Buchi neri e molecole gravitazionali

Recenti studi hanno dimostrato che, attorno a una coppia di buchi neri, si possono formare dei campi di materia oscura, allo stesso modo in cui attorno a una molecola biatomica si formano campi di elettroni

0
5251
Indice

Uno degli aspetti più essenziali dei buchi neri è la loro semplicità. In effetti, si tratta solo di buchi, che sono neri!. Questa semplicità ci permette di definire delle analogie tra i buchi neri e altre branche della fisica. Per esempio, un team di ricercatori ha dimostrato che, attorno a una coppia di buchi neri può trovarsi un particolare tipo di particella, nello stesso modo in cui un elettrone può esistere attorno a una coppia di atomi di idrogeno; sarebbe il primo esempio di molecola gravitazionale. Questo strano oggetto potrebbe fornire nuovi indizi sull’identità della materia oscura e sulla natura dello spazio-tempo.
Per comprendere in che modo la nuova ricerca, pubblicata lo scorso mese di settembre nel database arXiv, spiega l’esistenza di una molecola gravitazionale, è necessario esplorare uno dei concetti più importanti della fisica moderna: il campo.
Un campo è uno strumento matematico attraverso il quale si possono fare delle previsioni quando ci si sposta da un punto all’altro nell’universo. Per esempio, il bollettino meteorologico delle temperature, che viene trasmesso in televisione, è una rappresentazione di un campo, adatta per il pubblico televisivo: viaggiando per la città o per lo Stato, si hanno informazioni sulle temperature che, con molta probabilità, si troveranno.
Questo tipo di campo viene detto scalare, perché questo è il termine che in matematica indica un singolo valore numerico ben preciso. In fisica esistono altre tipologie di campi, come i campi vettoriali o i campi tensoriali, che, in relazione a un singolo punto dello spazio-tempo, forniscono più valori numerici(Per esempio una mappa che rappresenta la direzione e la velocità del vento è un campo vettoriale). Per gli scopi di questo articolo, ci limitiamo a trattare solo con campi scalari.
A metà del 20° secolo, i fisici realizzarono che i campi non erano solo dei pratici espedienti matematici, ma in realtà descrivono qualcosa di molto importante sul funzionamento interno della realtà. In pratica, scoprirono che, nell’universo, ogni cosa è rappresentabile come un campo.
Si consideri per esempio l’elettrone. Dalla meccanica quantistica sappiamo che è molto difficile conoscere l’esatta posizione di un elettrone, in un determinato momento. Un situazione questa che diventava molto difficile da comprendere, finché non è emerso il concetto di campo.
Nella fisica moderna, un elettrone è rappresentato come un campo – un oggetto matematico che fornisce delle indicazioni su dove è probabile trovare l’elettrone la prossima volta che viene osservato. Questo campo reagisce con ciò che lo circonda – per esempio può essere influenzato elettricamente dal nucleo di un atomo vicino – e si modifica per cambiare dove dovremmo vedere l’elettrone.
Il risultato finale è che gli elettroni possono apparire solo in certe regioni attorno a un nucleo atomico, dando così origine a tutto il settore della chimica.
Andiamo ad analizzare adesso il coinvolgimento dei buchi neri. Nella fisica atomica, una particella elementare (come l’elettrone) può essere completamente descritta in termini di tre grandezze: la sua massa, il suo spin e la sua carica elettrica. Allo stesso modo, nella fisica gravitazionale, un buco nero può essere completamente descritto da tre grandezze: la sua massa, il suo spin e la sua carica elettrica. Non disponiamo ancora delle conoscenze per stabilire se si tratti di semplice coincidenza, ma sicuramente questa situazione offre degli spunti per capire meglio i buchi neri.
In fisica della particelle, un atomo viene solitamente descritto come un minuscolo nucleo circondato da un campo di elettroni. Questo campo di elettroni reagisce alla presenza del nucleo, e permette quindi agli elettroni di apparire solo in determinate regioni. Lo stesso accade per gli elettroni che si trovano attorno a due nuclei, per esempio una molecola biatomica come l’idrogeno (H2).
L’ambiente che circonda un buco nero può essere descritto allo stesso modo. La piccola singolarità all’interno di un buco nero può essere paragonata al nucleo di un atomo, e l’ambiente circostante – un generico campo scalare – può essere assimilato all’ambiente che descrive una particella subatomica. Il campo scalare risente della presenza del buco nero, e permette quindi alla corrispondente particella di apparire solo in determinate regioni. E come in una molecola biatomica, è possibile descrivere i campi scalari attorno a due buchi neri, come in un sistema binario di buchi neri.
Gli autori dello studio hanno scoperto che effettivamente, attorno a buchi neri binari possono crearsi dei campi scalari. Inoltre, questi campi scalari possono configurarsi secondo schemi che assomigliano a quelli costituiti dai campi di elettroni nel formare le molecole. Pertanto, il comportamento dei campi scalari in quello scenario è simile al comportamento degli elettroni nelle molecole biatomiche, da cui il soprannome molecole gravitazionali.
L’interesse per i campi scalari scaturisce innanzitutto dal fatto che non si hanno delle certezze sulla natura della materia oscura (e quindi dell’energia oscura), e pertanto è possibile che entrambe possano essere costituite da uno o più campi scalari, così come gli elettroni sono costituiti da campi di elettroni.
Se la materia oscura fosse effettivamente costituita da una qualunque specie di campo scalare, allora questo risultato significa che la materia oscura esisterebbe, attorno a buchi neri binari, in uno stato molto strano – le misteriose particelle di materia oscura dovrebbero trovarsi in determinate orbite, proprio come gli elettroni negli atomi. Ma i buchi neri accoppiati hanno una vita limitata; emettono radiazione gravitazionale e possono anche collidere e fondersi in un unico buco nero. Questi campi scalari di materia oscura andrebbero a influenzare tutte le onde gravitazionali emesse durante queste collisioni, perché filtrerebbero, defletterebbero e riconfigurerebbero tutte le onde che transitano attraverso regioni con densità di materia oscura crescente. Questo significa che, utilizzando gli attuali rilevatori di onde gravitazionali, potremmo rilevare questo tipo di materia oscura con un’apprezzabile sensibilità.
In poche parole: siamo in grado di confermare, entro pochi anni, l’esistenza di molecole gravitazionali, e, grazie a loro, aprire una finestra verso la parte più nascosta del nostro universo.
Fonte: livescience.com