L’incredibile leggenda del Prete Gianni

La leggenda di questo sovrano/sacerdote e del suo esotico e misterioso impero nasce intorno al 1145 e con alti e bassi persisterà per quasi cinque secoli

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Possono alcune missive spedite ad imperatori, re e papi nel XII secolo scatenare una delle più incredibili mistificazioni in grado di sopravvivere per quasi cinque secoli? Può sembrare sconcertante ma questo è il caso del mito del cosiddetto Prete Gianni.
Tutto pare abbia inizio con una lettera indirizzata all’imperatore bizantino Manuele Comneno intorno al 1165. La missiva è firmata dal leggendario Prete Gianni, grande monarca delle Indie, re di settantadue province, discendente dei Re magi, colui che per ricchezze e per valore superava «tutte le creature che vivono su questa terra». Sovrano di cui nessuno aveva sentito parlare fino ad allora.
Costantinopoli viveva una situazione geopolitica alquanto travagliata e quella lettera vergata con una deferenza che non riusciva a mascherare del tutto la protervia di chi l’aveva concepita fu ben presto accantonata. Cinque anni dopo Cristiano di Buch, arcivescovo di Magonza, si presentò alla corte di Federico Barbarossa consegnandogli una lettera proveniente dall’estremo oriente.
Si trattava sempre del misterioso Prete Gianni che proponeva al Barbarossa un’alleanza contro i Mori. Il Presbyter Johannes, teneva a far sapere che oltre ad essere un “Re dei re” era anche e soprattutto un sacerdote. Questo sconosciuto sovrano amava definirsi “prete”, ma lo faceva per modestia: il suo maggiordomo era un arcivescovo, il capocuoco contemporaneamente un re e un abate. Anche il Barbarossa non diede credito eccessivo ad un presunto sovrano di una terra lontanissima quanto leggendaria.
Non ci stupiamo particolarmente di trovare qualche tempo dopo un’analoga missiva indirizzata niente di meno che al Papa. Il Prete Gianni parlando del suo impero dichiarava che si stendeva dai confini del Paradiso terrestre «fin nelle vicinanze della Torre di Babele». Nel porgere i suoi saluti al capo della cristianità il misterioso sovrano dipingeva le virtù del suo regno dove non esistevano violenza, bugie, adulterio. Insomma un vero paradiso in terra.
Questo profluvio di lettere scritte ai potenti del tempo iniziarono a sedimentare una patina di realtà alle vanterie elaborate da qualche arguto falsario medioevale. Al punto che questo fantomatico regno, che presumibilmente si collocava nelle sconosciute e misteriose regioni indiane, divenne per secoli ragione di guerre di conquista, esplorazioni coraggiose, ricerca ossessiva di un personaggio inesistente e permeò, anche i capolavori di Boccaccio, Tasso, l’Orlando furioso di Ariosto e le commedie shakespeariane.
Per cercare di comprendere come un’impostura del genere sia potuta durare molti secoli dobbiamo capire cos’era l’India per i dotti ed i potenti dell’alto medioevo. La cartografia era influenzata allora più dalla storia del mondo e dei popoli che da precise risultanze geografiche.
E l’India era certamente tra le più nebulose regioni del mondo allora conosciuto. C’era l’India maior, quella che oggi conosciamo. Ma India era anche l’India minor, a oriente della Persia, e l’India tertia, verso l’Africa, dalle parti dei mitici luoghi dell’Eden e di Babele, Abitanti, flora e fauna di queste terre avvolte nel mito si confondevano con il fantastico ed il leggendario.
D’altra parte la conoscenza dell’Oriente, quella concreta degli affari, della circolazione della cultura e delle persone era limitata a quella regione che oggi chiamiamo Medio Oriente e che al massimo rappresentava una porta per quell’oriente, estremo e misterioso da dove proveniva la fascinazione del Prete Gianni.
Ed è dalla Terrasanta che parte la prima notizia di questo fantomatico sovrano, la porta con sé, dopo una sfibrante traversata per terra e mare, il 18 novembre 1145, Ugo di Gabala, vescovo siriano dai natali francesi, giunto in missione diplomatica per conto del principe Raimondo di Antiochia.
Al Papa Eugenio III che lo riceve racconta:
Non troppi anni fa, un certo Gianni, re e sacerdote dell’estremo Oriente al di là della Persia e dell’Armenia, e cristiano, benché nestoriano, come lo è tutto il suo popolo, mosse guerra contro i fratelli chiamati Samaiardi, re dei Persiani e dei Medi, e attaccò Ecbatana, la capitale del loro regno […]. Dopo la vittoria, questo Gianni aveva guidato il proprio esercito in soccorso della Chiesa di Gerusalemme ma, giunto presso il fiume Tigri, non era stato capace di trasportare i soldati sull’altra sponda con nessun tipo di imbarcazione […]. Si dice che sia un discendente dei magi di cui parlano i Vangeli, che sia sovrano degli stessi popoli e che tale sia la sua gloria e la sua ricchezza che usa soltanto uno scettro di smeraldo.”
Come in tutte le fake news che si rispettano, in questa mirabolante vicenda ci sono tracce di verità. Nel 1141 davvero un grande condottiero aveva sconfitto il re turco Sanjar. Non si trattava però di un indiano ma di un cinese Yeh-lü Ta-shih, il grande sovrano dei Kara-Khitay. E, particolare non trascurabile, non era cristiano ma buddista. E la battaglia non era avvenuta ad Ectabana ma a Samarcanda.
Come avviene la mistificazione allora? Probabilmente è il frutto della situazione dei principati cristiani in Terrasanta che divisi tra loro stanno soccombendo all’avanzata turca. Torna comodo per questi traballanti regni cristiani che un esercito potente di un reame altrettanto potente quanto vago sconfigga i mori. E se dobbiamo spostare la battaglia da Samarcanda, troppo lontana dalla Terrasanta, ad Ectabana, che male c’é? E se invece di mettere a capo di un potenziale alleato un fantomatico re e sacerdote nestoriano invece che un cinese buddista, le cose tornano meglio, no?
Ma i fantasiosi racconti di questo Re dei Re del Catai non salveranno i principati cristiani in Terrasanta dall’avanzata dei mussulmani. Quando ventanni dopo giunge la prima missiva all’imperatore bizantino i semi del mito sono già germogliati, al punto tale che né Michele Comeno né i suoi ministri e consiglieri vengono messi in allarme dal fatto che la lettera del misterioso Prete Gianni è scritta in ottimo latino e che tutte le descrizioni del fantomatico regno indiano sono attinte dall pseudo conoscenza che si ha di quelle terre nell’Europa del XII secolo.
Poi lentamente l’interesse e l’attenzione su questo regno esotico e sul suo straordinario imperatore-sacerdote andò affievolendosi. Il ritorno in auge della storia del Prete Gianni avvenne all’improvviso, intorno alla metà del XIV secolo. John Mandeville, un viaggiatore inglese, raccontò di essersi recato in quel regno favoloso durante i suoi viaggi. Nel 1355 egli fu in cura presso Jean de Bourgogne, medico di Liegi, nelle cui mani, al momento del commiato, lasciò un manoscritto: erano le sue memorie di viaggio, che da quel momento conobbero un’enorme diffusione. I presunti viaggi del gentiluomo inglese riprendono e accreditano tutte le mirabolanti iperbole già conosciute e ne aggiungono altre. Unica annotazione, il manoscritto sembra alludere a una localizzazione africana anziché asiatica.
Nel 1371, però, mentre era in punto di morte, il medico belga confessò di essersi inventato tutto. Nonostante questa confessione il mito del fantomatico regno continuerà, spostandosi dall’Asia all’Africa secondo le farneticanti invenzioni di Mandeville. Re Giovanni II del Portogallo nel 1489 inviò un’ambasceria in Egitto, proprio con lo scopo di giungere nel paese del Prete Gianni. I messi raggiunsero l’Etiopia, dove trovarono davvero dei re cristiani sottomessi ad un Negus che si proclamava discendente di re Davide. Allo stabilirsi di relazioni diplomatiche ufficiali tra Lisbona e l’imperatore Dawit II nel 1520, Prete Gianni era il nome con cui gli Europei conoscevano l’imperatore d’Etiopia.
Persino nel Ventesimo secolo, ad intermittenza, continuò il dibattito sull’esistenza storica del Prete Gianni e del suo esotico regno. Qualcuno arrivo ad associarlo al Dalai Lama, sorta di sovrano e sacerdote, collocando quindi il regno celebrato dal mito in Tibet.
Certo è che l’influenza di questa leggendaria figura nella cultura sia quella colta che pop è stata notevole. Da Umberto Eco che ne tratta nel suo romanzo “Baudolino” al “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde (capitolo 11), passando per il maestro dell’avventura africana Wilbur Smith nel romanzo “Uccelli da Preda” fino al saggio storico sul medioevo di Jacques Le Goff, “Il cielo sceso in terra“, la leggenda del Prete Gianni, rivive con la caparbietà dell’Araba Fenice.