Come nasce un pianeta

Il processo che porta alla nascita di un pianeta e intimamente legato alla formazione stellare ed al disco di polveri e gas che circondano la neo stella

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Il processo che porta alla nascita di un pianeta è lungo e complesso e parte dalla formazione di una stella. Le stelle si formano da vaste regioni di gas e polveri chiamate nubi molecolari. La densità tipica dello spazio vuoto è di circa 1 atomo per centimetro cubo ma nelle zone più dense delle nubi molecolari si raggiungono fra 10.000 ed 1 milione di volte questo valore.

Questi nuclei diventano progressivamente più densi fino a collassare sotto la loro stessa gravità “partorendo” una stella. La rotazione iniziale del nucleo che collassa e la conservazione del momento angolare formano un disco che circonda la stella appena nata.

Queste aree di polveri e gas sono chiamati dischi circumstellari. Dopo pochi milioni di anni di vita della stella questi dischi raggiungono una massa che oscilla tra l’1 ed il 10% della stella stessa. Questi dischi dalla massa consistente, sono detti protoplanetari perché è in queste aree che con ogni probabilità si formano i pianeti.

La prima fase è costituita dalla condensazione di roccia, metallo e ghiaccio che poi iniziano a collidere e fondersi diventando sempre più grandi fintanto che non acquisiscono una gravità sufficiente per attrarre altro materiale spazzando via contestualmente ampie zone del disco da polveri e gas.

La fase del disco protoplanetario dura diversi milioni di anni. Terminata questa lunga fase gran parte dei gas e delle polveri del disco saranno state eliminate e probabilmente, in parte catturate dalla stella ed in parte spazzate via dai venti stellari. Dopo circa 10 milioni di anni rimane una stella matura ed un sistema planetario circondati da un disco di asteroidi e comete residue.

Questi detriti residui possono ancora formare piccoli pianeti terrestri ma vanno interpretati soprattutto come i “residui fossili” della precedente formazione planetaria. I dischi di detriti sono stati scoperti per la prima volta nel 1983 grazie a IRAS, il satellite astronomico ad infrarosso lanciato nel gennaio di quell’anno, e che cessò la sua operatività dopo circa 11 mesi, nel novembre del 1983.

Usando i telescopi ad infrarosso gli astronomi hanno confermato che circa un quarto delle stelle sono circondate da dischi di detriti. Lo studio di questi dischi oltre ad essere utilissimo per implementare la nostra conoscenza sulla formazione planetaria sono anche un’ottima pista per rilevare esopianeti altrimenti difficilmente individuabili.

Fino ad oggi le migliaia di esopianeti individuati sono stati scoperti principalmente attraverso due metodi: quello del transito, che cerca l’affievolimento periodico della luminosità di una stella quando un pianeta gli passa davanti e quello delle velocità radiali, che individua i pianeti tramite l’osservazione della lieve variazione di velocità che causano nelle rispettive stelle a causa della loro attrazione gravitazionale.

Entrambi questi metodi sono adatti ad individuare pianeti di grandi dimensioni con orbite poco ampie, quindi è facile prevedere che pianeti più piccoli e con orbite molto ampie siano sfuggite alla caccia degli astrofisici.

Con le recenti innovazioni la caccia a quest’ultima classe di pianeti sarà possibile attraverso l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), un radiointerferometro situato a 5000 metri d’altitudine nel deserto di Atacama in Cile. Con l’interferometria millimetrica sarà possibile osservare anche la struttura dell’analogo della fascia di Kuiper esterna e determinare la posizione del suo bordo interno.

Nei prossimi mesi e nei prossimi anni è ragionevole supporre che la nostra conoscenza sulla formazione planetaria farà un grande balzo in avanti così come la caccia agli esopianeti, andando a scovare anche quelli che adesso risultano di difficile individuazione.

Fonti: Le Scienze, agosto 2020, edizione cartacea – alcune voci di Wikipedia