By Chelsea Harvey, E&E News on 24th May 2020 – Tradotto e adattato da Giampiero Muzi
L’Artico è uno dei posti del pianeta al mondo che più velocemente si sta riscaldando e gli scienziati non sono ancora completamente d’accordo sul perché. Lo scioglimento delle nevi e dei ghiacci potrebbe essere la causa della rapidità del riscaldamento.
Anche i cambiamenti nella circolazione atmosferica potrebbero anche giocare un ruolo. Molti sono i fattori che potrebbero influenzare le temperature della regione, che stanno aumentando a un ritmo doppio rispetto al resto del mondo.
Ora gli scienziati ritengono di aver scoperto un pezzo addizionale del puzzle che potrebbe portare ad una svolta: le piante infatti potrebbero avere un inaspettato ruolo sul riscaldamento globale.
Quando il livello dell’anidride carbonica nell’atmosfera cresce, le piante diventano più efficienti con la fotosintesi e le loro altre fondamentali funzioni vitali. In questo processo spesso sono capaci di conservare più acqua. L’acqua che la pianta scambia con l’aria aiuta il raffreddamento delle temperature locali. Quando le piante perdono meno acqua la zona circostante inizia a riscaldarsi. Uno studio pubblicato nell’aprile del 2020 su Nature Communications suggerisce che questo processo stia contribuendo al riscaldamento dell’Artico.
“L’influenza delle piante è stata sottovalutata prima” ha detto il coautore dello studio Jin-Soo Kim, uno scienziato dell’Università di Edimburgo, “Questa ricerca porta alla luce l’impatto della vegetazione sul riscaldamento dell’Artico, partendo dall’aumento dell’anidride carbonica nel mondo”.
Lo studio ha utilizzato una serie di modelli sul sistema Terra per arrivare a queste scoperte. I modelli evidenziano che l’aumento della CO2 – come risultato dell’effetto serra dovuto alle emissioni delle attività umane – sta causando alle piante dell’Emisfero Nord una minore perdita di acqua, anche nelle stesse aree con una densa vegetazione situate ai tropici o a medie latitudini.
Questo processo è la causa di un riscaldamento delle temperature – in questi posti – maggiore rispetto a quello che ci sarebbe stato se fosse dipeso solo dal cambiamento climatico.
Allo stesso tempo, le rotte di circolazione atmosferica favoriscono il trasporto del calore tra i tropici e l’Artico e lo studio suggerisce che questo calore extra sta riscaldando il Polo Nord ad un ritmo più veloce.
Infatti, questo calore può attualmente contribuire ad altri processi, incluso il cambiamento climatico dell’Artico. Ad esempio, gli scienziati credono che lo scioglimento dei ghiacci nel mare abbia un grande ruolo sul riscaldamento del Polo Nord. I ghiacci nei mari, con la loro brillantezza e la superficie riflettente, aiutano a riflettere la luce del sole fuori dal pianeta.
Se i ghiacci scomparissero, la Terra assorbirebbero più luce del sole e, quindi, maggiore calore. Il calore in più trasportato dalle latitudine più basse starebbe aiutando lo scioglimento dei ghiacci marini ad una velocità maggiore, pensano i ricercatori. E questo, a sua volta, accelera il riscaldamento dell’Artico.
Un importante aspetto ignoto
Nel complesso, lo studio stima che l’effetto delle piante possa spiegare quasi il 10% del riscaldamento che l’Artico subisce ogni anno e potrebbe spiegare fino al 28% del riscaldamento nelle basse latitudini dell’Emisfero Nord. Attorno a queste stime, però, c’è ancora qualche incertezza.
Gli scienziati hanno usato un insieme di otto modelli nei loro studi e hanno considerato tutti i risultati dei modelli allo stesso tempo. Ma tra un modello e l’altro ci sono differenze abbastanza grandi riguardo l’effetto della vegetazione. Questo potrebbe derivare dal fatto che la risposta dei ghiacci marini è ancora incerta e tende a variare tra i vari modelli.
Inoltre ci sono ancora diversi dibattiti tra gli stessi scienziati sull’esatto effetto dell’aumento della CO2 sulle piante. Queste prendono l’anidride carbonica e rilasciano umidità nell’atmosfera, attraverso piccoli fori nelle loro foglie chiamati stomi. Più CO2 significa che le piante non hanno la possibilità di tenere i loro stomi aperti del tutto ma possono trattenere ancora abbastanza anidride carbonica attraverso piccole aperture e mantenere l’acqua nel processo.
Dall’altro lato, più CO2 può causare una maggiore crescita delle piante e, nelle zone con più vegetazione c’è anche un maggiore ricambio di acqua con l’atmosfera. Tale duplice effetto, maggiore crescita delle piante unito ad una minore apertura degli stomi, può provocare conseguenze conflittuali sulle temperature locali. Ad oggi gli studi più recenti sostengono che l’effetto sugli stomi tende a prevalere.
“Io penso sia abbastanza chiaro che in molti ecosistemi noi attualmente non vediamo la relazione tra un normale aumento della CO2 e la crescita della vegetazione”, ha detto Leander Anderegg, ricercatore post-dottorato dell’Università della California a Berkeley, e dall’Istituto per la Scienza Carnegie di Washington, che ha commentato questo nuovo studio su E&E News.
“In questi casi, l’incremento delle piante nell’uso più efficiente dell’acqua, unito alla chiusura degli stomi, compensa definitivamente l’aspetto legato alla crescita”. Ma, ha aggiunto Anderegg, l’esatta portata di questi effetti è ancora incerto e può variare da luogo a luogo. “Penso che sia qualcosa abbastanza ben consolidato e che vada classificato come un importante aspetto ignoto”, ha precisato.
Sulla base di queste informazioni, gli scienziati stanno ancora lavorando per capire esattamente quanta influenza abbiano le piante sul clima globale.
Una precedente ricerca pubblicata nel 2010 su Proceedings of the National Academy of Sciences (il giornale ufficiale dell’Accademia Nazionale delle Scienze americana, edito dal 1915), ha rilevato che l’effetto delle piante aumenterà il riscaldamento globale più di quanto gli scienziati si aspettano, basando la teoria sulle proiezioni del cambiamento climatico.
Altri studi, come un’analisi del 2018 pubblicata su Nature Communications, ha suggerito che lo stesso effetto amplificherà gli eventi di caldo estremo, causando più frequenti e più intense ondate di calore.
Anche altre ricerche hanno collegato l’effetto delle piante ad alcuni modelli climatici in luoghi fuori dal Polo Nord. Ad esempio, uno studio pubblicato nel 2018 su Geophysical Research Letters (il giornale di geoscienza pubblicato dall’American Geophysical Union dal 1974), ha rilevato che una ridotta perdita di acqua dalle piante contribuisce a rendere più asciutta un’area in Amazzonia.
Questo è un settore di ricerca emergente, di cui non è ancora ancora chiaro l’esatta incidenza. E come risultato, l’effetto non è ben rappresentato del tutto nella maggior parte dei modelli climatici.
Secondo Kim, questo significa che alcuni modelli proiettivi potrebbero sottostimare il futuro cambiamento climatico, soprattutto nell’Artico.
Per ora il fatto che molti studi effettuati utilizzando modelli diversi stiano convergendo sulla stessa idea di base, dando agli scienziati una maggiore sicurezza di essere sulla giusta via.
Fonte: Scientific American
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