Il 15 ottobre 1946, dopo la sentenza del Tribunale di Norimberga, saliva sul patibolo Alfred Jodl, uno dei più importanti generali di Hitler. Era il nono imputato condannato alla pena capitale a salire sulla forca. A mettergli il cappio al collo fu il boia, John C. Woods, sergente maggiore dell’esercito americano.
Le sue ultime parole furono “Ti saluto, Germania mia!”. Il cadavere di quello che era stato Capo di stato maggiore dell’OKW durante la Seconda guerra mondiale e il 7 maggio 1945 aveva firmato la dichiarazione di resa incondizionata della Germania (assieme a Wilhelm Keitel), fu cremato e le ceneri disperse a Monaco di Baviera.
Fino al processo ed alla sentenza, pochi addetti ai lavori conoscevano questo generale che aveva avuto un ruolo fondamentale nella gestione delle invasioni di Cecoslovacchia, Norvegia, Jugoslavia, Grecia e Unione Sovietica.
Jodl era nato il 10 maggio 1890 a Würzburg, in Baviera, figlio di un ufficiale a riposo che aveva dovuto lasciare il servizio attivo a causa del matrimonio con una ragazza di origini contadine. Dal suo matrimonio ebbe cinque figli ed i due maschi seguirono la carriera paterna diventando generali della Wermacht. Entrato nei cadetti si diplomò nel 1910 con il grado di sottotenente. Contrariamente al padre Alfred fece un ottimo matrimonio con la contessa Irma von Bullion di cinque anni più grande e che lo stesso Jodl amava definire pubblicamente “di gran lunga più intelligente di me”.
Passò la Prima Guerra Mondiale come ufficiale di artiglieria e successivamente entro allo Stato Maggiore, insieme a Keitel, suo futuro capo. A guerra terminata Jodl si ritrovò con il grado di maggiore nel reparto operazioni del Truppenamt, lo “stato maggiore generale clandestino” dell’esercito tedesco. Suo capo fu, inizialmente, Adam ma con l’avvento del nazismo fu sostituito da Ludwig Beck.
La frustrazione di molti alti ufficiali per le durissime condizioni imposte anche in campo militare dal Trattato di Versailles, spinsero Jodl a simpatizzare per le posizioni di Hitler che riguardavano il riarmo della Germania. Nel 1935 su raccomandazione di Beck, il quarantacinquenne Alfred entrò a far parte del Wehrmachtamt, l’ufficio delle forze armate.
In questa posizione Jodl venne a conoscenza dei piani di guerra hitleriani che allo stesso tempo lo spaventavano e lo galvanizzavano. L’ascesa di Jodl fu dovuta alla sua amicizia con Keitel e alla crisi dell’alto comando all’inizio del 1938. Hitler, una volta licenziati von Blomberg e von Fritsch, assunse il comando della Wehrmacht e chiamò Keitel a dirigere l’Okw. Questi , a sua volta, chiamò Jodl come capo dell’ufficio operazioni.
L’Oberkommando der Wehrmacht (Okw) avrebbe dovuto essere il massimo livello di coordinamento delle forze armate tedesche, ma questo compito fu frenato ed ostacolato da continue lotte di potere, sia con l’Oberkommando des Herres (okh) dell’esercito che con la Luftwaffe di Goring.
Lo stesso Okw registrava situazioni gerarchiche equivoche, Jodl tecnicamente era subordinato a Keitel ma nei fatti i due erano praticamente con gli stessi poteri, situazione che ingenerò notevole confusione e che Hitler non solo non riuscì a sbrogliare ma contribuì a complicare ulteriormente.
Le uniche campagne che Jodl riuscì a coordinare con l’impiego di tutte e tre le armi, e si rivelarono successi, furono l’invasione della Norvegia nel 1940 (dove fortunatamente disobbedì agli ordini di Hitler che voleva il ritiro delle truppe tedesche da Narvik e l’abbandono della campagna), e le operazioni in Africa settentrionale del 1941 e dell’inizio del 1942.
Jodl era un grande teorico miliare ed un capacissimo pianificatore di operazioni, quando non soccombeva servilmente alle pretese di Hitler. Uno dei suoi capolavori fu l’operazione Marita, piano di invasione tedesco della Grecia durante la seconda guerra mondiale. Essa fu pianificata con lo scopo di risolvere la “questione balcanica”, in un momento in cui la Jugoslavia, dopo un primo avvicinamento all’Asse, correva il rischio di ricadere sotto la sfera di influenza del Regno Unito e dell’Unione Sovietica, e la Grecia, aveva fatto franare la sciagurata invasione italiana.
Pianificata in una settimana da Jodl, in sole tre settimane di combattimenti riuscì a scacciare gli inglesi dai Balcani. Il genio di Jodl si scontrava però con le pretese di Hitler che riteneva di essere un grande condottiero, dotato del dono dell’infallibilità. Lo stesso Jodl con il passare del tempo si rese conto di questa situazione, tanto da commentare: «Il Führer ebbe una visione sempre meno corretta della situazione e giunse a pretendere che si resistesse su tutti i fronti, senza più preoccuparsi della condotta complessiva della guerra».