Dante e la politica

Una delle grandi passioni della vita del grande poeta fiorentino fu la politica che gli costerà l'esilio dalla sua amata Firenze

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La Firenze del XIV secolo era governata da un “regime di popolo”, ovvero il potere decisionale era in mano a gran parte della popolazione produttiva del Comune. Il vertice del potere era in mano a sei Priori delle Arti, espressioni del mondo imprenditoriale e artigiano della città. Un ruolo essenziale era svolto dal Gonfaloniere di giustizia, incaricato di far rispettare gli Ordinamenti di Giustizia ed assicurare l’emarginazione dalla politica e la difesa del popolo dalla violenza dei nobili o magnati, come comunemente venivano chiamati.
I Priori restavano in carica soltanto due mesi per evitare qualsiasi tentazione di consolidamento personale o familiare del potere. Sotto questo vertice politico c’erano almeno altri cinque organi politici (il Consiglio dei Cento, i Consigli speciale e generale del Capitano del Popolo, i Consigli speciale e generale del Podestà). A questi andavano aggiunti le Capitudini della Arti, ovvero i collegi che dirigevano le 21 Corporazioni delle Arti e dei Mestieri in cui era divisa la base produttiva della città. Si trattava quindi di quasi 700 persone coinvolte nei processi politici e decisionali di Firenze.
A parte il Podestà che era un professionista ingaggiato con un contratto annuale e proveniente da fuori città, il resto di queste 700 persone erano solo temporaneamente prestate alla politica e non cessavano mai di occuparsi delle proprie attività anche mentre ricoprivano le cariche pubbliche.
Sappiamo con certezza che la partecipazione di Dante Alighieri alla vita politica va dal 1295 al 1301, ma ci sono numerosi indizi che fanno supporre che il suo impegno nelle istituzioni cittadine risalga ad almeno il 1290. Il 5 luglio 1295 Firenze conosce una crisi gravissima, i magnati armati di tutto punto e sostenuti dai loro contadini e da guardie private (i masnadieri) occupano alcune luoghi importanti della città.
Da due anni sono stati esclusi tramite gli Ordinamenti di Giustizia dal governo della città e le potenti famiglie fiorentine non accettano questa emarginazione politica. Vogliono una riforma di questi ordinamenti che abroghi i divieti introdotti.
La risposta dei mercanti e degli artigiani non si fa attendere, le compagnie armate delle Arti presidiano il palazzo del Podestà e la torre della Castagna, a difesa dei Priori. Per tutta la giornata, sotto l’infuocato sole di luglio, le due parti si confrontano, pronte a scattare alla minima scintilla. Verso il tramonto i magnati accettano di ritirarsi con la promessa che il giorno seguente gli ordinamenti di giustizia subissero delle modifiche a loro favorevoli.
Il giorno dopo 6 luglio viene messa ai voti una provvisione che pur conservando il Priorato ai rappresentanti delle Arti, stabilisce che basta essere iscritto ad una di queste corporazioni ed anche se non si esercita l’attività si ha il diritto di essere eletti nel massimo governo della città. Inoltre si attenuano le pene a carico dei magnati colpevoli di reati nei confronti del popolo e si delimitano le 70 famiglie che, soltanto loro, godranno di queste modificazioni degli ordinamenti.
L’iter della proposta di modifica è lungo e complesso e passa attraverso tutti i vari consigli della città, con lo stesso rituale politico, un membro del consiglio presenta la proposta, un altro parla a favore e poi si vota. Per il Consiglio generale del Comune a parlare a favore del compromesso raggiunto sarà proprio Dante Alighieri.
Politicamente Dante era un sostenitore del regime di popolo sia pure su un versante più moderato, d’altra parte con il passare degli anni il grande poeta fiorentino farà di tutto per rimarcare la sua discendenza “nobiliare”. Nonostante Dante appartenesse al fronte moderato il suo appoggio al regime di popolo gli costerà l’amicizia di Guido Cavalcanti, poeta e magnate fino al midollo.
A poco più di tre mesi dalla crisi di luglio Dante viene nominato tra i 36 membri del Consiglio dei Capitani del Popolo in carica tra il 1 novembre 1295 e il 30 aprile 1296. Per essere cooptato in quel consiglio anche il poeta fiorentino doveva essere iscritta ad una delle 21 Corporazioni. Dante risultava iscritto all’Arte dei Medici e degli Speziali e merciai pur non esercitando direttamente alcuna di queste professioni.
Nel giugno del 1296, conclusa la sua esperienza nel Consiglio dei Capitani del Popolo, Dante viene nominato dai Priori nel Consiglio dei Cento. I poteri di questo Consiglio era vastissimi, tra questi il controllo della spesa pubblica della città. I suoi membri dovevano essere scelti tra i maggiori contribuenti, questo significava che Dante pur non essendo tra le persone più ricche di Firenze, godeva di una certa agiatezza.
Dopo questa data non abbiamo più fonti certe dell’attività politica di Dante fino al 1300, quando si aprirà la partita tra Bianchi e Neri che alla fine costerà l’esilio da Firenze al grande poeta, ma di questo tratteremo in un prossimo articolo.
Fonte: Dante, di A. Barbero