Nella prima metà del XIX secolo la comunità scientifica riteneva che eventuali forme di vita aliena potessero trovare un habitat favorevole soltanto su Marte o Venere, i pianeti del Sistema Solare più simili alla Terra.
Verso la fine del secolo però stava maturando in modo sempre più netto la convinzione che non esistesse alcuna forma di vita extraterrestre senziente nel Sistema Solare. A scombussolare le carte e fare un annuncio sensazionale intervenne però un astronomo italiano: Giovanni Schiaparelli.
Schiaparelli, nato a Savigliano nel 1835, era uno scienziato già affermato e noto internazionalmente soprattutto dopo che nel 1861 aveva individuato l’asteroide 69 Hesperia in quello che una volta si considerava lo spazio vuoto tra Marte e Giove. Inoltre l’astronomo italiano aveva compiuto importanti studi sulle stelle doppie, sulle comete e sui meteoriti. Dal 1862 Schiaparelli diventa il Direttore dell’Osservatorio astronomico di Brera che disponeva del telescopio rifrattore Merz di 218 mm di diametro, uno dei più sofisticati dell’epoca.
Nella notte del 23 agosto del 1877 Schiaparelli puntò questo telescopio verso Marte che era allineato con il Sole e la Terra e quindi in posizione ottimale per essere osservato. L’astronomo iniziò a disegnare mappe dettagliate del pianeta rosso protraendo le sue osservazioni fino al marzo 1878.
L’astronomo italiano si convinse durante queste osservazioni che la superficie di Marte fosse solcata da una fitta rete di strutture lineari che chiamò “canali“. I canali di Marte divennero ben presto famosi, dando origine a una ridda di ipotesi, polemiche, speculazioni e folklore sulle possibilità che il pianeta rosso potesse ospitare forme di vita senzienti.
Inizialmente lo scienziato italiano fu molto prudente nell’affermare che queste strutture fossero di derivazione artificiale, anzi arrivò a sostenere che essi potessero essere il prodotto dell’evoluzione “un po’ come nella Terra il canale della Manica o quello del Mozambico”.
Nel 1882 Richard Proctor, un astronomo, scrisse una lettera al Times sostenendo che i canali di Marte fossero una mirabile opera di ingegneria come non se erano mai viste sul nostro pianeta. Rincarò la dose il solito Camille Flammarion (1842-1925), astronomo e divulgatore scientifico, oltre che autore di romanzi di fantascienza, che sostenne apertamente l’esistenza di una civiltà evoluta di marziani, a quei tempi sinonimo di extraterrestri a tutti gli effetti.
Quest’ondata di entusiastiche aspettative sull’esistenza di una razza aliena evoluta coinvolse così anche Schiaparelli che si convinse di aver osservato manufatti prodotti da una civiltà avanzata. Non pago di ciò l’astronomo italiano azzardò congetture sulla natura di questa società, una sorta di confederazione di Stati che cooperavano fraternamente contro una natura selvaggia ed arcigna, in una sorta di oasi socialista ante litteram.
Ancora nel 1906 l’astronomo statunitense Percival Lowell nel suo “Mars and its canals” scriveva che “Marte sia abitato da qualche tipo di esseri possiamo darlo ormai per assodato, mentre ancora non sappiamo di che tipo di esseri si tratti”. Non contento di ciò Lowell, che era un fervente ammiratore di Schiaparelli, successivamente ipotizzò che i marziani dovevano essere quasi dei giganti, dotati di forza ed intelligenza nettamente superiore ai terrestri.
Solo tra il 1892 e il 1893 oltre cento scienziati pubblicarono articoli e saggi sui canali di Marte, i marziani e la loro ipotizzata civiltà.
La prima picconata ai canali di Marte ed ai Marziani arriva da un altro astronomo italiano, che purtroppo morirà prematuramente, Vincenzo Cerulli, il quale ipotizzò che le strutture descritte da Schiaparelli potessero essere soltanto illusioni ottiche.
L’astronomo inglese Edward Walter Maunder (1851-1928) da sempre
scettico sui canali di Marte, condusse un esperimento che lo portò a concludere che i suddetti canali altro non erano che un’illusione ottica, confermando quindi quanto anticipato da Cerulli. Egli inoltre asserì che non ci potesse essere vita simile a quella terrestre su Marte, dato che la temperatura media era troppo bassa.
E’ probabile che la miccia di questo fervore pro-marziani fosse il prodotto di una errata traduzione in inglese del termine canali, infatti Schiaparelli utilizzò la parola canals, che indica una costruzione artificiale invece di channels che si riferisce ad una struttura naturale.
In ogni caso la parola fine a questa diatriba sull’esistenza di una vita aliena evoluta su Marte fu apposta dall’astronomo greco Eugene Michel Antoniadi (1870-1944) che in seguito alle osservazioni compiute all’osservatorio di Parigi durante l’opposizione di Marte del 1909, concluse che si trattava di illusioni ottiche.
Grazie alle estenuanti sessioni osservative, alla sua costanza e precisione nel riportare i più fini dettagli verificati notte dopo notte, Antoniadi realizzò le più particolareggiate mappe di Marte denominate Areografia, che raggiungono un dettaglio così alto da essere state utilizzate anche come base per le stesse le missioni delle sonde automatiche, le uniche che hanno superato solo pochi decenni fa l’accuratezza degli studi dell’astronomo.
La fine delle aspettative scientifiche di una civiltà marziana non ha impedito ancora per molti decenni alla fantascienza di produrre un florilegio di titoli su invasioni e civiltà marziane o su colonizzazione del misterioso e affascinante pianeta rosso.
Se in pieno periodo Schiaparelli il romanzo più famoso del genere è senza dubbio quello di H.G. Wells, La guerra dei mondi, dopo che la scienza dimostrò l’inesistenza di vita senziente su Marte, dobbiamo ricordare la trilogia di romanzi di Edgar Rice Burroughs di “John Carter di Marte”, Sotto le lune di Marte o La principessa di Marte (A Princess of Mars), Gli dei di Marte (The Gods of Mars) e Il signore della guerra di Marte (The Warlords of Mars), pubblicati tra il 1912 e il 1919.
Infine una citazione particolare lo merita Un’odissea marziana di Stanley G. Weinbaum, del 1934 che ribalta gli stereotipi che circolavano da decenni nella fantascienza, in cui i marziani sono crudeli invasori o razze di guerrieri simili all’uomo. Il Marte descritto da Weinbaum è abitato da creature pacifiche, spesso intelligenti quanto gli esseri umani ma con una psicologia del tutto diversa e incomprensibile.