Grazie al telescopio solare Daniel K. Inouye abbiamo oggi a disposizione immagini della superficie del Sole di una risoluzione mai ottenuta prima. I ricercatori hanno ottenuto un’immagine che consente di osservare elementi ampi solamente 30 chilometri.
Nella foto che segue, scattata dal Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA, in orbita geosincrona sopra la Terra ecco come ci appare il Sole.
L’immagine, non certo priva di interessanti dettagli nonostante i 150 milioni di chilometri di distanza della nostra stella non può rivaleggiare con quelle realizzate dal telescopio solare Daniel K. Inouye, nonostante SDO si trovi fuori in orbita geosincrona non ostacolato dall’atmosfera terrestre.
Come può un telescopio solare basato a terra competere con strumenti posti fuori dall’atmosfera terrestre e anzi, fare anche meglio? Grazie ad alcuni fattori, le dimensioni ad esempio, dato che lo specchio del Daniel K. Inouye Solar Telescope o DKIST ha un diametro di 4,24 metri, le ottiche adattive e la sua posizione.
Il DKIST è un telescopio costruito appositamente per studiare il Sole in lunghezze d’onda visibili o vicine all’infrarosso, e sulla Terra non esistono strutture del genere più grandi. Denominato fino al 2013 Advanced Technology Solar Telescope o ATST prende il nome da Daniel K. Inouye senatore degli Stati Uniti che ha rappresentato a Washington lo Stato delle Hawaii sin dalla sua ammissione come 50º Stato (1959), dapprima in qualità di primo deputato alla Camera dei Rappresentanti, quindi come senatore dal 1963, venendo poi sempre rieletto fino alla morte, avvenuta nel 2012 (Inouye, di origini giapponesi è stato eroe di guerra).
DKIST si trova alle Hawaii uno dei luoghi migliori per via del cielo limpido durante tutto il giorno.
Tra il DKIST e gli strumenti posti fuori dall’atmosfera della Terra esiste lo stesso parallelo tra Hubble Space Telescope e strumenti di osservazione molto più grandi operanti a terra. HST monta uno specchio relativamente piccolo di “soli” 2,4 metri di diametro a differenza del telescopio terrestre più grande, l’European Extremely Large Telescope in fase di costruzione in Cile che una volta ultimato avrà uno specchio primario costituito da 798 segmenti del diametro di 1,45 m, portati a 931 con un set per manutenzioni, arrivando ad un diametro di 39 m e un’apertura centrale di 11,1 m. Hubble, nonostante le sue dimensioni inferiori, ha caratteristiche uniche essendo uno strumento adatto a lavorare nello spazio, in grado di raccogliere molta più luce senza i disturbi dovuti allo spesso strato atmosferico sottostante necessitando così di uno specchio di dimensioni inferiori.
Ma tornando all’immagine ecco come la NASA / AURA / NSO la descrivono:
“Le strutture a forma di cellula – ciascuna delle dimensioni del Texas – sono la firma di movimenti violenti che trasportano il calore dall’interno del sole alla sua superficie. Il materiale solare caldo (plasma) si alza nei centri luminosi delle “cellule”, si raffredda e poi affonda sotto la superficie in corsie scure in un processo noto come convezione. In queste corsie buie possiamo anche vedere i piccoli e luminosi marcatori di campi magnetici. Mai visti prima con questa chiarezza, si pensa che questi punti luminosi incanalino l’energia verso gli strati esterni dell’atmosfera solare chiamata corona. Questi punti luminosi possono essere al centro del motivo per cui la corona solare è di oltre un milione di gradi”.
Le immagini hanno subito una leggera elaborazione per rimuovere il rumore e migliorare la forma delle strutture, i dati però sono ancora sotto analisi scientifica.
Osservare queste strutture ci ricorda che il Sole non è solo una palla di gas, ma un agglomerato di idrogeno, elio e altri elementi allo stato di plasma che si muove dal nucleo, dove avviene la reazione di fusione nucleare, fino alla superficie e quanto DKIST ci consentirà di osservare, ci potrà aiutare a capire molto sul funzionamento del Sole e delle sue dinamiche, aiutandoci nella comprensione della sua evoluzione, consentendoci di acquisire conoscenze che ci porteranno a realizzare macchine che sfruttano la stessa reazione di fusione nucleare, una fonte di energia virtualmente illimitata e relativamente pulita.
Le osservazioni inoltre ci potrebbero aiutare a prevedere le espulsioni di massa coronale, di fondamentale importanza in caso di missioni spaziali umane e non solo.
Presto DKIST sarà pienamente operativo e quando sarà affiancato dalla Parker Solar Probe, sviluppata dalla NASA e lanciata nel 2018 che studia il vento solare e dalla Solar Orbiter dell’ESA, lanciata il 7 febbraio, e studierà i poli della nostra stella, ci sarà certamente da imparare tantissimo sulle dinamiche solari.
Fonte: https://www.extremetech.com/extreme/305564-scientists-snap-closest-ever-view-of-the-sun