L’ America è sempre stata terreno fertile per lo sviluppo di varie sette capeggiate da un leader tanto carismatico quanto controverso che tendono ad isolarsi dalla società. Si pensi ai casi come Kip McKean, Anton LaVey o il più famoso Charles Manson. Il filo conduttore di tutti questi micromovimenti religiosi è l’Avvento di Cristo e la fine di questo Mondo a vantaggio di uno migliore.
In questo scenario preapocalittico, una delle situazioni più controverse della storia delle sette riguarda l’Assedio di Waco, dove furono coinvolti i davidiani, capeggiati da David Koresh.
L’assedio di Waco: chi erano i davidiani
I davidiani prendono il nome da David con riferimento a Isaia 11:1 e al biblico ramo di Jesse, che compare nello stemma ufficiale utilizzato dai davidiani all’interno di una stella di David. Ferventi credenti della seconda venuta di Cristo dal cielo (Avvento o Parusia), erano incoraggiati dal loro leader, Victor Houteff, a restaurare la Chiesa cristiana avventista del settimo giorno affinché potesse accogliere al suo interno tutti i presunti nuovi convertiti ad una versione più pura della Chiesa.
Nel 1955 Houteff morì e il problema di chi dovesse succedergli causò una scissione tra gli adepti della setta che sfociò nella creazione dell’Associazione generale dei davidiani avventisti del settimo giorno, con a capo Benjamin Roden, detta Il Ramo (The Branch). I davidiani scelsero la propria sede a Waco e vi si insediarono alla fine del 1960. Il secondo papabile, Koresh venne espulso insieme ai suoi gregari.
Tra i requisiti fondamentali per poter fare parte del gruppo, era necessario diventare vegetariani. Non solo, promuovevano l’agricoltura biologica e Roden si adoperò affinché la comunità mantenesse la cena del Signore nella stessa ora di culto designata nell’antico Israele (la terza e la nona ora del giorno) e si ripudiasse il culto della domenica, che pare rappresentasse secondo loro il marchio della bestia, in quanto pagano.
Nel 1987 ricomparve Koresh, a seguito di una gravissima accusa mossa contro il suo rivale Roden, che sosteneva che quest’ultimo avesse compiuto atti sacrileghi sul cadavere di una defunta esponente della setta, tale Anna Hughes.
Koresh provò ad introdursi nella cappella di Waco e Roden reagì sparando contro tutti, anche contro le forze dell’ordine giunte in loco a causa dei disordini e che riuscirono ad ammanettare Roden e farlo condannare nel 1988; infine fu internato in un manicomio poiché aggredì e uccise con un’ascia un davidiano che era andato a fargli visita.
Koresh prese le redini della setta e comunicò agli adepti di essere stato incaricato da Dio di ricostituire una stirpe che avrebbe dato vita alla casa di Davide; tutte le donne abbandonarono i mariti e si prestarono al disegno divino.
L’assedio di Waco: l’intervento del Governo
Nel 1993 il Governo degli Stati Uniti aprì un’indagine su Koresh e la setta, insospettito da alcuni fatti che pare si svolgessero a Waco: un ex davidiano infatti dichiarò che Koresh fosse in possesso di armi da fuoco, abusasse di alcool droghe e praticasse la pedofilia.
Nonostante le accuse infamanti, si racconta che Koresh si mostrò sempre disponibile ad accettare un confronto con i federali i quali, però, ignorarono tutte le sue rimostranze. Nel febbraio del 1993 ci fu un tentativo di perquisizione che si concluse in un conflitto a fuoco in cui persero la vita 6 davidiani e 4 agenti.
L’assedio di Waco: i fatti
La morte dei 4 agenti federali scatenò, nel giro di poche ore, l’assedio. La comune capeggiata da Koresh rimase presidiata dalla polizia per ben 50 giorni. Il 19 aprile alcuni agenti esperti dell’FBI e reparti scelti della “Delta Force”, circondarono la setta senza che nessun membro avesse la possibilità di scappare.
Nell’assedio di Waco furono utilizzati veicoli corazzati e carri armati pesanti e si consumò una strage: 76 tra uomini, donne e bambini morirono, mentre i federali ne uscirono indenni. All’interno della comune furono ritrovate 305 armi automatiche, tra cui AK47 e AR15 modificati.
Per espugnare Waco, le forze dell’ordine utilizzarono granate composte da gas CS. il direttore dell’FBI Louis Freeh in seguito dichiarò che: “Almeno due bombe lacrimogene pirotecniche furono sparate a Waco con obiettivo il bunker sotterraneo di cemento, lontano dall’edificio principale in legno, però sono rimbalzate, finendo su un campo aperto. Non hanno nulla a che fare con le fiamme“.
Questa dichiarazione, nonostante avesse l’intento di placare le tensioni, esacerbò gli animi tanto da accusare il Governo Clinton, per l’assedio di Waco, di strage di Stato e di depistaggio l’allora Ministro della Difesa Janet Wood Reno. Ad acuire la tensione anche la presunta scomparsa di 3 cartelle di documenti che raccontavano i fatti di Waco, provenienti dalla scrivania di Vince Foster, all’epoca vicedirettore della Casa Bianca, che si tolse la vita nel 1993 e sulla cui morte furono aperte tre inchieste federali.
L’assedio di Waco: ultime considerazioni
Al di là del sistema di credenze a cui tutti noi sia direttamente che indirettamente apparteniamo, la morte di 76 esseri umani di cui 28 bambini nell’assedio di Waco non può lasciare indifferenti. Così come crea qualche perplessità la strategia utilizzata dai federali per stanare i davidiani: granate lacrimogene con un potenziale incendiario non trascurabile.
Dall’altro lato vediamo un leader, Koresh, autoproclamatosi il nuovo Messia, che arma la setta di cui è a capo, in barba a tutti i precetti cristiani più noti. Ne isola i membri, ne abusa fisicamente e psicologicamente. Alcune fonti rivelano che non è affatto vero che Koresh cercasse il dialogo con l’FBI ma lo scontro. Solo pettegolezzi storici, niente di acclarato.
Negli Stati Uniti, com’è vero che nascono più sette che campi di mais, è anche vero che pullulano tanti movimenti “anti-setta“.
A prescindere dal torto o dalla ragione, quanto è giusto, umano e legale ricorrere alla coercizione per porre fine ad eventuali abusi di soggetti deboli che anziché essere tutelati, cadono vittime di conflitti armati?
Infine il problema della detenzione delle armi da fuoco.
Negli Stati Uniti ogni cittadino maggiorenne può possederne una, non solo è la legge, ma è anche un accordo sociologico ben radicato negli statunitensi, che non tollerano ingerenze da parte dello Stato in tal senso.
Possedere un’arma è un diritto inviolabile, un concetto di libertà che a noi del Vecchio Continente può ricordare il Far West ma che oltreoceano si fonde nel DNA degli americani e ricorda il rito ancestrale dell’autodifesa, ritenuta a furor di popolo un diritto inalienabile che si introduce nel concetto statunitense di libertà.
Tutti questi interrogativi sono d’obbligo, non certo per capire chi sono i buoni o i cattivi, ma per stabilire di chi e quali sono le responsabilità di una società che arma i suoi cittadini e poi paga il conto con le vite di chi, magari, cercava solo un po’ di sollievo per le sue pene.