Una nuova ricerca sostiene che Plutone in passato era diverso dal mondo gelido che conosciamo. Il pianeta nano potrebbe essersi formato in modo rapido e violento generando un mondo molto più caldo di quello che osserviamo oggi. Questo suggerisce una possibilità: Plutone potrebbe aver posseduto un oceano sotterraneo sin dall’inizio della sua esistenza, un oceano, sostengono i ricercatori, che avrebbe dato al piccolo pianeta la possibilità di ospitare forme di vita.
Una precedente ricerca partiva dal presupposto che Plutone si fosse originato da rocce e ghiacci nella lontana Cintura di Kuiper, l’anello di oggetti oltre l’orbita di Nettuno che circonda il sistema solare. Sebbene ci siano prove che Plutone attualmente possieda un oceano liquido sotto uno spesso strato ghiacciato, i ricercatori hanno suggerito che questo oceano sotterraneo dovrebbe essersi sviluppato molto tempo dopo la formazione di Plutone, con lo scioglimento del ghiaccio a causa del calore degli elementi radioattivi presenti nel nucleo di Plutone.
Nel nuovo studio gli scienziati sostengono che Plutone si è formato in modo rapido e violento, generando molto calore.
“Quando guardiamo Plutone oggi, vediamo un mondo ghiacciato e freddo, con una temperatura superficiale di circa – 228 gradi Celsius”, spiega l’autore principale dello studio Carver Bierson, planetologo dell’Università della California. “Guardando la geologia registrata in superficie, possiamo dedurre che Plutone ha avuto una formazione rapida e violenta che ha riscaldato l’interno abbastanza da formare un oceano acquatico sotterraneo“.
I ricercatori hanno analizzato le cosiddette “caratteristiche estensive” sulla superficie di Plutone. L’acqua si espande mentre si congela, così come l’interno di Plutone si raffredda, la superficie di Plutone si deforma, generando strutture riconoscibili.
Gli scienziati hanno confrontato le osservazioni geologiche di Plutone fotografate dalla sonda spaziale New Horizons della NASA, che ha sorvolato il pianeta nano nel 2015, con diversi modelli sull’origine e sull’evoluzione di Plutone.
Se Plutone avesse avuto un inizio “freddo”, la sua crosta ghiacciata avrebbe subìto una compressione all’inizio della storia quando il calore degli elementi radioattivi scioglieva il ghiaccio, per poi estendersi quando questi elementi radioattivi ridussero la produzione di energia raffreddandolo. Tuttavia, hanno scoperto che le parti più antiche della superficie di Plutone, fotografate ad alta risoluzione non mostrano nessun chiaro segno di compressione.
Se Plutone si fosse formato in modo rapido e violento, il calore delle rocce in collisione da cui è nato sarebbe svanito relativamente in fretta, portando il guscio ghiacciato a crescere rapidamente. Questo congelamento si sarebbe interrotto quando gli elementi radioattivi iniziarono a emettere calore creando nuove strutture.
Le caratteristiche estreme che i ricercatori hanno visto sulla superficie ghiacciata di Plutone, ad esempio, crepe nella sua crosta e un sistema enigmatico di creste e depressioni, suggeriscono che Plutone abbia avuto un inizio tumultuoso e caldo.
“Penso che l’implicazione più eccitante sia che gli oceani sotterranei potrebbero essere stati comuni tra i grandi oggetti della Cintura di Kuiper quando si sono formati“, ha spiegato Bierson.
Questi risultati suggeriscono che Plutone e altri grandi pianeti nani nella Cintura di Kuiper, come Eris, Makemake e Haumea, potrebbero aver posseduto oceani sotterranei nati durante la loro formazione. Ciò, spiegano i ricercatori, potrebbe aver influenzato la potenziale abitabilità di questi lontani mondi ghiacciati.
“A questo punto, non conosciamo gli ingredienti o la ricetta necessari per far emergere la vita in nessun mondo“, ha detto Bierson. “Tuttavia, pensiamo che l’acqua liquida sia un ingrediente importante, e questo lavoro suggerisce che Plutone l’abbia da molto tempo“.
Bierson ha però raccomandato prudenza, in quanto New Horizons ha potuto riprendere immagini ad alta risoluzione solo della metà dell’emisfero settentrionale di Plutone.
Bierson ha spiegato: “potremmo non avere le immagini di qualche terreno antico in cui è registrata una compressione su larga scala. Se guardassimo la geologia di solo un quarto della superficie terrestre, potremmo imparare molto, ma ci mancherebbe un po’ di contesto. Per ora, possiamo solo lavorare con ciò che abbiamo. Dovremo aspettare che una nuova missione raggiunga Plutone per poter avere un qyadro più completo e dettagliato”.
Lo studio è stato pubblicato online il 22 giugno sulla rivista Nature Geoscience.