Gli approcci per datare il Big Bang, evento che ha dato origine all’universo, si basano sulla matematica e su modelli computazionali, utilizzando le stime sulla distanza delle stelle più vecchie, il comportamento delle galassie e la velocità di espansione dell’universo.
L’idea è quella di calcolare quanto tempo impiegherebbero tutti questi oggetti a ritornare allo stato iniziale.
Uno dei metodi utilizzati per effettuare questo calcolo è quello di utilizzare la costante di Hubble, dal nome dello scienziato Edwin Hubble che per primo, nel 1929, ha calcolato la velocità di espansione dell’universo.
Un’altra tecnica usata recentemente prende in considerazione la radiazione residua proveniente dal Big Bang. Viene quindi disegnata una mappa dei dossi e delle oscillazioni nello spazio-tempo – il fondo cosmico di microonde – e si riflettono le condizioni nell’universo primordiale come stabilito dalla costante di Hubble.
Ricalcolare la costante di Hubble
James Schombert, un professore di fisica della University of Oregon, lo scorso 17 luglio, nell’Astronomical Journal ha descritto un nuovo approccio che ricalibra uno strumento di misurazione a distanza, indipendente dal metodo della costante di Hubble, chiamato relazione barionica Tully-Fisher.
In astronomia, la relazione di Tully-Fisher, presentata da R. Brent Tully e J. Richard Fisher nel 1977, è una relazione empirica tra la luminosità intrinseca (proporzionale alla massa stellare) di una galassia a spirale e la sua larghezza di velocità (l’ampiezza della curva di rotazione).
La luminosità è la quantità di energia emessa dalla stella per unità di tempo; può essere misurata a partire dalla luminosità apparente una volta nota la distanza della galassia. La larghezza di velocità viene misurata dalla larghezza o dallo spostamento delle righe spettrali e dallo studio dell’effetto Doppler.
La relazione quantitativa fra la luminosità e la larghezza di velocità è una funzione della lunghezza d’onda alla quale viene misurata la luminosità, ma sostanzialmente la luminosità è proporzionale alla velocità alla quarta.
La relazione permette di esprimere la larghezza di velocità (osservabile direttamente e facilmente misurabile) in termini della luminosità intrinseca, che è invece difficile da valutare.
Secondo Schombert, gli studi sull’origine dell’universo sono inficiati dai problemi della scala delle distanze, in quanto le distanze fra le galassie sono molto ampie ed è molto difficile calibrare i punti di riferimento per misurare queste distanze.
Il team condotto da Schombert ha ricalcolato il metodo Tully-Fisher utilizzando le distanze conosciute, in un calcolo lineare, di 50 galassie come punti di riferimento per misurare le distanze di altre 95 galassie.
Schombert ha sottolineato che l’universo è regolato da una serie di percorsi matematici espressi da specifiche equazioni. Il nuovo approccio rappresenta in modo più accurato la massa e le curve rotazionali delle galassie per trasformare quelle equazioni in numeri, quali per esempio l’età e la velocità di espansione dell’universo.
Lo studio condotto dal team di Schombert ha calcolato per la costante di Hubble – che misura la velocità di espansione dell’universo – un valore di (75.1±2.3) chilometri al secondo per megaparsec.
Ricordiamo che il megaparsec è una unità utilizzata nelle misurazioni spaziotemporali ed equivale a un milione di parsec, dove un parsec è circa 3.3 anni luce.
Inoltre, gli autori della ricerca hanno affermato che qualunque valore della costante di Hubble inferiore a 75 ha solo il 5% delle possibilità di essere realistico.
Le tecniche di misurazione tradizionali, utilizzate negli ultimi 50 anni, hanno stabilito un valore pari a 75, mentre il metodo della radiazione cosmica di fondo riporta un valore pari a 67.
E comunque, secondo Schombert, anche la tecnica della radiazione cosmica di fondo, pur utilizzando assunzioni e simulazioni computazionali diverse, arriverà a calcolare il valore di 75.
I calcoli tratti dalle osservazioni del Wilkinson Microwave Anisotropy Probe della NASA avevano fissato, già nel 2013, in 13,77 miliardi di anni l’età dell’universo; un valore questo che, al momento, rappresenta quello associato al modello standard della cosmologia basata sul Big Bang.
I diversi valori della costante di Hubble, che derivano dalle varie tecniche di misurazione, generalmente stimano l’età dell’universo in un range che va da 12 a 14,5 miliardi di anni.
Il nuovo studio, basato in parte sulle osservazioni effettuate dallo Spitzer Space Telescope, aggiunge un nuovo elemento su come possono essere impostati i calcoli per determinare la costante di Hubble, introducendo un metodo puramente empirico, che si basa sull’osservazione diretta per determinare la distanza fra le galassie.
La scoperta di risultati diversi, dipendenti dalle tecniche di misurazione, stanno a dimostrare che la comprensione che oggi si ha della fisica dell’universo è ancora incompleta e che si spera in una nuova fisica nel futuro.