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Emoglobina, utilizzata per creare una batteria

I ricercatori dell'Istituto Chimico per l'Energia e l'Ambiente (IQUEMA) dell'Università di Cordoba hanno sviluppato una batteria che utilizza l'emoglobina

I ricercatori dell’Istituto Chimico per l’Energia e l’Ambiente (IQUEMA) dell’Università di Cordoba hanno sviluppato una batteria che utilizza l’emoglobina per facilitare le reazioni elettrochimiche, mantenendo la funzionalità per circa 20-30 giorni.

Sviluppata la prima batteria utilizzando l'emoglobina
Sviluppata la prima batteria utilizzando l’emoglobina

L’emoglobina è una proteina presente nei globuli rossi ed è responsabile del trasporto dell’ossigeno dai polmoni ai diversi tessuti del corpo (e del trasferimento, viceversa, dell’anidride carbonica). Ha un’altissima affinità con l’ossigeno ed è fondamentale per la vita.

Ma se fosse un elemento chiave anche per un tipo di dispositivo elettrochimico in cui anche l’ossigeno gioca un ruolo importante, come le batterie zinco-aria?

Questo è ciò che i gruppi di Chimica Fisica (FQM-204) e Chimica Inorganica (FQM-175) dell’Università di Córdoba (UCO) hanno voluto verificare e sviluppare, insieme a un team dell’Università Politecnica di Cartagena, dopo lo studio dell’Università di Oxford e un progetto di laurea presso l’UCO hanno dimostrato che l’emoglobina presenta proprietà promettenti per il processo di riduzione e ossidazione (redox) mediante il quale viene generata energia in questo tipo di sistemi.

Così il team di ricerca ha sviluppato, attraverso un progetto Proof of Concept, la prima batteria biocompatibile (che non è dannosa per l’organismo), utilizzando l’emoglobina nella reazione elettrochimica che trasforma l’energia chimica in energia elettrica.

Il gruppo di ricerca dell'Università di Cordoba. Credito: Università di Cordoba
Il gruppo di ricerca dell’Università di Cordoba. Credito: Università di Cordoba

Il meccanismo e i vantaggi della batteria dell’emoglobina

Utilizzando batterie zinco-aria, una delle alternative più sostenibili a quelle che attualmente dominano il mercato (batterie agli ioni di litio), l’emoglobina funzionerebbe come catalizzatore in tali batterie. Cioè, si tratta di una proteina responsabile di facilitare la reazione elettrochimica, chiamata reazione di riduzione dell’ossigeno (ORR), che fa sì che, dopo che l’aria sia entrata nella batteria, l’ossigeno venga ridotto e trasformato in acqua in una delle parti della batteria (il catodo o polo positivo), rilasciando elettroni che passano all’altra parte della batteria (l’anodo o polo negativo), dove avviene l’ossidazione dello zinco.

Come ha spiegato il ricercatore dell’UCO Manuel Cano Luna: “Per essere un buon catalizzatore nella reazione di riduzione dell’ossigeno, il catalizzatore deve avere due proprietà: deve assorbire rapidamente le molecole di ossigeno e formare molecole d’acqua con relativa facilità, e l’emoglobina ha soddisfatto tali requisiti”. Infatti, attraverso questo processo, il team è riuscito a far funzionare il prototipo di batteria biocompatibile con 0,165 milligrammi di emoglobina per un periodo compreso tra 20 e 30 giorni.

Oltre alle ottime prestazioni, il prototipo di batteria sviluppato vanta altri vantaggi. Innanzitutto, le batterie zinco-aria sono più sostenibili e possono resistere a condizioni atmosferiche avverse, a differenza di altre batterie che soffrono di umidità e richiedono un’atmosfera inerte per la loro fabbricazione.

In secondo luogo, come sostiene Cano Luna, “l’uso dell’emoglobina come catalizzatore biocompatibile è molto promettente per quanto riguarda l’uso di questo tipo di batterie in dispositivi integrati nel corpo umano come i pacemaker”. La batteria, infatti, funziona a pH 7,4, che è un pH simile a quello del sangue. Inoltre, poiché l’emoglobina è presente in quasi tutti i mammiferi, si potrebbero utilizzare anche proteine ​​di origine animale.

Batteria agli ioni di litio
Batteria agli ioni di litio

La batteria che hanno sviluppato i ricercatori ha tuttavia qualche margine di miglioramento. La principale è che si tratta di una batteria primaria, quindi scarica solo energia elettrica, inoltre non è ricaricabile. Pertanto, il team sta già facendo i passi successivi per trovare un’altra proteina biologica in grado di trasformare l’acqua in ossigeno e, quindi, ricaricare la batteria.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Energy & Fuels, apre le porte a nuove alternative funzionali per le batterie in un contesto in cui sono attesi sempre più dispositivi mobili e in cui vi è un crescente impegno a favore delle energie rinnovabili, tale che è necessario disporre di dispositivi che immagazzinano l’energia elettrica in eccesso sotto forma di energia chimica. Ancora più importante, le batterie più comuni oggi, quelle agli ioni di litio, sono gravate dai problemi della scarsità del litio e del suo impatto ambientale come rifiuto pericoloso.

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