Gli agenti patogeni che colpiscono popoli isolati e poco numerosi sono probabilmente i più antichi e sono stati tristi compagni di viaggio per milioni di anni nella storia evolutiva della nostra specie, sono inoltre comuni ai nostri “parenti” più prossimi: le scimmie antropomorfe.
Le grandi malattie epidemiche si sono originate invece contestualmente allo sviluppo di società demograficamente significative che iniziarono a formarsi con lo sviluppo dell’agricoltura circa 10.000 anni fa e che fecero un balzo prodigioso con la nascita di città che ospitavano migliaia di individui.
I primi dati storici sulla presenza di malattie infettive a carattere epidemico sono infatti piuttosto recenti: il vaiolo (scoperto grazie alle cicatrici su una mummia egiziana) nel 1600 a. C., gli orecchioni nel 400 a. C., la lebbra nel 200 a. C., la poliomielite epidemica nel 1840 e l’AIDS identificato negli anni Ottanta dello scorso secolo, ma probabilmente già attivo dal 1908.
L’agricoltura è uno dei fattori responsabili dell’avvento delle epidemie perché fin da subito ha consentito una densità abitativa dai 10 alle 100 volte superiori alle sparute tribù di cacciatori-raccoglitori. I contadini per altro convivono con i loro rifiuti organici e gli animali di allevamento da sempre sono veicoli per eccellenza delle infezioni. Basti pensare all’utilizzo delle deiezioni umane per concimare i campi pratica potenzialmente in grado di amplificare la diffusione di germi e parassiti.
Inoltre, gli insediamenti agricoli attirano i roditori, che sono notori veicoli di malattie. Il disboscamento, infine, rende l’habitat ideale per il prosperare della zanzara anofele che porta la malaria. La spinta decisiva nello sviluppo di malattie epidemiche fu però l’avvento dei grandi insediamenti urbani, le città: un gran numero di ospiti appetibili per gli agenti patogeni e condizioni igieniche ancora peggiori.
Un altro fattore importante per la diffusione degli agenti patogeni è stata l’apertura delle rotte commerciali che nell’antichità significò per i popoli di Europa, Asia e Nord Africa una platea golosa ed immensa per virus, batteri e parassiti. E’ attraverso il commercio che il vaiolo raggiunse Roma e fece milioni di vittime nell’impero tra il 165 e il 180 d. C.
Anche la peste bubbonica arrivò attraverso le rotte commerciali nel 542-543 sotto Giustiniano. In epoca moderna con la velocizzazione degli spostamenti i germi hanno trovato veicoli di trasmissione molto più veloci.
Nel 1991 un aereo argentino proveniente da Lima trasportò in poche ore a Los Angeles (a 4800 chilometri di distanza) decine di individui portatori del colera, dodici anni dopo in pochissimo tempo SARS-COV responsabile della SARS passò da Hong Kong in Canada, aprendo un focolaio epidemico che causò quasi una quarantina di vittime.
Insomma raggiunto un certo livello di affollamento e di popolazione si creò l’ambiente ideale per dare modo agli agenti patogeni di evolversi e prosperare. Ma da dove provengono questi agenti patogeni? Molti di questi microbi sono molto simili ad analoghi patogeni che causano malattie negli animali domestici. Per gli animali domestici vale la stessa regola di diffusione dell’uomo, le infezioni prediligono i gruppi numerosi e quindi le specie domesticate come buoi e maiali sono stati tra i primi candidati.
Il virus del morbillo, ad esempio, è parente stretto di quello della peste bovina, una grave malattia che colpisce i ruminanti ma non l’uomo (mentre il morbillo a sua volta non si trasmette ai bovini). Questo fatto ci fa pensare che in passato un ceppo di virus della peste bovina si sia trasformato in virus del morbillo mutando e adattandosi a sopravvivere all’interno dell’uomo.
La nostra coabitazione con i bovini dura da almeno 9.000 anni e questo è un tempo sufficientemente lungo affinché un virus faccia il salto di specie e colpisca l’uomo. Il morbillo però è soltanto uno degli esempi che si possono fare, la tbc ed il vaiolo sono stati generati sempre dai bovini, l‘influenza da maiali ed uccelli, la pertosse da maiali e cani, la malaria molto probabilmente da uccelli.
Il contatto stretto e millenario con gli animali domestici ha fatto si che la selezione naturale abbia permesso soltanto ad alcuni di questi agenti patogeni di attaccarci con successo. Si tratta di un processo per così dire a più stadi, il primo è quello di malattie che gli animali ci trasmettono solo occasionalmente. Dal graffio di un gatto possiamo prendere la linforeticulosi, dai cani la leptospirosi, da polli e pappagalli la psittacosi, e dai buoi la brucellosi. A questi esempi dovremmo aggiungere le malattie occasionali mutuate dagli animali selvatici. Tutti questi patogeni non si trasmettono da uomo ad uomo.
Il secondo stadio è quanto il patogeno riesce ad attivare la trasmissione inter umana scatenando così delle epidemie che generalmente finiscono o perché si trova un vaccino o perché l’agente patogeno scompare improvvisamente o perché si raggiunge la cosiddetta “immunità di gregge”. La «febbre di O’nyong-nyong», una malattia che non si era mai vista prima, comparve in Africa orientale nel 1959 e colpí milioni di individui. Era causata, probabilmente, da un virus delle scimmie; l’epidemia fu fermata dal fatto che il decorso era rapido e benigno, e che l’infezione dava immunità.
Un terzo stadio è costituito da quelle malattie diffuse nell’uomo e non ancora esauritesi, che potrebbero in futuro causare epidemie ancora più letali, come la febbre di Lassa osservata per la prima volta in Nigeria nel 1969 o la febbre di Lyme il cui primo caso ufficiale è stato individuato negli Stati Uniti nel 1962.
Lo stadio finale è quello delle malattie epidemiche “classiche” . Cosa è necessario affinché una malattia tipica di una specie animale diventi una malattia esclusiva dell’uomo? La prima condizione, quella basilare è il cambio di vettore del patogeno. Il tifo si trasmetteva tra i ratti attraverso le pulci, quando riuscì ad effettuare il salto di specie nell’uomo il patogeno si rese conto che usare i pidocchi era molto più efficiente e cambiò vettore. Adesso che soprattutto nei paesi occidentali quasi nessuno ha i pidocchi, il tifo ha scoperto un altro vettore, in America, utilizza ad esempio gli scoiattoli volanti che spesso fanno il nido nel sottotetto di casa.
Le malattie sono un esempio classico della selezione naturale al lavoro, i germi devono sviluppare sempre nuove mutazioni se vogliono sopravvivere. I patogeni che uccidono rapidamente l’ospite di fatto stanno inconsapevolmente suicidandosi, ecco perché la selezione naturale su distanze temporali che possono variare da pochi anni a tempi molto più lunghi opera affinchè i patogeni riescano a coabitare con i propri ospiti.
Un esempio classico è la sifilide, una malattia caratterizzata da ulcere nella zona genitale, da un decorso molto lento che se non curata porta alla morte. Quando però nel 1495 apparve per la prima volta in Europa fu descritta in modo assai diverso: le pustole coprivano le vittime dalla testa alle ginocchia, con ulcere che facevano staccare brandelli interi di carne, e la morte sopraggiungeva in pochi mesi.
Cinquanta anni dopo la sifilide aveva già le caratteristiche di quella odierna. Lo spirochete treponema si era evoluto in modo da mantenere in vita i suoi ospiti piú a lungo, per renderli cosí capaci di infettare piú gente.