Sono passati quasi dieci anni dal disastro nucleare di Fukushima Daiichi ma la natura non ha perso tempo nel recuperare il suo spazio.
un nuovo studio suggerisce che, nonostante l’alto livello di radiazioni al suolo, la semplice assenza degli esseri umani è più che sufficiente per far prosperare le popolazioni di animali selvatici.
Nei cinque anni successivi all’esplosione, la zona evacuata intorno a Fukushima è diventata sede di una vasta gamma di popolazioni di mammiferi e uccelli di media e grande taglia.
Analizzando oltre 267.000 foto di animali selvatici, i ricercatori sono stati in grado di identificare 20 specie presenti nella “zona inabitabile“, tra cui cinghiali (Sus scrofa), lepri giapponesi (Lepus brachyurus), macachi (Macaca fuscata), fagiani (Phasianus versicolor), volpi (Vulpes vulpes) e il cane procione (Nyctereutes procyonoides), che è imparentato con la volpe.
“I nostri risultati rappresentano la prima prova che numerose specie di fauna selvatica sono ora abbondanti in tutta la zona evacuata intorno a Fukushima, nonostante la presenza di contaminazione radioattiva“, afferma lo zoologo James Beasley dell’Università della Georgia.
“Ciò suggerisce che queste specie hanno potuto prosperare in seguito all’evacuazione degli esseri umani“, aggiunge.
Anche con le radiazioni, gli animali selvatici prosperano dove mancano gli umani
Lo studio si è concentrato su tre aree intorno alla centrale nucleare di Fukushima: una con il più alto livello di contaminazione e nessun accesso umano, una con contaminazione intermedia e accesso umano limitato e una con radiazione “di fondo” e accesso umano aperto.
Dopo avere posizionato 120 telecamere in queste aree, gli autori hanno aspettato. Nelle aree prive di esseri umani sembra che le comunità di mammiferi ed uccelli non abbiano risentito dell’impatto delle radiazioni.
Mentre le ricerche precedenti si sono concentrate sull’identificazione della presenza e della salute dei singoli animali, questo è uno dei pochi studi fatti per valutare la numerosità della popolazione animale nel suo insieme.
Questi dati, affermano gli autori, forniscono prove uniche del fatto che l’assenza degli esseri umani abbia portato più benefici alle comunità degli animali selvatici di quanti danni possano avere fatto le radiazioni.
Come è accaduto a Chernobyl, che ora è abitato da orsi bruni, bisonti, lupi, linci, cavalli Przewalski e più di 200 specie di uccelli, anche a Fukushima gli animali stanno tornando, specialmente nei luoghi interdetti agli umani.
Il cinghiale, ad esempio, risulta fino a quattro volte più abbondante nella zona di esclusione di Fukushima rispetto all’area controllata dall’uomo.
“Allo stesso modo“, scrivono gli autori , “l’abbondanza comparativamente più alta di procioni, un mesocarnivoro generalista non nativo, così come per i macachi, può essere spiegata dallo sfruttamento di risorse precedentemente non disponibili nell’interfaccia di sviluppo rurale e terre selvagge“.
In confronto, i livelli di radiazione e la geografia della regione hanno mostrato poca influenza sulla distribuzione e l’abbondanza di queste specie.
“Il terreno varia da habitat montagnosi a habitat costieri e sappiamo che questi habitat supportano diversi tipi di specie. Per tenere conto di questi fattori, abbiamo incorporato nella nostra analisi attributi di habitat e paesaggio come l’elevazione“, spiega Beasley.
“Sulla base di queste analisi, i nostri risultati mostrano che il livello di attività umana, l’elevazione e il tipo di habitat sono stati i fattori primari che hanno influenzato l’abbondanza delle specie valutate, piuttosto che i livelli di radiazione“.
L’unica vera eccezione si è dimostrato il serow, un mammifero simile a una capra originario del Giappone. Normalmente, a questa specie non piace stare con gli umani, ma sulle telecamere, i serows continuano ad apparire in aree con insediamenti.
Gli autori pensano che ciò, probabilmente, dovrebbe dipendere dal fatto che nelle aree disabitate c’è una forte abbondanza di cinghiali, animali in forte competizione alimentare con i serow.
In questo studio, i ricercatori non hanno esaminato la salute delle singole specie. Ma se questi animali soffrono di qualche effetto negativo indotto dalle radiazioni, questo non si presenta a livello di numerosità della popolazione, né sembra avere avuto un impatto a lungo termine sotto questo aspetto, tutt’altro.
Insomma, qualsiasi cosa che sembra tenere lontani gli esseri umani sembra favorire la proliferazione delle specie animali selvatiche.
Lo studio è stato pubblicato su Frontiers in Ecology and the Environment.