Un interessante studio sui buchi neri quantistici è apparso il 6 dicembre scorso sul sito di prestampa preprints.
Lo studio, vede come autore principale Christian Corda, Professore a contratto di Astrofisica presso il Research Institute for Astronomy and Astrophysics of Maragha, a Maragha in Iran e che da Gennaio sarò Professore di Fisica Teorica presso l’Università di Istanbul, che lo scorso anno si è guadagnato il prestigioso premio scientifico internazionale con una menzione d’onore della “2018 Essay Competition of the Gravity Research Foundation“, riconoscimento già ottenuto nel 2009 e nel 2012.
Il titolo del lavoro, “The Quantum Black Hole as a Gravitational Hydrogen Atom” è quanto mai suggestivo e il lavoro, svolto in collaborazione col giovane Fabiano Feleppa, compara l’interno di un buco nero quantistico ad un atomo di idrogeno.
Raggiunto via facebook, il professor Corda ha così commentato il suo lavoro:
“Dal punto di vista teorico, i buchi neri vengono oggi spesso indicati come ‘gli atomi del XXI secolo’. Perchè?
Uno dei più grandi obbiettivi della fisica contemporanea è unificare quelle che sono ritenute le due più grandi realizzazioni intellettuali del XX secolo, ossia la relatività generale, che, come teoria della gravitazione, governa l’infinitamente grande, e la meccanica quantistica che governa l’infinitamente piccolo, in un’unica teoria più generale detta della gravità quantistica.
Il problema è che la relatività generale e la meccanica quantistica sembrano essere incompatibili. Nonostante vari approcci di diverso tipo provati negli ultimi anni (teoria delle stringhe, gravità quantistica a loop, teoria del Twistor, etc.), sinora non si è giunti a definire una teoria della gravità quantistica completa.
E’ però opinione generale che, così come gli atomi vengono considerati i “mattoni fondamentali” della meccanica quantistica i buchi neri debbano essere considerati i “mattoni fondamentali” della gravità quantistica.
La relatività generale perde, infatti, la sua validità in presenza di campi gravitazionali molto forti, come quelli che si hanno appunto in presenza dei buchi neri o come quello che si aveva nei primi istanti di vita dell’Universo, immediatamente dopo il big-bang.
In tali frangenti infatti la relatività generale prevede l’esistenza delle cosidette “singolarità“.
La definizione tecnica di “singolarità” è complessa, qui basti sapere che si tratta di casi in cui alcune grandezze fisiche del sistema in questione (ad esempio densità e/o temperatura) possono raggiungere valori infiniti.
La scienza non capisce il significato della presenza di questi infiniti, che assumono dunque il significato di incompletezza teorica della stessa relatività generale.
Va però detto che la relatività generale è una teoria “classica”, ossia non-quantistica, in quanto non tiene conto del celebre Principio di Indeterminazione di Heisenberg che sta alla base della meccanica quantistica e porta la fisica dell’infinitamente piccolo ad essere casuale (governata dal caso) anzichè causale (governata da causa ed effetto).
Si è dunque portati a credere che, prima di giungere alle singolarità, gli effetti quantistici vadano tenuti in conto all’interno di una teoria della gravitazione completa, che permetta di eliminare le singolarità.
Nel 1993, l’allora 84-enne Nathan Rosen, storico collaboratore di Einstein, ebbe un’intuizione semplice, ma che non esito definire geniale. Si rese conto che, moltiplicando per la massa del sistema entrambi i lati della più importante delle equazioni di Einstein applicate alla cosmologia, si poteva procedere ad un tipo di quantizzazione, intuitiva ma rigorosa, di un modello di Universo fondato sulla relatività generale.
Analizzando l’articolo di ricerca di Rosen col mio collaboratore Fabiano Feleppa, ci siamo resi conto che, con le opportune cautele e cambiando le condizioni al contorno, l’analisi di Rosen poteva adattarsi anche al collasso gravitazionale di una stella massicia, nella sua forma più semplice, come venne discusso nello storico articolo di Oppenheimer e Snyder del 1939, che porta alla formazione di un buco nero.
Applicando la condizione di buco nero a questa procedura di quantizzazione, cioè ipotizzando che il sistema sia completamente collassato in un buco nero, al posto della singolarità prevista dalla relatività generale abbiamo trovato un sistema quantistico non-singolare di due particelle, governato da un’interazione gravitazionale quantistica e del tutto analogo all’atomo di idrogeno.
Sembrerebbe dunque che l’opinione generale che, così come gli atomi vengono considerati i “mattoni fondamentali” della meccanica quantistica, i buchi neri debbano essere considerati i “mattoni fondamentali” della gravità quantistica, sia ben più di un’opinione ma un fatto ben concreto, in quanto in fisica certe analogie non possono essere delle coincidenze.
Se abbiamo ragione sarebbe dunque un grosso passo in avanti nella “rotta verso la gravità quantistica”.
Insomma, potremmo essere davanti ad un importante passo avanti verso la riunificazione della Teoria della Relatività con la meccanica quantistica, finora apparse ai più praticamente inconciliabili.
E sarebbe un altro passo verso quella nuova fisica di cui in molti vagheggiano da qualche anno a questa parte.
Il professor Christian Corda è anche autore di numerosi articoli oltre che dell’interessante testo divulgativo “Onde Gravitazionali – La scoperta del secolo“.