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È possibile misurare l’anima umana?

In un esperimento del 1907, un medico stabilì che il peso dell'anima fosse di 21 grammi

Il libro di Mary Roach del 2005, Spook: Science Tackles the Afterlife, in un capitolo, descrive in dettaglio un curioso esperimento che si proponeva di pesare l’anima umana.

L’idea alla base dell’esperimento era chre subito dopo il momento del decesso, la nostra forma corporea subisce una serie di cambiamenti tutt’altro che affascinanti. I tuoi muscoli si rilassano, tutti, fino allo sfintere, il che porta al rilascio di cose come urina e feci. La temperatura corporea aumenta improvvisamente quando il sangue smette di muoversi attraverso il sistema circolatorio, generando sudore. Le cellule morenti rilasciano un gruppo di enzimi che allertano batteri e funghi, portando alla decomposizione e al rilascio di gas nocivi.

Queste cose hanno tutte massa, il che significa che è perfettamente naturale per il corpo umano subire una modesta perdita di peso quando muori. Chi crede ritiene che qualcosa di molto più prezioso sfugge dal corpo quando il cuore non batte più: l’anima. A differenza del sudore o dei liquidi organici, però, non è del tutto chiaro come si misuri l’anima o se abbia anche una forma fisica da misurare.

Ma questo non significa che nessuno ci abbia provato. Nel 1907, il dottor Duncan MacDougall, un medico di Haverhill, Massachusetts, pubblicò un articolo controverso sulla rivista American Medicine, dove affermava di aver determinato che il peso dell’anima umana fosse di 21 grammi.

Nel suo esperimento, MacDougall decise di utilizzare sei soggetti umani in case di cura che erano già prossimi alla morte: quattro stavano morendo di tubercolosi, uno di diabete e uno per cause ignote. All’approssimarsi del momento della morte, i letti dei pazienti venivano trasferiti su bilance industriali accurate a 5,6 grammi.

Tenendo conto della perdita di fluidi corporei e feci, MacDougall stabilì che uno dei pazienti aveva perso 21,3 grammi di peso al momento della morte. Tuttavia, nello studio il medico respinse i risultati degli altri cinque soggetti. In un caso, un paziente aveva perso un po’ di peso al momento del decesso, ma lo aveva prontamente riguadagnato. Altri due pazienti sperimentarono una perdita di peso al decesso, ma ne ripresero di più pochi minuti dopo. La bilancia “non era stata regolata con precisione” in un altro esempio e un paziente è morto mentre MacDougall stava ancora calibrando l’attrezzatura.

Correlato: 21 grammi, è questa la differenza tra la vita e la morte?

MacDougall quindi replicò il suo lavoro con 15 cani per vedere se avevano variazioni di peso al momento della morte e, quindi, possedessero un’anima. Non ne trovò nessuna e prese la cosa come prova che la sua ipotesi era corretta: L’anima era una caratteristica esclusiva degli umani.

Si tratta di un lavoro che attira sicuramente l’attenzione e ha persino ispirato il film del 2003 “21 Grams”, ma probabilmente non è una grande scienza, secondo Donald Everhart, direttore della ricerca istituzionale presso l’AMDA College and Conservatory of the Performing Arts, che ha esperienza in sociologia e filosofia della scienza.

Per prima cosa, le dimensioni del campione negli esperimenti di MacDougall erano troppo piccole per essere affidabili, il che ha probabilmente generato artefatti. “Sebbene questa sia una preoccupazione dal punto di vista attuale, probabilità e statistica avevano una relazione diversa con la sperimentazione scientifica nel 1907“, ha detto. “Ciò non vuol dire che le idee relative al campionamento, alla statistica e al confronto con le distribuzioni normali non fossero già in circolazione all’epoca. In molti casi, l’inferenza logica, combinata con misurazioni che dovevano essere il più accurate possibile, erano all’epoca più comuni per la maggior parte dei campi scientifici rispetto all’inferenza statistica.

Tuttavia, il lavoro di MacDougall avrebbe potuto beneficiare di un approccio più scientifico. Ad esempio, il sociologo francese Émile Durkheim utilizzò le statistiche ufficiali sulla morte nel suo classico lavoro sociologico sul suicidio nel 1897. “MacDougall avrebbe potuto considerare il peso epistemologico aggiuntivo che il suo studio avrebbe potuto avere se avesse analizzato più di un caso“, spiega Everhart.

E poi c’è l’attrezzatura usata nello studio, essenzialmente un letto su una bilancia. Everhart non è così sicuro che un tale apparato fosse appropriato per misurare qualcosa come l’anima.

Fatto ancora più importante, nessuno ha replicato gli esperimenti di MacDougall per vedere se reggevano al controllo, un processo caratteristico del metodo scientifico. MacDougall accennò a questo nel suo lavoro, affermando di essere “consapevole che sarebbe stato necessario fare un gran numero di esperimenti prima che la questione potesse essere dimostrata oltre ogni possibilità di errore“. Tuttavia, sembrava credere di avere prove sufficienti per avanzare la sua ipotesi.

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