienza distopico, ma il team avverte che il pericolo, sebbene non imminente, è del tutto plausibile.
“Le scoperte nella biotecnologia potrebbero permettere di creare con l’ingegneria genetica una pandemia capace di minacciare la sopravvivenza della nostra specie“, afferma l’epidemiologo Nick Wilson dell’Università di Otago in Nuova Zelanda. “Sebbene i portatori di malattie possano facilmente aggirare i confini terrestri, un’isola autosufficiente e posta in quarantena potrebbe ospitare una popolazione isolata, tecnologicamente esperta che potrebbe ripopolare la Terra in seguito a un disastro“.
Per identificare i rifugi più efficaci per questo tipo di crisi, i ricercatori non hanno preso in considerazione le isole piccole che potrebbero non avere abbastanza risorse da garantire la sopravvivenza a lungo termine se isolate dal resto del mondo. Gruppi isolati di persone potrebbero benissimo sopravvivere senza assistenza, però piccole popolazioni senza una vasta gamma di tecnici esperti difficilmente sarebbero in grado di ricostruire e ricreare efficacemente una moderna civiltà tecnologica, affermano i ricercatori.
Per questo motivo, il team ha preso in considerazione solo stati sovrani indipendenti riconosciuti dalle Nazioni Unite, senza confini terrestri condivisi con altri stati (e non collegati ad altre nazioni da un ponte), e con popolazioni di oltre 250.000 persone.
Oltre a ciò, i ricercatori hanno anche tenuto conto di altre caratteristiche che renderebbero un rifugio insulare efficace in uno scenario da giorno del giudizio: caratteristiche della popolazione, posizione fisica del rifugio, disponibilità di risorse naturali e caratteristiche politiche e sociali.
Dopo avere selezionato le nazioni mediante questi attributi, hanno redatto un elenco di 20 nazioni-isole dove le possibilità di sopravvivenza sono migliori, conservando al contempo un’adeguata tecnologia. Tra queste, tre in particolare si sono distinte in base ai loro punteggi.
“Le nazioni insulari dell’Australia (0,71) seguite dalla Nuova Zelanda (0,68) e dall’Islanda (0,64), sembrano avere le caratteristiche necessarie per agire come un rifugio efficace di fronte a una catastrofica pandemia globale, luoghi da cui, successivamente, la società tecnologica potrebbe essere ricostruita con successo su larga scala”, scrivono gli autori nel loro articolo.
A parte questi tre, tutti gli altri ipotetici rifugi insulari tra i primi 20 hanno segnato un punteggio inferiore a 0,50, classificando Giappone, Barbados, Cuba, Figi e Giamaica e molti altri luoghi in definitiva meno adatti a garantire la sopravvivenza dell’umanità.
“In qualche modo non sorprende che ad ottenere i punteggi più alti siano state le nazioni ad alto PIL, autosufficienti nella produzione di cibo e/o energia, e in qualche modo remote“, spiegano i ricercatori .
Alcuni paesi potrebbero essere in grado di migliorare le loro classifiche aumentando la loro produzione di cibo ed energia a livello locale, afferma il team, mentre altre nazioni insulari potrebbero non poter migliorare a causa della loro instabilità politica o l’esposizione a cose come i rischi ambientali naturali, ulteriori fattori di incertezza quando da esse potrebbe dipendere la ricostruzione della civiltà umana.
“Ciò richiederà mobilità post-catastrofe, ampie risorse e una vasta popolazione in grado di diffondersi di nuovo in tutto il mondo“, scrivono gli autori. “Molte delle nazioni insulari esaminate mancano di risorse indipendenti, comprese le forniture energetiche, e non dispongono di un capitale sociale e di una stabilità politica adeguate a rendere probabile una efficace cooperazione post-catastrofe“.
I ricercatori riconoscono che la loro metodologia potrebbe avere delle carenze che possono essere affinate con ulteriori analisi e affermano che anche le ramificazioni dei futuri cambiamenti climatici devono essere esaminate più approfonditamente.
Speriamo che non avremo mai bisogno di fare affidamento su una classifica cupa come questa, ma ciò non significa che non sia estremamente importante valutare le nostre opzioni.
“È come una polizza assicurativa“, afferma Wilson. “Speri di non aver mai bisogno di usarla, ma se si verifica un disastro, la strategia deve essere stata messa in atto tempestivamente“.
Con questo in mente, ora conosciamo i posti migliori dove rifugiarsi per sopravvivere ad una apocalisse virale, batterica o forse fungina.
Precedenti ricerche dello stesso team hanno concluso che “le chiusure di frontiera complete da parte delle nazioni insulari di fronte a situazioni di pandemia estrema sarebbero probabili e giustificate“.
I risultati dello studio sono stati pubblicati su Risk Analysis.
I posti più sicuri dove sopravvivere ad una pandemia in grado di sterminare l’umanità
La triste verità è che, se ci si trovasse a ridosso di un focolaio apocalittico, potrebbe non esserci via di fuga, ma trovandosi nel posto giusto al momento giusto, come un'isola naturalmente isolata dalla diffusione del contagio, si potrebbe riuscire a sopravvivere per poi procedere al ripopolamento della Terra
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