Il gruppo guidato da Nichole Barry,dell’università australiana di Melbourne e dell’Arc Centre of Excellence for All Sky Astrophysics in 3 Dimensions (Astro 3D), utilizzando i dati raccolti dal Murchison Widefield Array (Mwa), un complesso di 4096 antenne a dipolo collocate nell’entroterra dell’Australia occidentale, sta cercando di individuare il preciso istante in cui il cosmo si è riempito di radiazione. Il fenomeno è noto come “epoca della reionizzazione“ e si è verificato circa 300.000 anni dopo il Big Bang.
In pratica, stanno cercando di individuare il momento esatto in cui nell’universo si accese la luce per la prima volta.
Questa ricerca è fondamentale per risolvere le discussioni in seno alla comunità scientifica su ciò che è avvenuto nel lasso di tempo che intercorre tra il Big Bang e l’inizio del’era della luce.
Il segnale che gli astronomi cercano ha viaggiato nell’universo per 12 miliardi di anni. Un segnale che, una volta catturato, ci darà la possibilità di comprendere il ciclo della vita e della morte delle primissime stelle.
Facendo un piccolo passo indietro nel tempo, torniamo al 2018 quando, nel fondo cosmico a microonde, fu individuata una traccia della luce emessa dalle prime stelle, anche se misurare il segnale proveniente dall’idrogeno neutro è molto complicato a causa della debolezza del segnale stesso e degli effetti strumentali e astrofisici che complicano le misurazioni.
La reionizzazione
L’idrogeno neutro che riempiva l’universo neonato emetteva delle radiazioni e per rilevarle è stato progettato, realizzato e messo in funzione il radiotelescopio Mwa già nel 2013. Oggi si ritiene che il Big bang abbia generato una miscela di quark, leptoni e le rispettive antiparticelle che con l’annichilazione hanno dato vita a protoni, neutroni ed elettroni che raffreddandosi hanno prodotto l’idrogeno neutro, il quale, in seguito, si è condensato a formare le stelle primordiali dando vita a una fase che chiamiamo epoca della reionizzazione.
”La definizione dell’evoluzione dell’Edor (epoca della reionizzazione) è estremamente importante per la nostra comprensione dell’astrofisica e della cosmologia“, spiega la dottoressa Barry. “Finora, però, nessuno è stato in grado di osservarlo. Questi risultati ci avvicinano molto di più a questo obiettivo“.
L’idrogeno neutro che permeava l’universo in espansione, precedentemente e nel primo periodo dell’epoca della reionizzazione, emetteva radiazioni alla caratteristica lunghezza d’onda di circa 21 centimetri. Questa radiazione, oggi però è cambiata, si è allungata, a causa dell’espansione dell’universo, a lunghezze d’onda molto maggiori, si calcola, sopra i due metri.
Il segnale è ancora presente è sarebbe utile rilevarlo per capire lo stato iniziale dell’universo neonato. Il segnale, come afferma Cathrin Trott, coautrice dello studio e membro della ASTRO-3D, dell’International Center for Radio Astronomy Research presso la Curtin University nell’Australia occidentale “ha più di 12 miliardi di anni“ e aggiunge: “È eccezionalmente debole e ci sono molte altre galassie tra lui (il segnale) e noi. Si mettono in mezzo e rendono molto difficile estrarre le informazioni che stiamo cercando“.
I segnali sono stati registrati oltre che dal MWA anche da altri apparati dell’EoR come l’Hydrogen Epoch of Reionisation Array in Sudafrica e il Low Frequency Array nei Paesi Bassi ma sono ancora poco chiari.
Consultando 21 ore di dati grezzi, il dott. Barry, Mike Wilensky, e i colleghi dell’Università di Washington negli Stati Uniti, hanno esplorato nuove tecniche per perfezionare l’analisi ed escludere fonti di contaminazione del segnale, tra cui interferenze ultra deboli generate dalle trasmissioni radiofoniche sul nostro pianeta. Il risultato è stato un livello di precisione che ha ridotto di un’ordine di grandezza la gamma in cui l’epoca della reionizzazione potrebbe essere iniziata.
“Non possiamo davvero dire che questo documento ci avvicina alla datazione precisa dell’inizio o della fine dell’epoca della reionizzazione, ma esclude alcuni dei modelli più estremi“, afferma il professor Trott. “Che sia successo molto rapidamente è escluso. Che all’epoca le condizioni fossero molto fredde è escluso“.
Il dott. Barry ha affermato che i risultati non rappresentano solo un passo avanti nella ricerca globale per conoscere le condizioni dell’universo neonato, ma hanno anche creato un quadro per ulteriori ricerche.
“Abbiamo circa 3000 ore di dati da MWA“, spiega, “e per i nostri scopi alcuni di essi sono più utili di altri. Questo approccio ci consentirà di identificare quali bit sono i più promettenti e di analizzarli meglio di quanto non avremmo mai potuto fare prima“.