Il nuovo coronavirus conferisce immunità?

Sembra proprio che la conferisca, almeno per un certo periodo di tempo. Ciò sta aprendo nuove opportunità per il test e il trattamento della malattia.

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Mentre il numero di persone infette dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2 sta per superare i 500.000 in tutto il mondo e oltre un miliardo di persone sono rinchiuse in isolamento nelle loro case, i ricercatori stanno lottando con una delle domande più pressanti di questa pandemia: le persone che superano l’infezione diventano immuni al virus?

La risposta è un sì qualificato, con alcune incognite significative. Questo è importante per diversi motivi.

Se fosse confermato con certezza che le persone che hanno superato l’infezione restano immuni al virus almeno per un certo tempo, si potrebbe cominciare a liberare forza lavoro per sostenere la produzione e l’economia, ma anche lo sforzo contro il contagio, fino a quando non sarà disponibile un vaccino. In particolare, gli operatori sanitari che avessero acquisito immunità potrebbero prendersi cura dei malati gravi più gravi ed infettivi.

Nell’ambito di una comunità l’aumentare di persone immuni diventa anche il modo in cui l’epidemia si esaurisce. Infatti quando gli immuni raggiungono una certa percentuale il virus trova sempre più difficoltà a riprodursi e ad infettare nuovi soggetti, poiché gli immuni non veicolano più la trasmissione dell’infezione. Si tratta della cosiddetta “immunità di gregge“, grazie alla quale le persone non ancora infettate vengono protette dall’infezione dalle persone immuni che non la trasmettono più.

Negli ultimi giorni, la Food and Drug Administration americana ha approvato l’uso del plasma estratto da pazienti guariti per trattare alcuni casi gravi e sappiamo che questa tecnica è già stata usata in Cina con un certo successo.

La prima linea di difesa del corpo contro un virus infettivo è un anticorpo chiamato immunoglobulina M, il cui compito è quello di rimanere vigile nel corpo e avvisare il resto del sistema immunitario nel caso vengano rilevati intrusi come virus e batteri.

Nel giro di alcuni giorni dall’infezione, il sistema immunitario affina questo anticorpo in un secondo tipo, chiamato immunoglobulina G, specificamente progettato per riconoscere e neutralizzare il virus intruso.

 

Uno studio sui macachi infettati dal nuovo coronavirus ha suggerito che una volta infettate, le scimmie producono anticorpi neutralizzanti e resistono a ulteriori infezioni.

Ma (inevitabilmente dato il poco tempo da cui è comparso il nuovo coronavirus) non è chiaro per quanto tempo le scimmie o le persone infettate dal virus rimarranno immuni.

La maggior parte delle persone che sono state infettate durante l’epidemia di SARS (un coronavirus strettamente imparentato con il nuovo coronavirus, infatti chiamato SARS-CoV-2) – ha acquisito un’immunità a lungo termine che dura da 8 a 10 anni, secondo quanto ha spiegato Vineet D. Menachery, virologa del Medical Branch dell’università del Texas a Galveston.

Coloro che si sono ripresi dall’infezione di MERS, un altro coronavirus, hanno una protezione molto più a breve termine. Le persone che sono state infettate dal nuovo coronavirus dovrebbero avere un’immunità della durata di almeno uno o due anni, “Oltre a ciò, non possiamo prevedere“.

Tuttavia, anche se la protezione anticorpale fosse di breve durata e le persone venissero nuovamente infettate, il secondo attacco del nuovo coronavirus sarebbe probabilmente molto più mite del primo, come afferma Florian Krammer, un microbiologo della Icahn School of Medicine del Mount Sinai a New York.

Anche dopo che il corpo smette di produrre anticorpi neutralizzanti, un sottoinsieme di cellule della memoria immunitaria può riattivare efficacemente, e in breve tempo, la risposta immunitaria, ha osservato.

Probabilmente si avrebbe una buona risposta immunitaria prima ancora di diventare sintomatici e il decorso della malattia sarebbe più breve e meno acuto“, ha detto il dott. Krammer.

Un’altra domanda cruciale è se i bambini e gli adulti che hanno solo sintomi lievi generano ancora una risposta abbastanza forte da rimanere immuni al virus fino a quando non sarà disponibile un vaccino.

La dott.ssa Marion Koopmans, virologa all’Università Erasmus di Rotterdam, e il suo team hanno esaminato le risposte anticorpali in 15 pazienti infetti e operatori sanitari.

I ricercatori stanno anche usando campioni di sangue di circa 100 persone delle quali si sa che sono state infettate da uno dei quattro coronavirus che causano il comune raffreddore.

Se anche questi campioni mostrassero una risposta immunitaria al nuovo coronavirus“, ha affermato il dott. Koopmans, “ciò potrebbe spiegare perché alcune persone, ad esempio i bambini, presentino solo sintomi lievi. Possono avere anticorpi contro coronavirus correlati che sono almeno in qualche modo efficaci contro quello nuovo”.

Il modo più rapido per valutare l’immunità è un esame del sangue per cercare anticorpi protettivi nel sangue delle persone che si sono riprese. Ma prima bisogna fare il test.

I test anticorpali sono stati inizialmente utilizzati a Singapore, in Cina e in una manciata di altri paesi. Ma ora sono disponibili anche in gran parte dell’Occidente.

La scorsa settimana, il Dr. Krammer e i suoi colleghi hanno sviluppato uno di questi test anticorpali che potrebbe essere prodotto a livello industriale in “giorni o settimane“, ha detto. Il team ha convalidato il test nel plasma sanguigno prelevato da tre pazienti con Covid-19. I ricercatori stanno cercando una rapida approvazione da parte della FDA

Dozzine di altri laboratori sono al lavoro su un elenco di alti test, anche se anch’essi si basano principalmente su pochi dati non ancora esaminati da altri scienziati.

Poiché si tratta di un nuovo coronavirus, il test dovrebbe fornire “in sostanza, una risposta sì o no, come un test HIV – per capire chi è stato esposto e chi no“.

Mercoledì scorso, i funzionari di Public Health England hanno dichiarato di aver acquistato milioni di nuovi test anticorpali e di starne valutando l’uso sui pazienti presso il proprio domicilio. Lo scopo sarebbe quello di individuare i soggetti che hanno già avuto la malattia con sintomi lievi o nulli per permettere loro di tornare alla vita normale e non bloccare completamente l’apparato produttivo del paese, hanno detto i funzionari.

Ciò sarebbe particolarmente utile per gli operatori sanitari. Coloro che sanno di avere almeno un’immunità potrebbero essere posti in prima linea nelle cure di emergenza, risparmiando i colleghi che non sono stati esposti.

Se questa immunità dovesse prolungarsi almeno per 18 mesi come alcune persone hanno proiettato, avere operatori sanitari immuni al virus sarà davvero utile“, ha detto Angela Rasmussen, una virologa della Columbia University di New York.

Ma test come questi ovviamente non sono molto utili per la diagnosi dell’infezione da coronavirus mentre inizia, a causa del tempo impiegato dall’organismo per iniziare a produrre anticorpi.

Trovare persone con potenti risposte anticorpali potrebbe aiutare a indicare la strada per nuovi trattamenti. In sostanza, gli anticorpi estratti dal sangue dei pazienti guariti verrebbero iniettati in coloro che sono malati.

Diversi team hanno già lavorato su tale possibilità in seguito alle prime notizie di successo dell’applicazione di questa tecnica in Cina. Una società con sede a Pechino chiamata AnyGo Technology ha fornito 50.000 test al Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie e agli ospedali di Wuhan, Pechino e Shanghai.

Il dottor Shangen Zheng, un medico dell’esercito cinese, ha dichiarato che il suo team ha trattato finora più di 10 pazienti e che sono stati valutati i dati di molti altri pazienti trattati con plasma nella provincia di Hubei.

Questo approccio è in realtà “qualcosa molto di vecchio stile“, ha detto il dottor Krammer. Fu usato per salvare i soldati americani infettati dal virus emorragico di Hantaan durante la guerra di Corea e, in Argentina, per curare le persone infettate dal virus emorragico di Junin.

Prima che il metodo possa essere ampiamente utilizzato, tuttavia, gli scienziati devono risolvere problemi di sicurezza, ad esempio garantire che il plasma prelevato dai pazienti recuperati sia privo di altri virus e tossine.

Aziende farmaceutiche come Takeda e Regeneron sperano di eludere alcune di queste problematiche sviluppando anticorpi contro il coronavirus in laboratorio.

Alla fine, è solo con questi test che gli scienziati saranno in grado di dire quando una parte della popolazione è stata infettata ed è diventata immune – e quando il virus inizierà ad esaurire ospiti potenziali.