Il pianeta 9 potrebbe essere un buco nero primordiale?

Gli astronomi dell'Università di Harvard hanno trovato una possibile spiegazione al misterioso e sfuggente pianeta. La loro ipotesi, già portata all'attenzione del pubblico da altri astronomi, sostiene che il pianeta 9 non sia altro che in minuscolo e densissimo buco nero primordiale (PBH). L’orizzonte degli eventi di questo minuscolo oggetto non darebbe più grande di un’arancia, ma racchiuderebbe una massa di 5 o 10 volte quella del nostro pianeta

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Il pianeta 9, secondo la teoria più conosciuta e condivisa, è un corpo celeste ipotetico catturato dal Sole nel corso dei 4,6 miliardi di anni della sua esistenza. Il misterioso pianeta, non ancora osservato, ha fatto parlare di se per decenni.

Due astronomi dell’Università di Harvard hanno trovato una possibile spiegazione al misterioso e sfuggente pianeta. La loro ipotesi, già portata all’attenzione del pubblico da altri astronomi, sostiene che il pianeta 9 non sia altro che in minuscolo e densissimo buco nero primordiale (PBH).

L’orizzonte degli eventi di questo minuscolo oggetto non darebbe più grande di un’arancia, ma racchiuderebbe una massa di 5 o 10 volte quella del nostro pianeta.

I buchi neri primordiali sono un tipo ipotetico di buco nero che non si forma dal collasso gravitazionale di una stella ma dall’estrema densità della materia presente durante l’espansione dell’universo primordiale.

Gli autori dello studio, pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, sostengono che il raggruppamento di oggetti trans-nettuniani estremi osservato suggerisca la presenza di un corpo massiccio come una super-terra che orbita ai margini esterni del sistema solare, forse a 800 unità astronomiche di distanza dal Sole (1 UA è la distanza Terra-Sole, pari a 150 milioni di chilometri).

Ma il pianeta 9, qualsiasi cosa sia, esiste veramente? Non possiamo affermarlo con certezza, ma in futuro, un nuovo strumento messo a disposizione degli astronomi, potrà trovare una risposta definitiva. Quello strumento, chiamato  LSST, o telescopio per monitoraggi ad ampio campo in fase di costruzione in Cile, potrà stabilire nuovi limiti sulla possibilità che il pianeta possa effettivamente essere un buco nero primordiale o non esistere affatto.

I buchi neri primordiali, se esistono effettivamente, potrebbero spiegare molti misteri che avvolgono l’evoluzione dell’universo. I PBH potrebbero spiegare la massa mancante, la materia oscura e potrebbero avere profonde implicazioni sul perché l’universo è cosi come lo osserviamo.

Il pianeta 9 e la nube di Oort

Il documento, pubblicato su The Astrophysical Journal Letters mostra che se il pianeta 9 fosse un buco nero primordiale, le comete che orbitano nella periferia estrema del sistema solare, regione dello spazio profondo chiamata anche nube di Oort, risentirebbero dei suoi effetti gravitazionali, come ha spiegato Avi Loeb, Presidente del Dipartimento di Astronomia dell’Università di Harvard e coautore dell’articolo.

Questa nube, composta da comete ghiacciate fu ipotizzata nel 1950 dall’astronomo olandese Jan Oort che teorizzò l’esistenza di una gigantesca nube di detriti, ben oltre i confini dell’eliosfera e solo debolmente legata al Sole.

La nube di Oort, che da allora viene chiamata “la culla delle comete”, dovrebbe essere una regione di spazio di forma sferica che definisce il confine cosmografico del Sistema Solare, estendendosi fino a 3,2 anni luce dal Sole.

Gli astronomi pensano che potrebbe contenere i resti congelati risalenti alla nube proto-planetaria, da cui si sono formati i pianeti del Sistema Solare 4,5 miliardi di anni fa.

Una volta giunte nei pressi del buco nero primordiale, i piccoli corpi cometari composti prevalentemente da ghiaccio e polvere si scioglierebbero a causa del riscaldamento provocato dall’aumento della densità del gas presente nel mezzo interstellare, ha spiegato in una nota lo studente universitario di Harvard  Amir Siraj, primo autore dello studio.

Gli autori dello studio sostengono che sarebbero in grado di rilevare il primo bagliore emesso dal disco di accrescimento pochi mesi dopo l’entrata in funzione del telescopio LSST, previsto online nel 2021. E poiché la posizione del pianeta 9 è sconosciuta,  LSST scandagliando tutto il cielo con grande velocità e frequenza massimizzerebbe la possibilità di rilevare uno di questi bagliori.

PBH e materia oscura

Se il misterioso pianeta 9 fosse un buco nero primordiale, è probabile che ce ne siano altri all’interno della galassia, sarebbe alquanto improbabile trovarne uno ora ai confini del sistema solare. Se fosse un PBH, ha spiegato Loeb, “dovrebbero essercene almeno cinquanta quadrilioni nella sola Via Lattea“.

Le teorie classiche sostengono che nell’universo neonato i buchi neri primordiali non avrebbero avuto il tempo di svilupparsi. Eppure, secondo le osservazioni, erano già presenti. Uno studio della Sissa, pubblicato su The Astrophysical Journal, propone, però, una risposta all’affascinante mistero.

Grazie a un inedito modello proposto dagli scienziati triestini, lo studio propone un processo di formazione molto rapido nelle fasi iniziali dello sviluppo dei buchi neri supermassicci, quelle fino a oggi ritenute più lente. Provando matematicamente che nell’universo giovane la loro esistenza era possibile, i risultati della ricerca mettono d’accordo così i tempi richiesti per la loro crescita con i vincoli imposti dall’età del cosmo.

Loeb sostiene che sarebbe interessante utilizzate LSST per cercare le tracce della presenza di un buco nero primordiale nella periferia del sistema solare. Oltre a spiegare alcune anomalie si potrebbe fare luce sulla materia oscura che ancora sfugge alla nostra comprensione.