Un progetto innovativo, guidato da uno degli spin-off della EPFL (Ecole Polytechnique Federale de Lausanne), il ClearSpace, si pone come obiettivo lo sviluppo di tecnologie per catturare detriti spaziali e rimuoverli dall’orbita terrestre. Nell’ambito di questo progetto, i ricercatori studiano degli approcci per determinare la posizione, ovvero la rototraslazione tridimensionale, di un rifiuto spaziale e per capire quale ruolo possano interpretare gli algoritmi di deep-learning (apprendimento profondo).
Vi sono più di 34.000 detriti spaziali che orbitano attorno alla Terra, e la situazione comincia ad assumere un’importanza notevole in termini di sicurezza per le missioni spaziali. Lo scorso mese di ottobre, un vecchio satellite di navigazione sovietico (Parus) e un razzo cinese ChangZheng-4c hanno sfiorato l’incidente e nel mese di settembre la Stazione Spaziale Internazionale ha dovuto effettuare una manovra per evitare una possibile collisione con un detrito spaziale sconosciuto, costringendo l’equipaggio della Spedizione ISS 63 ad avvicinarsi alla navicella Soyuz MS-16, per preparare una possibile evacuazione. L’aumento della concentrazione di detriti può incrementare il rischio di collisione, rendendo sempre più pericoloso l’accesso allo spazio.
La ClearSpace-1, la prima missione organizzata dall’azienda, programmata per il 2025, si pone l’obiettivo di recuperare il Vespa Upper Part, un vecchio adattatore di carico, che orbita a 660 chilometri sopra la Terra e che era parte integrante del razzo Vega, dell’Agenzia Spaziale Europea. Il recupero prevede il rientro controllato del detrito nell’atmosfera.
Una delle prime sfide da affrontare è quella di addestrare le braccia robotiche del dispositivo catturante ad approcciarsi al Vespa, dalla corretta angolazione. A questo scopo, il dispositivo utilizzerà una camera incorporata – che funge da occhi – che gli permetterà di individuare la posizione del detrito, in modo da poterlo afferrare e quindi condurlo nell’atmosfera. Uno degli aspetti essenziali del lavoro, è quello di sviluppare degli algoritmi di deep-learning per stimare in modo affidabile la posizione a 6 dimensioni (3 legate alla rotazione e 3 alla traslazione) del detrito, utilizzando delle sequenze video, anche quando le immagini acquisite non sono abbastanza nitide. Infatti vi possono essere numerosi effetti di sovraesposizione o sottoesposizione.
C’è però un problema di non poco conto. Sono sette anni che Vespa viaggia nel vuoto spaziale senza che nessuno lo abbia visto. Di esso si sa che ha un diametro di circa 2 metri, costituito da fibre di carbonio scure e lucide; ma, dopo questi anni, ci si chiede se il suo aspetto sia rimasto lo stesso.
Per potenziare la prestazione degli algoritmi di deep-learning, il Laboratorio di grafica realistica dell’EPFL simula l’aspetto di questo detrito spaziale come materiale di apprendimento. Nel laboratorio si sta producendo un database di immagini sintetiche dell’oggetto da recuperare, che comprende sia il fondale della Terra, ricostruito da immagini satellitari iperspettrali, sia un modello tridimensionale dello strato superiore di Vespa. Queste immagini sintetiche si basano sulle misurazioni di campioni di materiale reale di alluminio e di pannelli di fibre di carbonio, acquisite utilizzate il goniofotometro dei laboratori svizzeri. Si tratta di un grande dispositivo robotico che ruota attorno a un campione di prova per illuminarlo e osservarlo simultaneamente da molte direzioni diverse, e in grado quindi di fornire un’ingente quantità di informazioni sull’aspetto del materiale. Una volta che la missione avrà inizio, i ricercatori saranno in grado di catturare delle immagini reali dall’esterno dell’atmosfera e quindi mettere a punto gli algoritmi per assicurarsi che possano lavorare in situ.
Una terza sfida riguarda la necessità di lavorare nello spazio, in tempo reale e con una potenza di calcolo limitata all’interno del satellite catturante ClearSpace. Innanzitutto bisogna trasferire gli algoritmi di deep-learning su una piattaforma hardware dedicata. Dal momento che i movimenti nello spazio sono ben controllati, gli algoritmi di valutazione della posizione possono colmare il gap tra ricognizioni distanziate di un secondo, riducendo la pressione di calcolo. Tuttavia, per assicurare che essi possano far fronte a tutte le incertezze della missione, gli algoritmi sono così complessi che la loro implementazione necessita dell’utilizzo di tutte le potenzialità delle risorse della piattaforma.
È chiaro che la progettazione di algoritmi affidabili al 100%, in condizioni così difficili e relativamente sconosciute, in grado, inoltre, di operare in tempo reale utilizzando delle risorse di calcolo limitate, rappresenta una sfida non indifferente. Per Mathieu Salzmann, uno dei componenti del gruppo di ricerca, questa fase rappresenta una parte fondamentale del progetto. La necessità del progetto è quella di raggiungere una robustezza e un’affidabilità perfetta. Il 90% non è sufficiente per questo tipo di missione. Un altro aspetto ritenuto importante e nello stesso tempo interessante, riguarda la capacità di sviluppare un algoritmo che sarà in grado di lavorare nello spazio.
Infine, è importante sottolineare che il lavoro è stato eseguito con il supporto dal team della Microsoft Startups, che ha messo a disposizione la potenza del processore Azure.
Fonte: phys.org