Le capacità cognitive per la comprensione e la struttura del linguaggio umano e, quelli che furono i primi elementi costitutivi dello stesso, risalgono a ben 40 milioni di anni fa.
A dimostrare questa teoria, lo studio approfondito di un gruppo di ricercatori, che proprio recentemente, ha individuato come, il nostro “ultimo antenato”, aveva sviluppato la capacità di rilevare le relazioni tra gruppi di suoni; un’abilità fondamentale per la comprensione dell’idioma. Azioni che con molta probabilità hanno condiviso insieme alle grandi scimmie.
La recente ricerca, infatti, stabilisce proprio questo concetto, che è stato realizzatato da un gruppo di ricerca capeggiato da Stuart Watson, un ricercatore del Dipartimento di Linguistica comparata presso l’Università di Zurigo in Svizzera.
Le caratteristiche della ricerca
Il linguaggio è composto da frasi e in ognuna di esse ogni parola ha un significato, che dipende anche dalla grammatica e dalla disposizione delle parole. Essere in grado di riconoscere e interpretare le relazioni tra le parole di una frase è una parte importante del modo in cui il nostro cervello elabora il linguaggio.
Per esplorare le origini di tale capacità, i ricercatori hanno creato un “linguaggio artificiale” di suoni composto da sei categorie acustiche e li hanno combinati in varia maniera per comporre frasi.
Essi sono stati fatti ascoltare a esseri umani, uistitì e scimpanzé per verificare chi fosse in grado di riconoscere il fatto che la struttura di una frase fosse corretta oppure no, e la conclusione è stata l’avere riscontrato l’esistenza di “somiglianze notevoli” nelle reazioni di tutti i soggetti interessati alla ricerca.
Nelle lingue degli esseri umani i gruppi di parole in una frase possono essere collegati anche quando non sono l’uno accanto all’altro, una relazione che viene definita come dipendenza non adiacente. Ad esempio, nella frase “Il cane che ha morso il gatto è scappato”, l’atto di scappare è collegato al “cane” e non al “gatto”.
Per le finalità dello studio, i ricercatori hanno composto alcuni suoni generati dal computer, i quali sono stati combinati in sequenze, come le parole in una frase.
“Ovviamente questi suoni sono privi di significato” ha spiegato Watson – “Ma il fatto che il suono ‘A’ si sia verificato sempre nelle stesse sequenze del suono ‘B’ ha conferito ad essi una sorta di relazione paragonabile con la sintassi”.
I ricercatori hanno quindi portato a familiarizzare con queste sequenze di “grammatica artificiale” 24 esseri umani, 17 scimpanzé e 16 uistitì; successivamente, hanno registrato le risposte dei soggetti alla grammatica, quando venivano infrante le regole stabilite.
Watson ha spiegato che i partecipanti non umani hanno ascoltato i suoni per cinque ore in una settimana prima di verificare se avessero imparato qualcosa.