La paternità non è una condizione naturale e innata nell’uomo, ma è una predisposizione che si è evoluta e consolidata nel tempo.
Se si osserva il regno animale, poche specie a tutt’oggi mostrano quello che viene definito l’istinto Paterno e, addirittura, in alcune di esse i maschi si dimostrano particolarmente crudeli con la propria prole, divorandola.
Si può ipotizzare che anche l’uomo avesse un ruolo marginale se non inesistente: la cura della prole era probabilmente legata alla possibilità di garantire longevità ai propri geni. Ma come mai è stata scelta questa strategia conservativa, anziché optare sulla competizione da accoppiamento con più femmine, proprio come avviene nel mondo animale?
In prima istanza, gli scienziati suggerivano che la paternità fosse principalmente un accordo sessuale: il padre avrebbe protetto e provveduto ai bambini in cambio della fedeltà sessuale della compagna.
Successivamente questa ipotesi si è indebolita grazie ad uno studio sugli scimpanzé che ha dimostrato che lo scambio cibo/ sesso si verificava raramente, e questo fatto ha messo in dubbio che questa modalità di mutuo soccorso si sia verificata anche tra gli umani.
Hillard Kaplan, un antropologo dell’Università del New Mexico che studia la storia della vita umana, suggerisce che la paternità fu forgiata durante un periodo di prova per i nostri antenati circa 2 milioni di anni fa, durante il tardo Pliocene e il primo Pleistocene.
Durante quel periodo, la savana africana cominciò a prosciugarsi. La quantità di mammiferi presenti all’aperto aumentò, così come i tuberi (patate) e noci, ma i frutti che maturavano grazie all’acqua scarseggiarono.
Un articolo del 2020 sulla rivista Proceedings of National Academy of Sciences spiega come queste condizioni in realtà favorirono i padri collaborativi rispetto ai maschi che cercavano semplicemente di avere il maggior numero possibile di discendenti con compagne diverse.
Nello studio, gli autori sostengono che questo cambiamento ecologico avrebbe reso più vantaggioso per uomini e donne lavorare insieme per raccogliere cibo da una maggior varietà di fonti alimentari.
Ad esempio, le femmine, che erano le principali responsabili dell’assistenza alla prole, potevano cercare prodotti ricchi di carboidrati. Con l’abbondanza di mammiferi, i maschi iniziarono a procacciare altre fonti di cibo ricche di energia.
Questo evento ha creato una complementarità tra maschi e femmine, che ha reso la collaborazione estremamente utile per ogni genitore, afferma Kaplan. I padri avrebbero offerto un beneficio tangibile che avrebbe aiutato a mantenere in vita i figli.
In presenza di più di un bambino, sia le madri che i padri dovettero contribuire, per assicurarsi che tutti i discendenti vivessero, spiega Kaplan – questo è particolarmente vero per i bambini umani, che hanno uno sviluppo prolungato rispetto ad altri animali.
I figli dei maschi che, invece, puntarono sulla competizione, d’altra parte, potrebbero aver lottato in quel nuovo ambiente in cui era necessaria la combinazione delle forze dei genitori.
“Gli umani si sono adattati a una dieta onnivora in cui la caccia ha svolto un ruolo davvero importante nella loro economia“, afferma Kaplan. “Ciò ha dato ai maschi la possibilità di fare davvero la differenza nella vita dei bambini impegnandosi nella caccia anziché a battersi l’uno contro l’altro e competere per le femmine”.
In definitiva, Kaplan afferma che la paternità fa parte di ciò che chiama il complesso di adattabilità umana – o una serie di comportamenti e cambiamenti fisiologici che si sono evoluti insieme mentre gli umani dovevano diventare più creativi per sopravvivere, e garantire che la loro prole sopravvivesse.
Da un lato, fornire cibo in abbondanza avrebbe potuto consentire alle madri di avere un intervallo più breve tra le nascite, consentendo la nascita di più bambini, consentendo ai padri devoti di perpetuare i loro geni in modo simile a come i padri competitivi avrebbero potuto fare accoppiandosi con più femmine.
Ma gli altri benefici avrebbero interessato solo i padri accudenti: se i bambini possono concentrarsi sull’apprendimento di nuove attività anziché lottare per sopravvivere, diventano adulti più produttivi e utili, afferma Kaplan.
Quindi, potrebbero avere figli e i geni dei padri verranno trasmessi ad un’altra generazione.
In questo modo viene creata una famiglia. E l’investimento che fa un padre nei confronti del figlio continua a perpetuarsi man mano che le risorse vengono condivise e tramandate.
“In definitiva, parte del complesso adattivo umano include il nonno“, afferma Kaplan. “Quando uomini e donne agiscono come nonni, hanno un flusso di risorse per i loro figli adulti e per i loro nipoti”.
In tal senso, l’evoluzione della paternità è inseparabile dall’evoluzione della famiglia. Le condizioni richiedevano all’uomo di unire le forze e investire nel successo a lungo termine dei propri figli.
L’evoluzione della paternità ha garantito che i nostri antenati umani decidessero che il modo migliore per sopravvivere era guardare i loro figli crescere e prosperare.