Inquinamento da plastica: chi mente?

La plastica, dalle rocce, al mare, all’aria è presente ovunque e, col senno di poi, a leggere certe cifre c’è da spaventarsi. Secondo un “report” di qualche giorno fa da parte del WWF, negli oceani, non importa quale sia la profondità, si stanzia dal 70% al 90% della plastica.

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Inquinamento da plastica: chi mente?
La nostra epoca e, probabilmente quelle future, saranno ricordate come l’epoca Antropocene. In altre parole l’epoca di cui la plastica sarà la “firma” o segno distintivo negli strati geologici. Un materiale che non sarà mai debellato e che, in maniera massiva, si è addirittura plasmato con l’ambiente. Vi sembra impossibile? Eppure i dati parlano chiaro.
La plastica, dalle rocce, al mare, all’aria è presente ovunque e, col senno di poi, a leggere certe cifre c’è da spaventarsi. Secondo un “report” di qualche giorno fa da parte del WWF, negli oceani, non importa quale sia la profondità, si stanzia dal 70% al 90% della plastica.
I fondali marini sono vergognosamente pieni e, alla fine dei giochi la colpa pare sia sempre e comunque del consumatore.
O questo è ciò che vogliono farci credere le grandi compagnie, che piuttosto che aiutare l’ambiente, preferiscono spendere cifre enormi per rimarcare l’efficacia delle loro ragioni, piuttosto che aiutare l’ecosistema.
Nel mezzo di una crisi crescente dove non si riesce a frenare l’inarrestabile corsa della plastica, i maggiori produttori /inquinatori continuano a spingere le persone verso un comportamento che si può definire autolesionistico.  Perché non serve a nulla spingere a riciclare quando poi “sotto banco” si induce la massa ad acquistare prodotti più a basso costo per poi reimmetterli sul mercato con la piena consapevolezza che sono altamente inquinanti.
Inoltre, anche se dovessimo aumentare gli sforzi per riciclare abituando ed educando ancora meglio la collettività sarebbe una lotta impari verso i grandi colossi che comunque, per pura e sana convenienza, continuerebbero a produrne.

Inquinamento da plastica: colpevoli o innocenti?

Insomma: probabilmente i veri “colpevoli”, se ci possiamo concedere tale licenza, siamo noi cittadini che continuiamo ad acquistare prodotti usa e getta.
Sarebbe più semplice se fossero attuate delle politiche pesanti con il tentativo di impedire la creazione di articoli difficili da riciclare e che richiedano ai produttori di assumersi la responsabilità dei rifiuti che derivano dai loro prodotti.
Purtroppo, la quantità degli articoli che poi consumiamo e buttiamo via, sta crescendo. Peggio è che il nostro sistema di smaltimento dei rifiuti è inefficiente e sovraccarico già adesso.
E purtroppo peggiorerà se i produttori in genere, non diventeranno partecipanti attivi alla progettazione, gestione e finanziamento beni che creano e poi immettono sul mercato.
A questo punto, è facile diventare sensibili alle statistiche schiaccianti della crisi dei rifiuti di plastica che stanno uccidendo la vita marina; incidendo anche sulla nostra salute e soffocando i fiumi.
Invece di rispondere positivamente ai nuovi allarmanti studi, producendo meno prodotti dannosi o cercando alternative, i maggiori produttori di plastica hanno risposto indicando che sono da incolpare i consumatori. 
Quindi, parlare d’inquinamento, vedere rifiuti e plastica ovunque ammassati in ogni angolo della terra, non basta ancora?
Allora si può specificare, che cosa intendiamo.
Forse è opportuno segnalare a questo punto di come esistano, grazie ai ricercatori, studi precisi e approfonditi su quelli che sono segni, gravi e profondi di processi geologici che hanno dimostrato l’incorporamento della plastica negli insediamenti delle rocce litoranee. Segni di come la plastica arrivi a diventare negativamente parte integrante dell’ambiente.

Deposito nell’atmosfera

Onnipresente, in ogni “deposito” terrestre, la plastica è oramai fuori controllo.
Basti osservare i fondali marini per rendersi conto di come lo stesso sia tecno fossile e destinato a restare negli strati geologici. Ma non è tutto. La parte peggiore, è che a causa delle perturbazioni atmosferiche che spostano la plastica, l’inquinamento è ora presente anche nell’atmosfera.
Le microplastiche sono state individuate nei composti di H₂O grazie a delle analisi condotte su acqua piovana. Circa il 90% dei campioni prelevati ha dimostrato presenza di microfibre di plastica. I campioni appartengono a zone rocciose anche di 3 mila metri.
Un altro esempio, dimostrato da alcuni ricercatori Svizzeri, è che anche nella neve analizzata sul tratto del Mar Glaciale Artico, erano presenti tracce di microplastiche. Quindi, per quanto ovvio, acqua e neve sono conduttori.
In conformità a queste affermazioni, riduttive sul contesto generale che presenta numeri maggiori, l’impatto drammatico che la plastica, dagli anni ’50 ad oggi, ha avuto sull’ambiente è peggio di quanto si possa immaginare.

Una buona legislazione

Le aziende, in tutta questa storia, insistono col sostenere che la responsabilità vera e propria di ciò che accade è dei consumatori. Una diatriba che va avanti almeno dagli anni ’70.
Il loro punto di vista è semplicemente quello di porre l’accento come i rifiuti stessi siano sotto la diretta responsabilità dell’uomo e del suo modo di riciclare. Intanto, come già rilevato, insistono a far leva silenziosamente sulle legislazioni che potrebbero effettivamente aiutare a ridurre i rifiuti.
In aggiunta, il crescente accumulo d’imballaggi e beni usa e getta, ha spinto più di 1.000 tentativi legislativi di vietare, tassare o favorire la restituzione. Ma anche questo aspetto risale quasi ad un secolo fa.
L’industria delle bevande e degli imballaggi ha speso milioni di dollari per combattere questi sforzi normativi; lavandosene le mani del problema e dello smaltimento.
Purtroppo, anche se bidoni, cartelli, messaggi e campagne educative per il riciclaggio sono ovunque, il nostro tasso di recupero nazionale è incredibilmente basso.
E poiché il nostro sistema di riconversione non è standardizzato, anche se apprendi cosa può essere reimpiegato o smaltito in una città, le tue conoscenze potrebbero non essere le stesse a soli 15 minuti di auto.
Man mano che le aziende producono, soprattutto nel caso di nuovi prodotti, ciò che apprendi deve essere costantemente aggiornato. Lo stesso avviene con il sistema di riciclaggio che elabora i rifiuti.
Non sorprende che, nonostante tutta questa educazione e le nostre migliori intenzioni, circa uno su quattro degli articoli che mettiamo nel cestino sia da contaminazione; il che significa che non può effettivamente essere eliminato.

Riciclaggio che non serve

Un nuovo prodotto che, può essere causa di inquinamento, deve essere correttamente smaltito, e una volta finito in discarica deve terminare il suo ciclo nell’inceneritore. Visto che le aziende non pagano per lo smaltimento dei loro rifiuti, non hanno alcun obbligo né tantomeno l’impegno di progettare e realizzare prodotti che si possano effettivamente recuperare e riciclare. Una sorta di circolo vizioso il cui unico beneficio va all’azienda.
Anche se tutti abbiamo imparato a fare la differenziata perfettamente, in realtà la plastica può essere riciclata solo poche volte; e di solito richiede l’aggiunta di materiali vergini.
Il riutilizzo agisce come “un rinvio” alla destinazione finale dei rifiuti; piuttosto che una soluzione a lungo termine.
Dopo essere stato rinnovato per un nuovo utilizzo, (si parla di due riciclaggi massimo), la maggior parte della plastica finirà, nella miglio ipotesi,  in discarica e bruciata. Ma spesso come vediamo ogni giorno, finisce nell’ambiente. Così ripartiamo dall’inizio senza, di fatto, aver risolto niente.

Le azioni del WWF

Il WWF, da sempre in lotta per questo problema, porta avanti da anni a livello internazionale una forte pressione e presa di coscienza collettiva sui Governi.
Secondo l’organizzazione internazionale di protezione ambientale, il punto di partenza è un ACCORDO GLOBALE.
Bisogna, come sostiene lo stesso, raggiungere tale obiettivo per poter sia vincolare con regole severe e specifiche; sia vigliare affinché le stesse regole siano rispettate a livello mondiale.
La petizione, che vede coinvolti oltre 1 Milione e 756 mila cittadini, punta a questo.
La “crisi” della plastica, come viene definita da molti, è un fenomeno in crescita continua.
Ma dare la colpa a qualcuno è troppo facile. Se da un lato alcune Nazioni non vietano determinati prodotti inquinanti e difficili da riciclare. Come ad esempio gli Stati Uniti sul polistirene espanso (comunemente indicato con il suo nome commerciale, polistirolo). Dall’altro le aziende, come anche molte persone, non fanno proprio il loro dovere.

La storia insegna

Nel 1977, il mondo ha prodotto 50 milioni di tonnellate di plastica rispetto a 322 milioni di tonnellate nel 2015 . E che ci si creda o no, è un problema che ci riguarda.
Le materie plastiche prodotte negli anni ’70 non sono miracolosamente scomparse; abbiamo soltanto accumulato o, ammassato le pile in crescita ogni anno.
In questo momento, la quantità di rifiuti di plastica che finisce nell’oceano ogni anno, equivalgono a cinque sacchetti della spesa per ogni passo della costa in tutto il mondo.
Se continuiamo così, i rifiuti di plastica globali triplicheranno.
L’industria continuerà a lottare (e lavarsene le mani) per dare alla persona media il compito di gestire i propri scarti; intanto l’inquinamento da plastica senza un’adeguata misura cautelativa, andrà incontro a pene maggiori e inutili soluzioni.
Purtroppo, non abbiamo altri 50 anni per cercare di riciclare ed educare ancora la collettività al problema.
Per questo il WWF – ma noi tutti – ha bisogno di una legislazione che costringa i produttori ad assumersi la responsabilità dei propri rifiuti.