Poco più di 19 anni fa moriva, a 7 anni, la pecora Dolly, il primo clone di un mammifero adulto, protagonista suo malgrado delle cronache scientifiche e non dalla sua nascita, avvenuta il 5 luglio 1996 alla sua morte il 14 febbraio 2003.
La pecora Dolly fu la dimostrazione che gli animali possono essere clonati e la sua nascita “ha aperto molte possibilità in biologia e medicina“.
Chi era Dolly la pecora?
La sua esistenza fu annunciata al mondo il 22 febbraio 1997, scatenando la curiosità dei media, e ha vissuto dal 1996 al 2003. Era il risultato di un esperimento al The Roslin Institute di Edimburgo, da parte di un team guidato dal professor Sir Ian Wilmut.
L’Università di Edimburgo ha dichiarato: “Dolly è stata clonata da una cellula prelevata dalla ghiandola mammaria di una pecora Finn Dorset di sei anni e da un uovo prelevato da una pecora scozzese Blackface. Il muso bianco di Dolly è stato uno dei primi segni che era un clone, perché se fosse stata geneticamente imparentata con la madre surrogata, avrebbe avuto il muso nero“.
Dolly ha vissuto al Roslin Institute e ha condotto una vita normale con le altre pecore, a parte alcune apparizioni sui media. Ha avuto sei agnelli con un ariete di montagna gallese chiamato David, e purtroppo è morta dopo aver contratto un virus chiamato Jaagsiekte sheep retrovirus (JSRV), che causa il cancro ai polmoni nelle pecore. È stata sottoposta a eutanasia il 14 febbraio 2003.
Dov’è Dolly adesso?
Il Roslin Institute ha affermato che dopo la sua morte “ha donato il corpo di Dolly al National Museum of Scotland di Edimburgo, dove è diventata una delle attrazioni più popolari del museo. Dolly è tornata in mostra nel museo dopo un’ampia ristrutturazione della galleria, insieme a una mostra interattiva sull’etica della creazione di animali transgenici con la ricerca attuale del Roslin Institute”.
Qual è la sua eredità?
Dopo aver clonato Dolly, il professor Ian Wilmut ha utilizzato le conoscenze acquisite per “produrre cellule staminali che potrebbero essere utilizzate nella medicina rigenerativa”. Si è trasferito all’Università di Edimburgo nel 2005 ed è diventato il primo direttore dell’MRC Center for Regenerative Medicine nel 2006.
Il Roslin Institute ha dichiarato: “La nascita di Dolly ha dimostrato che gli scienziati possono riportare indietro l’orologio di una cellula adulta completamente sviluppata per farla comportare come una cellula di un embrione appena fecondato, e questo ha incoraggiato i ricercatori a Edimburgo e in tutto il mondo a studiare altre tecniche per riprogrammare le cellule adulte, portando infine alla scoperta di cellule staminali pluripotenti indotte (iPS)“.
Le cellule staminali pluripotenti sono in grado di produrre potenzialmente qualsiasi cellula o tessuto di cui il corpo ha bisogno per ripararsi e hanno molteplici usi in medicina.
Nel 1999 su Nature è stata pubblicata una ricerca in cui si suggeriva che la pecora poteva essere suscettibile di un invecchiamento precoce a causa dei ridotti telomeri delle sue cellule. Si speculò che questi potevano essere stati ereditati dalla madre, che aveva l’età di 6 anni quando le fu prelevato il materiale genetico, così che Dolly poteva avere geneticamente già 6 anni alla nascita. I primi segni di un invecchiamento precoce sono stati effettivamente riportati nel 2002, quando Dolly aveva 5 anni. Sviluppò una forma potenzialmente debilitante di artrite, insolita a questa giovane età. Ciò andò a sostegno dell’ipotesi della senescenza prematura.
D’altra parte, il dott. Dai Grove White, della Facoltà di Scienze Veterinarie dell’Università di Liverpool, sostenne che “l’artrite potrebbe essere dovuta alla clonazione così come potrebbe non esserlo. Da quello che ne sappiamo, la pecora Dolly potrebbe essersi infortunata la zampa saltando sopra un cancello e favorito lo sviluppo dell’artrite“. Inoltre, il dott. John Thomas ha evidenziato che la maggior parte degli animali clonati successivamente a Dolly mostrano telomeri di lunghezza normale e che nei cloni seriali essi addirittura si allungano a ogni successiva generazione.
La comunità scientifica è, in ogni caso, concorde nel ritenere importante la prosecuzione e l’approfondimento dei metodi di clonazione. Il sostegno della comunità scientifica è unanime riguardo alla clonazione dei cavalli e alla clonazione dei maiali, al fine di ottenere organi animali idonei per il trapianto in esseri umani. Il metodo impiegato per la produzione di Dolly rappresenta una delle più importanti scoperte scientifiche: tale metodo ha sostanzialmente contribuito allo sviluppo delle biotecnologie e alla comprensione dei meccanismi epigenetici che regolano lo sviluppo cellulare.
La nascita di Dolly mostrò per la prima volta che i geni nei nuclei di cellule somatiche differenziate (mature) sono ancora capaci di agire come se fossero in una cellula allo stato totipotente, ancora capace di svilupparsi in una qualunque parte di un animale; per fare un esempio, i nuclei di una cellula della pelle, nelle giuste condizioni, possono ancora dare origine, ad esempio, a un neurone.
Dopo il successo di Dolly, molti altri mammiferi, principalmente di interesse zootecnico, sono stati clonati. Vi sono differenze nell’efficienza di clonazione delle diverse specie. Il tentativo di clonare degli argali non ha prodotto embrioni corretti. Il tentativo di clonare dei banteng ha avuto più successo, così come quello di clonare dei mufloni. Il metodo di riprogrammazione delle cellule necessario durante la clonazione non è perfetto e spesso i cloni mostrano sviluppi anormali. La clonazione dei mammiferi, in generale, è altamente inefficiente (Dolly è stato l’unico sopravvissuto di 277 tentativi – sebbene, nel 2014, degli scienziati cinesi riportino un tasso di successo nella clonazione di maiali pari al 70–80%). Ian Wilmut, a capo del team che ha creato Dolly, nel 2007 ha annunciato che la tecnica di trasferimento dei nuclei non sarà mai abbastanza efficiente da poter essere utilizzata con gli umani.
La clonazione, in ogni modo, ha lasciato la fantascienza per trasferirsi nella realtà, accompagnata da tutti i rischi e le promesse del progresso medico-scientifico. È già diventata un’opzione per salvare specie rare dall’estinzione. Nel gennaio del 2009, degli scienziati del Centre of Food Technology and Research in Aragona, nel nord della Spagna, hanno annunciato la clonazione dello stambecco dei Pirenei, che era stato dichiarato ufficialmente estinto nel 2000. Sebbene il neonato stambecco sia morto subito dopo la nascita a causa di difetti fisici nei suoi polmoni, questa è stata la prima volta che un animale estinto è stato clonato, e il tentativo ha aperto la porta per salvare le specie in via di estinzione o estinte di recente, grazie a tessuti da esse prese tenuti in stato di criogenia.
La clonazione è diventata anche un’opzione per far tornare apparentemente in vita animali domestici a noi cari, come cani e gatti. La clonazione ha aperto la strada per rendere meno controversa l’ingegneria genetica applicata ai bambini sia per lo screening genetico, permettendo di diminuire i rischi di malattie ereditarie, sia per assicurare la compatibilità nel trapianto di cellule staminali nei fratelli con almeno un genitore in comune.